Idee Fine della Seconda guerra mondiale
Dresda, settembre 1945.

Niente commemorazioni per le “donne delle macerie” tedesche

Alla fine della guerra decine di migliaia di donne furono impiegate a sgomberare le macerie e a ricostruire le città devastate dai bombardamenti, mentre i liberatori le consideravano come prede. Ma il loro lavoro e le loro sofferenze non sono mai stati riconosciuti, denuncia una scrittrice svedese. Estratti.

Pubblicato il 8 Maggio 2015 alle 09:48
Richard Peter/Deutsche Fotothek  | Dresda, settembre 1945.

Questo fine settimana si commemorerà la fine della guerra. Moralmente e materialmente nel 1945 il mondo era devastato. Non c’era nessuno che non si fosse sporcato le mani di sangue. Per l’Europa era scoccata l’ora zero.

A pochi piace ricordare di aver fatto compromessi in relazione ai valori nei quali credevano. La maggior parte preferisce gettare i propri ricordi alle ortiche, nel mucchio dell’oblio, o riporli in qualche archivio inaccessibile. La folle idea di spedire gente nei campi di concentramento sarebbe stata irrealizzabile senza la collaborazione reale, perfino scrupolosa, di un’Europa che aveva perso la ragione.

C’è una piccola differenza tra indifferenza, vigliaccheria e paura. Il coraggio civile non è innato, ma è una qualità che deve essere praticata. Un’idea di quanto sto dicendo ce la offre la serie francese ambientata durante la guerra Un village français, straordinariamente ben realizzata.

Se alcuni considerano l’essere neutrali e il non allearsi con nessuno un’astuta strategia di sopravvivenza, altri lo ritengono una vergogna perpetua. E doloroso è chiedersi in eterno: “E io che cosa ho fatto? Niente!”.

Il meglio del giornalismo europeo, ogni giovedì, nella tua casella di posta

La storia è stata sempre scritta dai vincitori.

Se voglio essere una vincitrice, devo dar loro ascolto. Ma se voglio essere una persona aperta e integra, devo comprendere anche il pensiero dei vinti. E devo pensare alla circostanza quanto mai incomprensibile per la quale si erigono monumenti e si scrive la storia senza mai far parola delle donne.

Penso alle Trümmerfrauen.

Mi riferisco alle donne che, al termine della guerra, andarono sui cumuli di macerie e ceneri e ripulirono le rovine. Le donne che a mani nude separavano le pietre in secchi diversi, che sollevavano le macerie , pulirono, dragarono, strapparono. No, non c’erano le ruspe: quelle arrivarono soltanto all’inizio degli anni Cinquanta. No, non c’erano gli uomini: quelli o erano morti o erano prigionieri di guerra, mutilati, alcolizzati, traumatizzati.

Che cosa sono dunque le Trümmerfrauen – vincitrici, vittime o eroine?

Una cosa è certa: furono prede. Quando arrivarono i liberatori, ogni cosa divenne proprietà delle potenze occupanti. Tutta Berlino fu trasformata in un bordello a cielo aperto. Il libro Als die Soldaten kamen (“Quando vennero i soldati”) di Miriam Gebhardt, pubblicato di recente, toglie qualsiasi illusione in merito: i soldati russi stuprarono. L’orgoglio tedesco doveva essere estirpato da tutte le donne tedesche con l’arma più patriarcale che esista: la violenza sessuale.

Come festeggeranno la “pace” le Trümmerfrauen?

A Grunewald, nella parte ovest di Berlino, c’è una casa di riposo e al martedì alcune di loro si danno appuntamento lì per fare ginnastica. Potrei unirmi a loro, se volessi, e dopo la ginnastica mangiare insieme a loro salsiccia e crauti.

Voglio. Ma ho paura. Ho paura del dolore e degli odori.

So che si erano lavate la vagina con il Lysol, un forte detergente, per far credere alle potenze occupanti di avere malattie veneree.
So che chi le assiste fa molta fatica con loro: come si suppone di poter lavare una persona che nessuno può toccare? Il cui corpo si porta dentro reminiscenze di cui nessuno ha fatto mai parola? E che dire delle sofferenze di cui furono accusate dai vincitori?

Chiedo a un collega dell’Irish Times di accompagnarmi. Il nostro passato di neutralità – reale o no – funge come una sorta di biglietto d’ingresso. E di solito le signore tedesche apprezzano molto i giovanotti beneducati. E Silvia Sommerlath (il cognome da ragazza della regina Silvia di Svezia).
È aprile e quando parcheggiamo le nostre biciclette sulla Herthastrasse ogni cosa è verde pallido.

Nove signore di una novantina d’anni ci aspettano, sedute nelle loro sedie. Alcune hanno ancora la vista, alcune l’udito, la maggior parte riesce a camminare soltanto con un aiuto.
Frau Adly guida il gruppo. Partecipare alle sedute costa 2 euro e i soldi sono messi in un salvadanaio a forma di maialino. Una volta l’anno lo svuotano e si concedono un pranzo di Natale e un piccolo regalo.

Frau Adly mette su un disco con dei brani di Johann Strauss e inizia a mostrare in modo fantasioso come dobbiamo muovere i nostri corpi.
Solleviamo le braccia in alto, e lasciamole ricadere in basso – come l’aereo sulle Alpi o come la nostra valuta, dice.
Si deve colpire il nemico sotto il mento, prosegue, in questo modo – e agita in aria i pugni, pieni di macchie per l’età avanzata, al ritmo dell’operetta di Strauss che fuoriesce dall’altoparlante. Wienerblut – thud! , Wienerblut – thud!.

Sono sopraffatta dalla tenerezza, lancio uno sguardo al giornalista dell’Irish Times, seduto su una sedia, che sferra anche lui pugni, con gli occhi chiaramente pieni di lacrime.
La Germania spende milioni per statue e monumenti. Ma aver ricostruito Berlino nel 1945 non dà diritto a una pensione integrativa. Queste signore non sono invitate a nessuna cerimonia. Una volta pagato l’affitto, restano loro in tasca pochi spiccioli. E con quelli o si mangia o si prende l’autobus, dice Frau Adly.

Chiedo se parlano mai della “pace”. Nessuna risponde.

Fummo sconfitti. Ci sedemmo a terra a spaccare le pietre, dice Frau Görlitz. Si fa quel che si può. Si cerca di dimenticare.

Coloro che dal nazismo si convertirono allo stalinismo ebbero di più da mangiare. Tagliata via la svastica, si scoprì che la bandiera era rossa.

Non condannerò mai un giovane, dice Frau Kopitz. Quando si è giovani, si è passionali, si è spensierati. Dopotutto, neppure le persone sagge si accorsero di quello che stava per accadere.

E mentre loro cercano di dimenticare, il mondo cerca in tutti i modi di ricordare.

Nel momento in cui la politica estera femminista della ministro degli esteri socialdemocratico svedese Margot Wallström è messa qualche volta in ridicolo e qualche volta è lodata, vale la pena rivolgere un pensiero alle Trümmerfrauen.

Io lo farò quando, nel “giorno della pace”, Merkel deporrà la corona d’alloro e Putin farà sfilare i suoi missili attraverso la Piazza Rossa.

Non riuscirò mai più ad ascoltare un’operetta di Strauss senza sorridere.

Traduzione dall'inglese di Anna Bissanti

Tags
Ti è piaciuto questo articolo? Noi siamo molto felici. È a disposizione di tutti i nostri lettori, poiché riteniamo che il diritto a un’informazione libera e indipendente sia essenziale per la democrazia. Tuttavia, questo diritto non è garantito per sempre e l’indipendenza ha il suo prezzo. Abbiamo bisogno del tuo supporto per continuare a pubblicare le nostre notizie indipendenti e multilingue per tutti gli europei. Scopri le nostre offerte di abbonamento e i loro vantaggi esclusivi e diventa subito membro della nostra community!

Sei un media, un'azienda o un'organizzazione? Dai un'occhiata ai nostri servizi di traduzione ed editoriale multilingue.

Sostieni il giornalismo europeo indipendente

La democrazia europea ha bisogno di una stampa indipendente. Voxeurop ha bisogno di te. Abbònati!

Sullo stesso argomento