Un senso alle elezioni

Le consultazioni europee del 2014 dovrebbero determinare in modo più diretto la composizione della nuova Commissione. Un modo per colmare il deficit di rappresentanza che allontana i cittadini dall’Ue.

Pubblicato il 14 Marzo 2013 alle 11:38

La questione dell’assegnazione dei seggi al nuovo Parlamento europeo che sarà eletto nel giugno 2014 nasce da una disposizione del trattato di Lisbona, che prevede una diminuzione del numero totale dei seggi da 754 a 751, e dall’adesione all’Ue della Croazia. Gli altri stati membri dovranno far posto agli 11 eurodeputati croati e l’unico modo è perdere loro qualche seggio.
Questa redistribuzione è politica o è frutto di un calcolo puramente matematico? Aritmetica ed equità sono due cose diverse. Nel gergo dei burocrati di Bruxelles, l’equità è definita “proporzionalità degressiva”, il che significa che i piccoli paesi, in proporzione alla loro popolazione, hanno più rappresentanza dei grandi paesi.
La proposta della commissione affari costituzionali, sulla quale il Parlamento europeo si pronuncerà a metà marzo, è togliere tre seggi alla Germania e uno ciascuno a dodici paesi, senza toccare quelli dei quindici paesi restanti. Il fatto che la Germania, che gode all’interno dell’Ue di una posizione dominante, veda diminuire la sua influenza in Parlamento può far pensare a una scelta politica, ma la verità è molto più semplice: il trattato di Lisbona prevede che nessun paese possa avere più di 96 seggi e la Germania, che ne ha 99, rappresenta un’anomalia.
Nessuno degli altri grandi paesi dell’Ue – Francia, Regno Unito, Italia, Spagna o Polonia – dovrà cedere seggi. Saranno dunque i paesi più piccoli a doverne cedere uno. L’eccezione è la Finlandia, ben lieta di non perdere nessuno degli attuali 13 seggi.
Alcuni troveranno futile dilungarsi sul numero dei seggi parlamentari tolti agli stati membri. La questione invece è di primaria importanza, perché il Parlamento è l’unico organo dell’Ue a essere eletto dal popolo, perché la sua influenza è in crescita e perché l’elezione del 2014 sarà più decisiva che mai.
È vero che le elezioni europee non hanno mai entusiasmato i cittadini, in nessun paese e soprattutto tra i giovani, tanto che soltanto un europeo su cinque si interessa a chi rappresenterà il suo paese. I sondaggi mostrano che la maggioranza dei cittadini dei ventisette ritiene ancora che la sua voce non sia rappresentata a livello europeo. Ma se i paesi europei hanno una scarsa conoscenza dell’Ue, ritengono nondimeno che il Parlamento è l’istituzione che meglio li rappresenta, ovviamente a causa delle modalità di elezione.

Più politica

Per la prima volta il presidente della Commissione europea sarà eletto in base ai risultati delle elezioni. Questo – unitamente al fatto che sarà possibile in futuro votare deputati appartenenti a liste europee comuni – dovrebbe favorire l’emergere di un dibattito su scala europea sulla futura rotta politica dell’Unione.
Per il momento, benché possano avere opinioni completamente diverse, i differenti gruppi parlamentari non hanno mai elaborato la rotta dell’Ue. Per il momento, pur avendo punti di vista anche diametralmente opposti, i diversi gruppi elettorali non hanno mai fatto campagna elettorale. Adesso i deputati votano sempre più spesso in funzione della propria appartenenza politica, e non della loro nazionalità.
Una proposta ancora più ambiziosa è quella di scegliere tutti i commissari tra gli eletti del Parlamento europeo per conferire loro una maggiore legittimità democratica. I rapporti tra Commissione e Parlamento non sono tuttavia equiparabili a quelli tra il governo e il parlamento di uno stato-nazione. Un rapporto diretto farebbe della Commissione un governo europeo, avvicinando un po’ più l’avvento dell’Unione federale. Ma, almeno per il momento, la volontà politica a favore di un rafforzamento del federalismo è ancora debole.

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