Litigi in famiglia

I due paesi scandinavi sono simili in tutto, ma da qualche anno preferiscono sottolineare le proprie differenze in una polemica sempre più tesa e ingiustificata.

Pubblicato il 18 Ottobre 2013 alle 15:27

“Lo sapete che tutto ciò che non è proibito in Svezia è obbligatorio?”. Sono anni che nei corridoi della politica danese circola questa battuta. Tutti, naturalmente, sanno che non è vero, ma nondimeno la battuta fa ridere. Tutto sommato essa rientra tra le piccole provocazioni abituali tra paesi vicini.

Viste dal resto del mondo, Danimarca e Svezia si assomigliano come due gocce d’acqua, in ambito legislativo come pure di vita associativa o culturale. Le animosità su cose futili, il sarcasmo sulle idiosincrasie dei vicini contribuiscono, qui come nel resto di tutto il mondo, all’affermarsi di un’identità nazionale, con conseguenze a uno stesso tempo positive e negative.

Da una decina di anni, però, si ha come l’impressione che questa amichevole presa in giro tra Svezia e Danimarca abbia ceduto il posto a un autentico antagonismo, e talvolta addirittura a un clima realmente astioso nel dibattito pubblico. “In Danimarca si possono ferire le persone in nome della libertà di espressione”, si sente dire in Svezia, mentre in Danimarca, al contrario, lo svedese è descritto come una persona rigida, prigioniera del politicamente corretto, che non osa “dire pane al pane e vino al vino” nel dibattito sull’immigrazione. In tutto ciò vi sarete sicuramente accorti delle generalizzazioni, regola numero uno di qualsiasi buon pregiudizio. Ormai il popolo svedese è in contrapposizione al popolo danese. I dibattiti interni altrui non esistono più nel paese degli stereotipi.

Essendo un cittadino danese residente a Stoccolma dalla fine degli anni novanta, ho seguito questo sviluppo con crescente preoccupazione. Mentre i rapporti tra le aziende del nord si vanno rapidamente rafforzando e il sostegno dell’opinione pubblica a favore di questo avvicinamento è ancora molto forte, i politici e i media sulle due sponde dell’Øresund si sono lanciati in una campagna rancorosa, nella quale l’altro paese serve da capro espiatorio.

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La mia teoria è che mettere in guardia sulla “situazione in Svezia” o sulla “situazione in Danimarca” serva soprattutto per le controversie di politica interna. [[Oggi è possibile affermare tutto e il contrario di tutto sul paese vicino, in quanto si tratta di un dibattito sull’altro e non con l’altro]]. Nei due paesi il dibattito politico si svolge in effetti prima di tutto in ambito nazionale, e le conoscenze sulla vita e sulle questioni di politica interna del vicino sono incredibilmente limitate.

Del resto è sufficiente riflettere su uno dei temi al riguardo del quale i dibattiti svedesi e danesi sono senza alcun dubbio quanto mai discordanti, e sul quale verità contrarie, miti, falsi miti e pregiudizi sono assai diffusi. Parlo dell’immigrazione. Fino a tempi recenti, il dibattito sull’immigrazione e la (mancata) integrazione occupava molto più spazio nella politica danese rispetto a quella svedese, e la Danimarca aveva irrigidito molto la sua posizione. Un vero paradosso se si tiene conto che è la Svezia ad accogliere il maggior numero di migranti. Il 10 per cento dei danesi ha genitori nati all’estero, contro il 15 per cento degli svedesi.

“Dare addosso alla Svezia” è da tempo l’ossessione del Partito popolare danese. Ebbene, in occasione delle ultime elezioni in Svezia nel 2010, si è sentito anche Michael Aastrup Jensen, portavoce per gli esteri del partito liberale Venstre al momento al governo a Copenaghen, evocare nei media la “censura” svedese e proporre di mandare osservatori internazionali per seguire l’andamento delle elezioni in Svezia. È la prima volta che un rappresentante di un partito al governo si esprime con parole di questo tipo a proposito del paese vicino.

All’origine del caso in questione c’è la decisione dell’emittente privata svedese TV4 di non mandare in onda uno spot della controversa campagna dei Democratici svedesi, nel quale si mostrano donne in burqa seminare due anziani invalidi per arrivare prima di loro agli sportelli dell’assistenza sociale. Lo spot incriminato è stato invece mandato in onda sulla rete del servizio pubblico danese Dr2 e il segretario dei Democratici di Svezia, Jimmie Åkesson, ha avuto cinque minuti di tempo per parlare senza essere interrotto (ma è stato di una banalità eloquente). I critici danesi si sono scagliati anche contro il regime elettorale svedese. Se alcune accuse erano fondate, per la maggior parte hanno evidenziato invece una lacunosa conoscenza della questione.

Amici a destra

Non dimentichiamo tuttavia che i due paesi sono alle prese con gli stessi problemi di integrazione degli stranieri. Indubbiamente, è molto più difficile essere immigrati nelle società nordiche che fino a questo momento erano omogenee, che nel Regno Unito o negli Stati Uniti per esempio.

La più grande differenza tra i dibattiti sull’immigrazione nei due paesi è senza dubbio di ordine politico. Se su scala europea i partiti xenofobi e ostili all’immigrazione hanno il vento in poppa, ciò dipende soprattutto dal fatto che i partiti conservatori e liberali hanno accettato l’appoggio di quei partiti, come in Danimarca, oppure li hanno accolti nei loro governi con lo scopo di garantirsi la maggioranza in parlamento. Ciò vale per l’Austria, i Paesi Bassi e ormai anche la Norvegia.

In Svezia, all’indomani delle elezioni del 2010, il governo conservatore di Fredrik Reinfeldt ha scelto di voltare le spalle all’estrema destra, preferendo un governo di minoranza con tutti i problemi che ciò comporta. Le elezioni del settembre 2014 ci diranno se questa strategia potrà reggere.

L’Europa del nord senza alcun dubbio è all’alba di un rinnovamento. Tutto lascia intuire che le condizioni di una maggiore cooperazione tra i paesi scandinavi, nordici e baltici esistono. Sarebbe dunque un vero peccato se lasciassimo che miti e cliché interferiscano in questa evoluzione.

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