L’occasione persa della Cecoslovacchia

Vent’anni fa l’ex repubblica socialista si divise in due paesi, ma le aspettative di sviluppo sono state in gran parte deluse. La retorica nazionale ha mascherato la mancata evoluzione politica e democratica.

Pubblicato il 7 Gennaio 2013 alle 11:57

In Ungheria quando qualcuno usa la parola “csehszlovák” tutti sanno che allude a qualcosa di brutto e mal funzionante, che si tratti di un prodotto o di un’attività. Questo sprezzante epiteto, entrato ormai nel gergo comune e sopravvissuto fino a oggi, risale all’epoca della Cecoslovacchia socialista, quando gli ungheresi guardavano con sconcerto una terra che produceva solo cose scadenti, dalle automobili che si rompevano di continuo alle tende nelle quali pioveva, dai servizi turistici mediocri allo stato stesso, anch’esso disfunzionale.

Gli ungheresi avevano ragione. La Cecoslovacchia era per lo più uno stato strano, inefficiente e antidemocratico e neanche il dignitoso ventennio vissuto dopo il 1918 migliora granché le cose. Perché dispiacersi se vent’anni fa il paese si divisie in due? Non mi dispiacerebbe, se tale scissione non avesse rimpicciolito lo spazio democratico che nei due anni successivi al novembre 1989 aveva vissuto una discreta partenza.

Ma al tempo in cui si formarono i due piccoli stati - i cui padrini si trasformarono in politici con una propensione alla dittatura - il loro obiettivo non fu la democrazia, bensì quello che tanto in ceco quanto in slovacco divenne noto con il termine di “interesse”. Ancora oggi nessuno sa di preciso di che cosa si trattasse, ma i politici ricorrono spesso a questo termine per arginare l’obiettivo naturale della costituzione di uno stato, che dovrebbe essere la democrazia.

Se fosse sopravvissuta l’ex Cecoslovacchia sarebbe stato impossibile nascondersi dietro la definizione di “interesse cecoslovacco”, poiché sarebbe chiaro a chiunque che una cosa simile non esiste proprio. La controversia sulla natura democratica dello stato, nella quale i nazionalisti sarebbero chiaramente individuabili come coloro che reputano la democrazia un ostacolo, diverrebbe lampante. In Repubblica Ceca, in particolare, questa distinzione talvolta è difficile a farsi.

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Cittadinanza politica

Uno stato nazionale basato su un principio etnico – ed entrambi i paesi lo sono, sebbene la costituzione ceca tenti di negarlo – per dare vita a una democrazia parte da premesse peggiori rispetto agli stati che fanno della nazionalità politica e non dell’origine etnica la premessa di base della cittadinanza. Se la Cecoslovacchia si fosse attenuta al principio di un’unica nazione politica cecoslovacca – benché composta da varie nazionalità – oggi sarebbe più democratica di quanto lo siano i due piccoli stati odierni.

Forse non sarebbe potuto accadere niente di simile. La Cecoslovacchia è stata una dittatura per buona parte della propria esistenza, e dopo il 1989 la fiducia nelle sue caratteristiche democratiche e federali era troppo fragile. Se la lingua ungherese ha continuato a utilizzare l’espressione “csehüláll”, che deriva dalla parola “ceco” e ha assunto il significato di idiozia, dovrei ammettere che ce lo siamo meritati.

Tuttavia, e non solo perché stiamo cominciando un nuovo anno, credo che il piccolo mondo nato dalla divisione della Cecoslovacchia possa ancora migliorare, anche se vent’anni fa i due piccoli stati non partirono alla grande. In fin dei conti i loro padrini sono ormai avviati verso l’oblio.

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