Rassegna Il faro del sudest

Nei Balcani, proteste da Nobel provocano una serie di dimissioni eccellenti

Mentre il presidente romeno e il primo ministro serbo si dimettono nel bel mezzo di una crisi politica, alcuni opportunisti guardano al territorio ucraino, scrive Claudiu Pop nella sua rassegna stampa.

Pubblicato il 25 Febbraio 2025

L’Europa sudorientale continua a essere un punto caldo per le proteste di massa, scatenate sia da eventi tragici, come l’incidente ferroviario di Tempi in Grecia o il crollo di una tettoia di cemento alla stazione di Novi Sad in Serbia, sia da disastri politici come la vittoria al primo turno delle elezioni presidenziali in Romania di Călin Georgescu a novembre 2024. Seppur nate in contesti drammatici, queste proteste hanno ricordato a cittadini e cittadine di tutta la regione che sono una delle armi più potenti della democrazia.

Serve un disastro per reagire?

Dopo quattro mesi di proteste seguite al tragico crollo di una tettoia alla stazione di Novi Sad, il movimento anti-corruzione serbo ha portato alle dimissioni il primo ministro Miloš Vučević il 28 gennaio. Nell’ultimo mese, il giornale serbo Danas ha sottolineato come tassisti, attori, presentatori di radio pubbliche e agricoltori hanno mostrato solidarietà agli studenti che guidavano le proteste, e che per questo sono candidati al Nobel per la pace. 

Prima delle dimissioni di Vučević, il presidente serbo Aleksandar Vučić, capo del Partito progressista serbo (SNS, destra),  ha detto: “Non sarò contento finché anche l’ultimo studente non sarà entrato in classe”, riporta Danas

Pochi giorni dopo le dimissioni del primo ministro serbo, il media Beta ha citato una dichiarazione di Vučić, secondo il quale la Serbia era attaccata da nemici sia interni che esterni, alludendo a un infondato complotto straniero per destituirlo. 

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La Grecia segue l’esempio della Serbia

Le dimissioni del primo ministro serbo hanno conquistato le prime pagine di tutto il mondo, e il giornale greco Efymerida ton Syntakton ha paragonato l’incidente di Novi Sad al disastro ferroviario di Tempi che due anni fa ha ucciso 57 persone. 

Coincidenza o meno, pochi giorni prima delle dimissioni di Vučević, centinaia di migliaia di greci sono scesi in strada in tutto il paese, chiedendo giustizia per il disastro di Tempi. Efsyn ha seguito in diretta le proteste, dove i partecipanti cantavano slogan come “Mi manca l’ossigeno” o “Nessun crimine senza punizione”. Come Vučević, anche il primo ministro di centro-destra Kyriákos Mitsotákis (Nuova Democrazia) si è trovato sotto pressione. Mentre visitava un ospedale dove c’era un’infermiera la cui figlia era morta tra le fiamme nell’incidente, i medici lo hanno accusato di essere responsabile della tragedia di Tempi. “Hai le mani sporche di sangue”, gli hanno urlato, riporta Efsyn.

Gli estremisti avanzano e il presidente romeno si dimette

Klaus Iohannis (PNL, centro-destra) è diventato il primo presidente romeno a dimettersi per evitare di essere sospeso dal parlamento. Nel suo annuncio, Iohannis ha ribadito di non aver violato la Costituzione estendendo il suo mandato – scaduto – fino all’elezione del prossimo presidente a maggio 2025, dopo l’annullamento delle elezioni dello scorso anno. Il presidente uscente ha lasciato l’incarico il 12 febbraio. Iohannis ha deciso di dimettersi “per salvare la Romania e i cittadini romeni da una crisi [politica”], ha dichiarato l’ex presidente, come riporta Cristian Otopeanu su Libertatea. Al momento, il favorito alle prossime elezioni è Călin Georgescu, che ha vinto il primo turno della consultazione annullata.

Un sondaggio diffuso da Alexandra Coșlea e David Leonard Bularca per HotNews.ro mostra che Georgescu potrebbe arrivare al 37 per cento dei voti, seguito dal sindaco di Bucarest, Nicusor Dan (indipendente), al 21 per cento e dal candidato della coalizione europeista, Crin Antonescu, al 18 per cento. Non c’è da stupirsi che Georgescu vanti ancora un risultato così positivo, visto il suo attivismo nei mesi scorsi. 

Con l’aiuto dell’Alleanza per l’unione dei romeni (AUR), partito di estrema destra, Georgescu ha per esempio incitato i suoi sostenitori a boicottare le grandi catene commerciali, accusate di sfruttare i consumatori ed evadere le tasse, in favore dei produttori locali e dei negozi di quartiere. “I prezzi sono esplosi, i salari sono bassi, i produttori romeni vengono umiliati, e gli ipermercati stranieri guadagnano montagne di soldi sulle nostre spalle”, ha detto il leader di AUR, George Simion, come riporta Oana Abadei su Adevărul. Mentre non si conosce ancora l’impatto del boicottaggio in Romania, in Croazia ne hanno organizzato uno simile il 24 gennaio.

Come scrivono Veronika Koprek e Dora Cimić sul quotidiano croato Jutarnji List, le principali catene di negozi e gli ipermercati hanno registrato un calo del 50 per cento nelle transazioni rispetto al venerdì precedente, a dimostrazione del fatto che il boicottaggio qualche effetto l’ha avuto. Secondo il giornale, a seguito dell’iniziativa, i croati hanno speso circa 20 milioni di euro in meno.

Georgescu e Dodon vogliono un pezzo di Ucraina

Come iene che si aggirano intorno a un animale ferito, il candidato alle presidenziali Călin Georgescu e, in Moldova, il leader del Partito dei socialisti, Igor Dodon, hanno entrambi dichiarato nei mesi scorsi di volere una parte dell’Ucraina. “L’Ucraina è uno stato inventato, non esiste”, ha detto Georgescu in una recente intervista, come riporta Stefan Borcea su Adevărul. Il candidato estremista è assolutamente sicuro che il territorio ucraino verrà diviso perché gli ucraini hanno perso la guerra, e lui vuole ricostituire la Grande Romania. Come Georgescu, l’ex presidente filorusso della Moldova, Igor Dodon, vuole una fetta di Ucraina. “Di recente, alcuni politici europei stanno scegliendo quali terre prendersi, e dicono: ‘Una parte di Ucraina è nostra, una parte è vostra’. Voglio ricordargli questo: ‘Non potete spartirvi ciò che non è vostro’”, ha affermato Dodon, come riporta il giornale investigativo Ziarul de Gardă

Dodon ha suggerito all’attuale presidente liberale, Maia Sandu, di bloccare tutti gli aiuti per l’Ucraina che passano dalla Moldova finché non saranno fatti gli interessi dei moldavi che vivono in Ucraina.

Per concludere, se da un lato le tragedie e le crisi politiche continuano a mettere alla prova l’Europa sudorientale, dall’altro innescano delle reazioni che possono rafforzare le democrazie o accrescere le tendenze autoritarie, a seconda della risposta di leader e cittadini.

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