
Hervé Kempf, giornalista e scrittore, ha fondato il giornale online che si occupa di ecologia Reporterre. Kempf ha lavorato per vari giornali, tra cui il Courrier International e Le Monde ed è autore di diversi libri tra cui uno, in particolare, Perché i mega-ricchi stanno distruggendo il pianeta (Garzanti, 2008) tradotto in diverse lingue che ha messo sul tavolo la connessione tra la questione ecologie e le disuguaglianze sociali. Reporterre — “il media dell’ecologia”— rappresenta un modello di successo non solo dal punto di vista editoriale, ma anche “commerciale”. Il sito è in accesso gratuito ed è finanziato al 98 per cento dalle donazioni dei lettori e delle lettrici (perlopiù piccole donazioni, precisa Kempf), mentre il restante 2 per cento deriva dalla vendita di libri, grazie a una collaborazione con la casa editrice Le Seuil.
Gestito da un’associazione, il sito conta 2 milioni di lettori mensili e un budget annuale di circa 2,7 milioni di euro. Attualmente il giornale impiega 27 dipendenti a tempo indeterminato, di cui 19 sono giornalisti.
Reporterre ha una linea editoriale chiara: “La questione ecologica dev’essere il centro dell’agenda politica del XXI secolo. L’ecologia ha una dimensione politica che va oltre i problemi ambientali e l’inquinamento, sebbene si occupi anche di queste tematiche fondamentali, e ha a che fare con il nostro destino, il futuro. Lo stato dell’ambiente dipende in gran parte dai rapporti sociali: è dunque un’ecologia politica e sociale quella che Reporterre analizza e discute”.
Voxeurop: Reporterre è nato nel 1989. Cosa l’ha spinta a lanciare questo progetto?
Hervé Kempf: Nel 1986 ci fu il disastro di Chernobyl. Ne rimasi profondamente colpito. Mi resi conto dell’importanza della questione ambientale: all’epoca non c’erano giornali (tranne quelli militanti) dedicati a questi temi. Mi sono messo in testa di creare un giornale, approfittando di un’eredità che avevo ricevuto. Non sapevo che non sarebbe bastato: serviva una cospicua liquidità.
Nel gennaio 1989, proprio al momento del nostro lancio, il Time, all’epoca una rivista di grande prestigio, decretò il Pianeta terra “personalità dell’anno”: il Planet of the Year, fornendoci un prezioso supporto: i media e il pubblico iniziarono a rendersi conto dell’importanza dell’ambiente. Partimmo a gonfie vele, vendevamo in media 26 mila copie al mese e raggiungemmo i 4.600 abbonati. Il problema era che non avevamo abbastanza fondi e la liquidità continuava a mancare. Dopo un anno, fummo costretti a chiudere. Poi di acqua ne è passata sotto i ponti: la mia carriera di giornalista è proseguita, ho lavorato per diverse testate fino a quando nel 1998 sono stato assunto da Le Monde come responsabile per le questioni ambientali.
Reporterre è stato rilanciato nel 2007. Com’è avvenuto?
Nel 2007 ho scritto Perché i mega-ricchi stanno distruggendo il pianeta. Il libro spiega il nesso tra questione sociale ed ecologica, e fino a che punto siano indissolubili. Per dimostrare che questa analisi non era solo teorica ma si rifletteva anche nella vita di tutti i giorni, ho lanciato il sito internet di Reporterre. Fu così che il giornale venne rilanciato.
In quegli anni, mentre continuavo a lavorare per Le Monde, mi occupavo del sito come hobby: ho imparato la scrittura per il web e mi sono familiarizzato con lo strumento. Poi, tra il 2012 e il 2013, quando Le Monde mi ha censurato e il rapporto con il giornale si è incrinato ho deciso, insieme a un gruppo di amici, di trasformare Reporterre in un media professionale, con l’obiettivo di farne in un vero sito d’informazione e di retribuire dei collaboratori per creare contenuti.
(Sulle ragioni del conflitto di Kempf da Le Monde, si possono leggere le sue dichiarazioni).
Il vantaggio di Internet è che costa molto meno rispetto alla stampa e alla distribuzione di un giornale cartaceo. Nel 2013 Reporterre non aveva dipendenti, lavoravo solo io. Poi, piano piano, le donazioni sono cominciate ad arrivare. Tenevo conferenze sul mio libro e chiedevo alle persone di non pagare me, ma di fare una donazione al sito. Iniziammo a ricevere piccole sovvenzioni da fondazioni private. Fu così che riuscii a pagare i primi collaboratori freelance e ad assumere un giornalista.. Il traffico aumentò, i finanziamenti pure, e si innescò subito un circolo virtuoso che ha fatto funzionare le cose.
Il suo libro “Perché i mega-ricchi stanno distruggendo il pianeta” è stato tradotto in 10 lingue. La versione a fumetti (Comment les riches ravagent la planète, Seuil), uscita nell’inverno 2024 in collaborazione con il disegnatore Juan Mendez, descrive la relazione tra le disuguaglianze strutturali all’interno della società e la crisi climatica.
È stato un successo, e in poco tempo ha venduto 30mila copie, e negli anni è arrivato a 70mila. È ancora in vendita, siamo alla quarta edizione.

L'ineguaglianza delle emissioni di carbonio a livello mondiale è dunque molto elevata: quasi la metà di tutte le emissioni è dovuta a un decimo della popolazione mondiale. (Fonte: WIL, 2022)."
"Vai troppo veloce, Hervé!!"
Vignetta tratta da Kempf/Mendez: Comment les riches ravagent la planète (Seuil, 2024).
Questo libro ha contribuito in modo significativo a far comprendere che la questione ecologica e quella sociale sono indissolubili. In breve, all'epoca, la sinistra considerava ancora l'ecologia come una problematica legata alla salvaguardia degli uccellini e gli ecologisti ignoravano o sottovalutavano l’importanza delle disuguaglianze. Era davvero necessario unire le due dimensioni, e oggi sono contento che sia un concetto condiviso da tanti.
Quello che mi preme chiarire è che la questione dei ricchi e delle disuguaglianze non riguarda solo mega-ricchi come Musk…
Se prendiamo in considerazione la distribuzione del reddito su scala mondiale, tutte le classi medie europee sono coinvolte. Dal 40 per cento al 60 per cento delle persone nei paesi europei, tra cui io stesso, fanno parte del 10 per cento più ricco a livello mondiale. Il punto quindi non è “prendersela con i ricchi”, ma ridurre globalmente le disuguaglianze, puntando a una maggiore sobrietà nei paesi ricchi.

Sul grafico: “Tonnellate di C02 a persona all’anno”/ “Emissioni per persona”.
"Non male il tuo disegno, ma avrei usato il rosso per l'1 per cento…"
Vignetta tratta da Kempf/Mendez: Comment les riches ravagent la planète (Seuil, 2024).
Reporterre ha una linea editoriale che si potrebbe definire “forte”. Secondo lei esiste una relazione tra impegno politico e giornalismo?
Beh, sono due cose completamente diverse. Un giornalista è una persona che racconta il mondo ai suoi contemporanei, e lo fa con la massima onestà possibile, facendo ricerca, verificando i fatti, scovando incongruenze.
Si tratta di esplicitare un punto di vista, che consiste nel dire “Io osservo il mondo ma non ho la pretesa di essere obiettivo. Lo guardo da un punto di vista”. Questo punto di vista è la linea editoriale.
La maggior parte dei giornalisti e dei media non definiscono esplicitamente la loro linea editoriale. Noi di Reporterre invece, la esprimiamo chiaramente, affermando che la questione ecologica è la principale questione politica del Ventesimo secolo. È su questa base che cerchiamo di raccontare quello che succede nel mondo.
“Questa è la responsabilità dei giornalisti: lottare per la propria libertà e per la libertà della società nel suo complesso”
Per rendere meglio l’idea, prendo come esempio The Economist, un ottimo giornale che sin dal suo lancio ha una linea editoriale chiara secondo cui il liberalismo rende la società più armoniosa, pacifica, prospera, ecc. È a partire da questo punto di vista che The Economist racconta il mondo – e lo fa anche molto bene di solito – ma la sua audience ne è consapevole.
Per quanto riguarda l’impegno politico, invece, significa riconoscersi in quella dottrina politica o in quel partito, e cercare di promuovere le idee su cui si fondano quella dottrina o quel partito nella società, per convincere la gente e arrivare al potere.
Noi, giornalisti, non vogliamo arrivare al potere, e se gli ecologisti fanno qualcosa che non condividiamo, lo raccontiamo. Non scriviamo quasi mai editoriali o articoli di opinione. Noi facciamo informazione: abbiamo una linea editoriale, un punto di vista sul mondo, e lo rendiamo chiaro. In giornalismo parliamo di “angolo”.
C’è la questione dell’indipendenza anche…
Quella è una questione fondamentale perché garantisce la qualità dell'informazione: Reporterre è indipendente. Siamo gestiti da un'associazione senza scopo di lucro, non abbiamo azionisti e il 98 per cento delle entrate proviene da lettori e lettrici, e si tratta di piccole donazioni. Nessuno ha mai versato cifre importanti come 10.000 o 5.000 euro.
I giornalisti hanno una parte di responsabilità nel contesto della crisi democratica che stiamo attraversando?
Il “giornalismo” non è omogeneo. Ci sono i giornalisti e le giornaliste. La responsabilità dei giornalisti risiede nel non aver combattuto quando i miliardari hanno cercato di comprare i loro media, di non aver lottato abbastanza per l’indipendenza. Quindi una responsabilità c’è, ed è grande.
Chiediamo ai giornalisti di rispettare i principi fondamentali del mestiere. Secondo me, il primo fra tutti è la libertà. Essere giornalista significa essere liberi e lavorare per la libertà. Dobbiamo essere liberi, perché è la libertà del giornalista è garantire la qualità dell'informazione.
Io racconto il mondo, magari lo racconto male, ma sapete da quale posizione lo faccio e sapete che nessuno mi obbliga a dire quello che dico. Questa è la responsabilità dei giornalisti: lottare per la propria libertà e per la libertà della società nel suo complesso. Il prezzo che dobbiamo pagare per il privilegio di fare questo lavoro è lottare per la libertà, e indirettamente per quella della società.
C'è pero’ anche una crisi strutturale dovuta all’impasse economico che sta attraversando la stampa.
È un sistema economico, sì, ma ci sono persone coraggiose, come Catherine André di Voxeurop, noi di Reporterre, Mediapart e tanti giovani giornalisti che ce la mettono tutta per creare media indipendenti. La stampa indipendente sta crescendo e potrebbe ispirare i giornalisti delle piattaforme asservite al capitale. Di fronte a continue evoluzioni economiche, dobbiamo comunque continuare a lottare per la nostra indipendenza.
Reporterre ha un modello di funzionamento piuttosto orizzontale, che non si trova spesso nei media. Com’è organizzato?
C’è un consiglio di amministrazione che dirige l’intero funzionamento e garantisce l’indipendenza e il rispetto della linea editoriale. Io sono direttore, e sono affiancato da un vice, e poi c’è il direttore generale. Quello che pare interessi molto è che abbiamo istituito una “direzione a rotazione”: ogni 15 giorni, uno dei cinque o sei giornalisti più esperti prende la gestione del giornale, coordina le riunioni editoriali e fa il lavoro di direttore o direttrice.
È un sistema che funziona molto bene e ci aiuta a sviluppare una cultura basata sull’intelligenza collettiva.
All’inizio, Reporterre era molto piccolo, quindi facevo tutto io. Poi, poco a poco, siamo cresciuti. Anch'io sono cambiato, perché provenivo da un ambiente, Le Monde, molto verticale. Noi abbiamo un’organizzazione molto più orizzontale, anche se a volte la verticalità è necessaria per prendere alcune decisioni.
Il contesto europeo rimane importante. Che cos’è l’Europa per lei oggi?
Sono ancora fedele all’idea di Europa, soprattutto ora che l’estrema destra — per non dire il fascismo — sta guadagnando terreno e vuole frammentare l’Europa in comunità separate le une dalle altre. Si tratta di una visione irrealistica, razzista e intollerante.
Giustamente, l'ideale europeo, soprattutto per la Francia e la Germania — io vengo dall'est della Francia e sono molto sensibile a questo tema, per le atrocità che si sono verificate durante la Prima e la Seconda guerra mondiale — è quello di riuscire a vivere insieme, nonostante le divergenze e le opinioni contrastanti, mantenendo la pace per difendere una causa comune. L’Europa deve restare più unita che mai, soprattutto in un momento storico in cui ci sono forti tendenze che spingono alla frammentazione, al nazionalismo…`
So che si tratta di un ideale, ma agiamo in funzione degli ideali, in fondo.Noi di Reporterre lavoriamo per un mondo ecologico, giusto e, se possibile, gioioso!
Il problema, però, è che l'Europa è ancora governata da una logica neoliberista. C’è lo spirito dell’Europa, e poi la sua realizzazione politica, che lascia molto desiderare.
🤝 Questo articolo è pubblicato nell'ambito del progetto collaborativo Come Together.
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