Voxeurop community L’Europa e i migranti

Questa sì che è una crisi

Ultimamente capita spesso di imbattersi nell’utilizzo del termine “crisi” nel contesto politico europeo.

Pubblicato il 11 Marzo 2016 alle 12:01

Il 7 marzo i leader dei Ventotto si sono incontrati a Bruxelles con il premier turco Ahmet Davutoğlu e hanno a lungo dibattuto non tanto sulla questione dei migranti, bensì sulla “crisi dei migranti”, osserva Tim King, fondatore dell’Ong Urban Prep Academies, su Politico Europe.

“La particolarità della parola crisi sta nel fatto che lascia trapelare un’idea di drammaticità, importanza e urgenza, ma non dà alcuna informazione su chi ne sia autore e sul suo obiettivo”, nota ancora King.

Già in passato si è parlato di crisi ed anche in altri contesti abbiamo visto politici tessere delle rassicurazioni nell’impavido tentativo di negare un disastro evidente.

“Crisi? Quale crisi?” furono le parole affibbiate al premier ? britannico Jim Callaghan nel corso della crisi petrolifera del 1979, e apparse come titolo di apertura del quotidiano londinese The Sun.

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I giornalisti, da parte loro, accentuano quei caratteri di drammaticità, importanza ed urgenza per dare allo spettatore, già imbottito di immagini dai media, un’idea specifica dell’attuale situazione. “I viaggi della disperazione, la massa di rifugiati sporchi di fango, il filo spinato e, all’occasione, i gas lacrimogeni”.

Eppure siamo ancora qui, a chiederci se quella che ci si prospetta davanti sia davvero una crisi. Perdiamo tempo nell’interrogarci su qualcosa di così ovvio mentre ci sfuggono quesiti ben più importanti come “Chi ne è colpito?”, “Come?”, “Perché?”.
“Accogliere la parola ed accettarla una volta per tutte implicherebbe un punto di svolta”, continua Tim King.
Oggi l’intera Europa affronta la crisi, non solo la Grecia e tutti quegli altri paesi direttamente esposti ai flussi migratori, ma anche la Germania come la totalità dei paesi europei che diventano meta cui aspirano molti rifugiati.

In realtà la crisi dei migranti viene avvertita in maniera disuguale dai 28 paesi dell’Unione europea. Chi vi si confronta giorno dopo giorno sente addosso il peso di un dramma che non sembra toccare altri: “È una crisi per alcune parti dell’Europa, non per altre”, e non tutti sembrano esserne interessati allo stesso modo.

I presidenti della Commissione europea Jean-Claude Juncker e del Consiglio Donald Tusk sono ambedue a sostegno di una cooperazione tra i paesi dell’Unione per far fronte al problema. Dopotutto si parla di una questione che interessa l’intera Unione europea ed alla quale non si troverà alcuna soluzione se non collaborando e mettendo da parte gli interessi nazionali. Se così non fosse, quello che attualmente sembra un problema limitato ad una minoranza causerebbe un effetto a catena che andrebbe ad investire la totalità dei paesi. Che ne sarebbe del mercato interno se l’area Schengen crollasse?

Appare chiaro però che, anche nel caso in cui Donald Tusk, Angela Merkel e Jean-Claude Juncker riuscissero a persuadere tutti i capi di stato della gravità della crisi, l’Europa resti ad ogni modo sprovvista dei mezzi necessari per fronteggiarla.
“La Commissione europea sembra voler sfidare la natura dimenticando di non essere stata concepita come strumento di risoluzione alla crisi.”
L’Unione europea non è fornita di un proprio esercito, né di una forza di polizia, ne del potere di arrestare persone e requisire beni.

Ma c’è di più. Nel tentativo di proteggere il mercato interno e di salvaguardare i confini dell’Europa ci si domanda ora se le misure prese in ambito della crisi dei migranti rientrino nel rispetto dei valori della democrazia e dei diritti umani.
L’attuale crisi, come quelle passate, sembra mettere sempre più a dura prova la già debole legittimità democratica di Bruxelles.

Foto: Migranti in transito in Slovenia nell'ottobre 2015. SV/Wikimedia Commons

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