Un’opportunità per l’Europa

Lungi dal rappresentare un dramma per l’Unione, l’ipotesi di Brexit sarebbe al contrario una benedizione per i paesi che vogliono approfondire l’integrazione e per l’economia europea, ritiene il saggista Edouard Tétreau.

Pubblicato il 22 Febbraio 2016 alle 21:11

“Un dramma... una disgregazione irreversibile” dell’Europa, secondo Manuel Valls. Il Brexit, l’eventuale uscita del Regno Unito dall’Unione europea, sarebbe veramente il disastro che ci viene prospettato?

Sono convinto dell contrario: il Brexit sarebbe una eccellente opportunità. Anzitutto per l’Europa: l’uscita della Gran Bretagna metterebbe fine al movimento d’allargamento a tappe forzate intrapreso dall’Unione europea. Una politica che il Regno Unito ha sempre incoraggiato, poiché lo considerava un mezzo efficace per indebolire la dinamica continentale promossa dalla coppia franco-tedesca.

L’allargamento dell’Ue ha portato conseguenze nefaste: l’integrazione nell’Unione europea e addirittura nella zona euro di paesi che non erano pronti a farne parte, dalla Grecia che ha truccato i conti pubblici per beneficiare dei finanziamenti legati all’Euro all’Ungheria di Viktor Orban o alla Bulgaria, uno dei paesi più corrotti al mondo.

La vera “disgregazione” sta qui, nella deliberata volontà dei britannici di allargare delle istituzioni che funzionavano bene con una decina di membri, e che ora sono bloccate dalle confusione delle riunioni a ventotto. Lo testimonia anche l’incapacità dell’Ue di affrontare le recenti crisi, dalle più piccole (crisi greca) alle più importanti (euro, terrorismo, migranti). Il Brexit darebbe dunque impulso a un sano movimento di riassestamento delle posizioni europee su quelle di paesi che desiderano davvero avanzare insieme.

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Il Brexit sarebbe inoltre un’ottima notizia per la Francia e la sua diplomazia. Certo non cambierà gli impegni militari stabili e notevoli del Regno Unito con la Francia, validi sin dagli accordi di Lancaster House. D’altro canto, permetterà alla Francia, insieme alla Germania, di assicurare all’Unione europea una politica estera meno avventurosa rispetto agli ultimi anni. Questa diplomazia ha condotto alla guerra in Iraq sostenuta da Tony Blair, o all’allargamento a tappe forzate dell’Unione europea e della Nato verso est, fino all’Ucraina, risvegliando così la paranoia della Russia.

Con l’uscita del Regno Unito dall’Unione, l’Europa riscoprirebbe una politica estera più vicina ai suoi interessi e ai suoi valori, intorno a tre possibili assi. Anzitutto, un miglioramento delle relazioni con la Russia: lo storico accordo fra papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill, al fine di denunciare e impedire il massacro dei cristiani d’Oriente, ne è un segno e un’esortazione. Inoltre, i rapporti diplomatici con il mondo arabo da rilanciare e reinventare dopo l’accordo con l’Iran. Infine, una priorità strategica da assegnare all’Africa e al Mediterraneo, futuro dell’Europa nel bene o nel male.

Last but not least, il Brexit sarebbe una storica benedizione per la città di Parigi: fra qualche mese, la City di Londra potrebbe perdere la sua ragione di esistere, che la rende il centro finanziario d’Europa. Trasformata in un paradiso fiscale letteralmente off-shore, la City farebbe fuggire in massa gli istituti bancari e i gestori patrimoniali ancora intenzionati a operare nel mercato europeo, senza le barriere normative né le tasse che si applicherebbero agli istituti finanziari londinesi diventati non europei. Migliaia di impiegati, avvocati, banchieri, ma anche dirigenti delle filiali europee delle multinazionali dovrebbero traslocare all’interno dell’Ue per continuare le loro attività.

A questo punto Parigi sarebbe di gran lunga, insieme a Berlino, la città con la posizione migliore per accogliere questi talenti: capitale europea dell’“high-tech”, la capitale francese è anche, e da tempo, un vivaio di talenti straordinari negli ambiti finanziario e della consulenza, come testimoniato dalle posizioni di leader rivestite da molti gruppi francesi in questo settore.

Parafrasando ciò che disse il sindaco di Londra Boris Johnson nel 2012: “Welcome to Paris, my friends.” Prima di srotolare il tappeto rosso da Londra verso Parigi, bisognerà però creare anche a Parigi la stessa atmosfera di libertà, pragmatismo e ottimismo che esiste da sempre a Londra. Non si riuscirà ad attirare i talenti londinesi con promesse di decadenza della cittadinanza, con un deficit incontrollato nei conti pubblici, con l’instabilità fiscale o la tipica preferenza nazionale per la disoccupazione con sussidi piuttosto che per il lavoro. L’obiettivo si centrerà solo creando una leadership politica che proponga una politica opposta a quella attuale.

Il Brexit darebbe dunque impulso a un sano movimento di riassestamento delle posizioni europee su quelle di paesi che desiderano davvero avanzare insieme.

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