Attualità Pesca nel Mediterraneo

Ue e Italia proibiscono, in ritardo, la pesca nei più importanti habitat protetti

L’Ue obbliga i Paesi mediterranei, e l’Italia in particolare, a vietare la pesca in tre importanti riserve ittiche nello Stretto di Sicilia istituite nel 2016 dalla Fao.
L’Ong Oceana ha appena comunicato all'agenzia i nomi delle imbarcazioni sospettate di depredare le zone tutelate.

Pubblicato il 11 Luglio 2019 alle 06:02

Il 10 luglio è entrato in vigore il regolamento Ue che vincola definitivamente gli Stati membri, e in particolare l’Italia, a chiudere tre zone di salvaguardia marina cruciali nel Mediterraneo, finora lasciate saccheggiare impunemente dai pescherecci col beneplacito della Commissione europea.

Il regolamento Ue, trasposto in Italia da un decreto del Ministero dell’Agricoltura con delega alla pesca pone termine, almeno sulla carta, alla decimazione di gamberi e merluzzi nelle aree di riproduzione dello Stretto di Sicilia ma, al tempo stesso, danneggia le comunità di pescatori del litorale meridionale dell’isola italiana che da quei fondali pescosi traggono guadagni.
Le reti a strascico vengono messe fuori legge in uno spazio di 1700 Km2 (quasi una volta e mezzo la superficie di Roma) che comprende i due banchi fangosi davanti Mazara del Vallo e Sciacca. Nonché quello più lontano e meno battuto, al largo di Capo Passero (punta sud-est dell’isola).

Le tre riserve erano state istituite nel 2016 da una raccomandazione della Commissione globale per la pesca nel Mediterraneo (Gfcm), un’agenzia della Fao preposta alla gestione sostenibile delle risorse marine. Vi aderiscono tutti i paesi rivieraschi della sponda sud e nord, tra cui Italia, Tunisia e Malta che da anni si contendono porzioni di mare popolate da quantità record di prelibatezze ittiche. Tutte minacciate da eccessive catture di esemplari appena nati che non hanno il tempo di riprodursi.

Mappa delle tre zone marine protette istituite dalla GFCM nello Stretto di Sicilia
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Area verde ”Est di Banco Avventura” - Habitat essenziale del merluzzo (16.1 Km dalla costa siciliana)
Area viola “Ovest del bacino di Gela” - Habitat essenziale del gambero rosa (1.9 Km dalla costa siciliana)
Area gialla “Est del banco di Malta” - Habitat essenziale del merluzzo (47,6 Km dalla costa siciliana)
Ogni area è circondata da una fascia-cuscinetto larga 1 Km accessibile solo ai pescherecci registrati

Finora i tre paesi hanno violato la decisione della Gfcm consentendo alle proprie flotte di predare impunemente le tre zone. L’Italia, il paese con i più forti interessi economici nelle aree, è stata da tempo messa sul banco degli imputati (non accusati) dagli ambientalisti per aver ignorato i suoi obblighi di tutela. Non a caso, nei piani di gestione negoziati con la Commissione europea nel 2018, il governo italiano ha lasciato in sospeso la chiusura delle aree di Mazara e Sciacca, parzialmente ricomprese nelle sue acque territoriali. “Ogni anno le due zone ci offrono, mediamente, quasi 40 tonnellate di merluzzo (il 4 per cento dell’intero pescato italiano nello Stretto) e 100 tonnellate di gambero rosa (l’1 per cento)”, dichiara Domenico Asaro, armatore e rappresentante Federpesca a Mazara, “ieri la capitaneria di porto ci ha annunciato che non possiamo più andarci, con perdite annuali di 40-50 mila euro a peschereccio”. 

L’anno scorso, 75 imbarcazioni, tutte italiane, avrebbero totalizzato 22 mila ore di pesca nell’area sotto Mazara, la marineria più grande (con l’80 per cento del tempo di pesca complessivamente registrato nelle tre aree). Segue con 42 imbarcazioni e 2.5 mila ore (il 14 per cento del totale) l’area sotto Sciacca che è la comunità più colpita dal divieto visto il facile accesso finora goduto alla zona antistante (distante neanche 2 Km). Quest’area è condivisa con le marinerie di Licata, Porto Empedocle e Pozzallo che operano, insieme ai maltesi, anche nella zona protetta sotto Capo Passero (6 per cento del totale).

I dati, da noi ottenuti in esclusiva, riguardano i pescherecci che hanno all’attivo più di 20 ore di pesca nel 2018. A elaborarli è stata l’Ong Oceana che li sottoporrà al comitato di vigilanza della Gfcm il 15 luglio e che aveva già pubblicato un precedente studio sulla situazione nel 2017. 

“Abbiamo analizzato i segnali di geolocalizzazione trasmessi dai sistemi anti-collisione (AIS) delle imbarcazioni”, spiega Nicola Fournier, attivista di Oceana che aveva appunto proposto la creazione delle tre aree di salvaguardia sulla base dei pareri scientifici che dimostravano la loro importanza come luoghi di riproduzione: “In base alla posizione, la velocità e i le rotte, abbiamo calcolato la durata delle presunte attività di strascico”.  

Secondo un rapporto di Greenpeace del 2018, i pescherecci tricolore sospetti sarebbero quasi 150, compresi quelli con meno di 20 ore di attività. La presenza dei tunisini è per ora trascurabile. Tuttavia, puntualizza Fournier, “le loro imbarcazioni più piccole (meno di 25 mt.) sfuggono ai monitoraggi non avendo l’obbligo di installare i sistemi di rilevamento”.

Le incursioni illegali nelle zone vietate sono state confermate dall’Agenzia europea per il controllo della pesca che, solo nel 2018, ha colto in flagrante almeno 26 imbarcazioni. I rapporti 2017 e 2018 delle ispezioni annuali condotte in mare dall’Agenzia, a cui partecipano anche agenti della Guardia costiera italiana, sono stati recapitati al governo italiano. Per ora niente arresti o multe, stando alle informazioni trasmesseci dal Ministero della pesca. Questo si trincera dietro il fatto che solo a fine giugno l’Ue, anch’essa parte contraente della Gfcm, avrebbe reso obbligatoria per tutti gli Stati membri la chiusura delle tre aree recependola con un regolamento ad hoc. “Una chiusura anticipata da parte dell’Italia avrebbe penalizzato solo gli operatori nazionali, non essendovi garanzie che gli altri paesi avrebbero imposto le stesse limitazioni ai propri pescherecci”, dichiara il Ministero.

Una giustificazione politica contraddetta da Nicola Ferri, responsabile affari legali e istituzionali della Gfcm che riporta quanto sancito nell’atto fondatore dell’organizzazione e riconosciuto dalla stessa Ue: “Le raccomandazioni della Gfcm diventano vincolanti 120 giorni dopo la loro adozione per tutte le parti contraenti”. Questi ultimi comprendono tutti i paesi mediterranei, Ue e non Ue. Dall’entrata in vigore della raccomandazione che ha disposto i divieti di pesca nelle tre zone protette fino a oggi sono inutilmente trascorsi due anni e mezzo. 

Complice del ritardo italiano è il Commissario europeo alla pesca e all’ambiente, Karmenu Vella, supremo vigilante dell’applicazione delle regole vigenti nell’Ue. Queste includono anche le norme stabilite dalle raccomandazioni della Gfcm che l’Ue, in quanto parte contraente, ha l’obbligo di far rispettare in tutti gli Stati membri aderenti all’agenzia della Fao.

L’eurocrate maltese ha, invece, preferito non avviare procedure d’infrazione. Motivo intuibile: non esacerbare le tensioni tra Italia e la madrepatria, che vuole sottrarre ai pescatori siciliani altre 25 miglia nautiche, e non disturbare i propri connazionali che pescano nella zona ristretta tra Malta e la punta siciliana di Capo Passero. Ma la Commissione europea non esclude azioni contro l’Italia qualora le nuove ispezioni internazionali, in corso da luglio a settembre sotto l’egida della Gfcm, rivelassero ulteriori inadempienze.

“È urgente avviare subito i controlli per far rispettare i divieti e consentire la rigenerazione delle risorse ittiche nelle zone di riproduzione, anche per il bene del pescatori”, commenta Giorgia Monti, responsabile mare di Greenpeace. “In base alle nostre simulazioni, abbiamo stimato che la riduzione dei guadagni, di circa il 10 per cento, sarebbe compensato dall'incremento di pesce e quindi delle catture giornaliere già dall’anno successivo alla chiusura”, spiega Fabio Fiorentino, ricercatore all’Istituto italiano per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Cnr. 

Il 16 luglio Fiorentino presenterà alla Commissione europea i dati nel rapporto conclusivo del progetto Mantis, finanziato dall’Ue e coordinato da Tommaso Russo, ricercatore al Dipartimento di Biologia dell’Università italiana di Tor Vergata. 

“La tutela delle tre aree è condivisibile visto che gli stessi pescatori si lamentano della costante riduzione del pescato, purché si difendano redditi e occupazione”, dichiara da Trapani Giovanni Basciano, Vice-presidente dell’Associazione delle cooperative italiane del settore. Gli fa eco il suo superiore, Giampaolo Buonfiglio:  “Il governo aiuti le comunità penalizzate dai divieti tramite il Fondo europeo per la pesca”.

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