Attualità Libertà di movimento

Quanto vale un passaporto europeo?

Come si valuta la libertà di viaggiare nel mondo? Il Passport Index di Henley & Partners è uno dei metodi più usati per valutare la forza del passaporto di un paese e – di conseguenza – la libertà di movimento dei suoi cittadini.

Pubblicato il 21 Agosto 2019 alle 08:51

L’indice dei passaporti (Passport index) della Henley & Partners è uno degli strumenti più usati per misurare il peso che ha ogni passaporto e cioè la libertà di circolazione di cui godono i cittadini di un determinato paese. Per quanto riguarda il 2019, sono stati classificati i passaporti di 199 paesi in base alla libertà di movimento che garantiscono. Per stilare questa classifica, pubblicata annualmente a partire dal 2006, la Henley si avvale dei dati forniti dall’Autority internazionale del trasporto aereo (Iata).

Come funziona la classifica

Secondo il metodo applicato dalla Henley, il punteggio attribuito a ciascun paese dipende dal numero di destinazioni per le quali non è richiesto il visto. Per ogni destinazione senza visto, il paese di partenza si vede riconosciuto un punto, mentre se c’è bisogno di un visto o di un visto elettronico approvato dal governo, il punteggio che lo stato ottiene è pari a zero. Allo stesso modo, un punteggio pari a zero viene attribuito nel caso in cui i viaggiatori devono richiedere l’autorizzazione al proprio governo prima della partenza.

Questi sono i diversi scenari possibili.

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  • Senza visto: non è richiesto alcun visto per la destinazione.
  • Visto al momento dell’arrivo: serve un visto per entrare in un dato paese, ma i viaggiatori possono fare domanda al momento dell’arrivo.
  • Visto elettronico: per avere accesso alla destinazione serve un visto, ma i viaggiatori possono presentare domanda online (è necessaria l’approvazione prima della partenza).
  • Visto necessario: per visitare un dato paese serve un visto tradizionale.

Il rapporto sulla mobilità globale

La Henley cura, oltre alla realizzazione dell’indice, anche la stesura del Rapporto sulla mobilità globale, uno studio che fornisce una fotografia dell’attuale stato dell’arte per quanto riguarda la libertà di viaggiare nel mondo. Secondo il professor Ugur Altundal dell’università di Syracuse e il professor Omer Zarpli dell’università di Pittsburgh, autori della relazione, “dalla metà dello scorso decennio si è registrato un aumento della libertà di circolazione grazie al crescente numero di accordi bilaterali per eliminare la necessità di visto e grazie alle misure attuate unilateralmente dai governi”.

“Se nel 2006 un cittadino poteva viaggiare in media verso 58 destinazioni senza il bisogno di un visto da parte del paese di destinazione”, continuano gli esperti, “negli anni dal 2007 al 2018 si è registrato un aumento fino ad arrivare quasi a raddoppiare la cifra con 107 paesi”. Analizzando più nel dettaglio i dati riguardanti gli ultimi anni, il report mostra come, a livello globale, le nazioni asiatiche abbiano guadagnato terreno nella classifica. Per citare Dominic Volek (socio amministratore, consigliere di amministrazione e dirigente del settore sudest asiatico per la Henley), il Giappone (al primo posto nel 2019) e Singapore starebbero “spianando la strada per altre potenze commerciali della regione, come per esempio la Corea del Sud”.

E l’Europa?

“I paesi dell’Unione europea si sono fatti notare per il loro scarso impegno nel campo dell’abolizione del visto”, scrive Volek. È significativo come la relativa immobilità delle nazioni europee nell’indice dei passaporti del 2018 possa essere attribuita al “clima attuale in cui si registra una crescente ostilità contro gli immigrati, che sta diffondendosi e imperversa nel dibattito”. Tuttavia i paesi europei mantengono una buona posizione nella classifica e alcuni dei passaporti più “forti” al mondo sono europei. Infatti la Francia e la Germania, al primo posto tra i paesi dell’Ue, sono al terzo posto nella classifica mondiale del 2019. In generale, i 28 stati dell’Unione europea rientrano tutti nelle prime venti posizioni.

Il grafico evidenzia che, negli anni tra il 2015 e il 2019, gli unici paesi dell’Unione europea a guadagnare posizioni nella classifica siano stati quelli della regione baltica, mentre gli altri hanno tutti perso posizioni, con le sole eccezioni della Francia, della Grecia, della Repubblica Ceca e della Slovenia.

Uno degli aspetti che più colpiscono degli ultimi dati raccolti è il drastico crollo del Regno Unito. Eppure, era solo il 2015 quando il paese svettava in classifica. [Sally Everett](https://www.kcl.ac.uk/people/sally-everett), docente di Business education al King’s College London, si occupa di questo argomento [su The Conversation](http://theconversation.com/no-deal-brexit-what-it-could-mean-for-british-tourists-and-air-travel-103357). Le abbiamo chiesto di dare una sua interpretazione del dato: “La drastica perdita di posizione del Regno Unito nella classifica non stupisce, considerata la Brexit”, ha risposto.

Inoltre “la preoccupazione generale non potrà che aumentare ora che Boris Johnson è diventato premier. I dati sono il riflesso dell’inevitabile perdita di valore e status (e potere) del passaporto britannico in termini di reputazione all’interno del mercato globale. Con Brexit si aggiungerà anche la perdita di libertà da parte dei cittadini che lo possiedono”. Non a caso si registra “[un aumento](https://www.theguardian.com/world/2019/jul/16/first-time-applications-irish-passports-up-sharply-since-2015-brexit) delle persone che richiedono un passaporto irlandese. Questo significa che i britannici sono preoccupati di vedersi ridurre la libertà di movimento dopo la Brexit”.

Il prossimo grafico illustra le variazioni di posizionamento di ogni stato dell’Unione europea rispetto agli altri; per creare questo grafico, ci siamo basati sui dati della classifica generale e quindi abbiamo ordinato i singoli paesi europei in base alla loro posizione nell’indice dei passaporti.

Questo grafico permette di osservare i dati da un’altra prospettiva e mette meglio in risalto il miglioramento dei paesi baltici e dei paesi orientali, che stanno raggiungendo il resto dei paesi dell’Europa centrale in cima alla classifica. Come nel grafico precedente, emerge la perdita di posizioni da parte del Regno Unito. Un altro dato che occorre sottolineare è l’ascesa nella classifica di Spagna e Austria a discapito di Belgio e Paesi Bassi.

##Libertà e democrazia

Tornando alle dinamiche globali, un dato interessante che emerge dal rapporto è la correlazione tra la libertà di circolazione e il livello di democrazia di un determinato paese. I professori Altundal e Zarpli sostengono che “il numero di destinazioni accessibili senza visto da un determinato paese influisce in maniera positiva ed evidente, seppure non lineare, sul punteggio relativo al livello di democrazia”. Va però detto, al contrario di quanto si potrebbe pensare, che questo non significa che questa relazione sia valida anche in senso opposto: “Il punteggio di un paese rispetto alla democrazia non influisce direttamente sul numero di nazioni accessibili senza visto”. Perché ciò si verifica? Altundal e Zarpli forniscono una serie di possibili spiegazioni per questa correlazione.

Innanzitutto, va riconosciuto il fatto che le pratiche e i processi di democrazia sono “contagiosi” e che quindi le interazioni transfrontaliere che avvengono dove il visto non è richiesto rafforzano i “processi di apprendimento”. In secondo luogo, più le persone entrano in contatto con culture diverse (e quindi più viaggiano), più probabilità vi è che nei loro paesi si attuino politiche di tolleranza nei confronti delle minoranze e delle differenze in generale.

Inoltre, l’esenzione dai visti “può agevolare la cooperazione tra gruppi della società civile e ong, specialmente tra quanti già operano nel campo della promozione della democrazia”. In ultima istanza, ma non per questo meno importante, un’alta libertà di circolazione favorisce e intensifica la collaborazione a livello accademico e i programmi di cooperazione internazionale. E del resto “gli individui che hanno fatto il loro percorso di istruzione e formazione all’estero hanno un impatto positivo sullo stato della democrazia di un paese”.

Cet article est publié en partenariat avec the European Data Journalism Network

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