Josephine Moulds di The Bureau of Investigative Journalism, Julia Evans del Daily Maverick e Ed Stoddard hanno contribuito a questa indagine, coordinata da Voxeurop con il sostegno della Bertha Challenge fellowship.
“Nella nostra società cinica, le multinazionali dell'industria mineraria spesso accumulano profitti senza rendere conto ai loro azionisti dei costi ambientali e sociali sostenuti dalle popolazioni povere e disagiate che vivono intorno a loro”. Mariette Liefferink era colma di rabbia e indignazione quando, nel novembre 2024, ha scritto a Chuka Umunna, responsabile a livello mondiale delle soluzioni sostenibili di J.P. Morgan, il più grande asset manager del mondo, per denunciare le azioni della Glencore, il leader mondiale dell’estrazione mineraria, in Sudafrica.
La presidente della Federazione sudafricana delle ong per un ambiente sostenibile denunciava i rischi per l’ambiente e l’inquinamento che derivano dagli investimenti “verdi” di J.P. Morgan – che dovrebbero garantire acqua pulita e rispetto dei diritti umani – nelle attività della Glencore nel suo Mpumalanga natale.

In questa regione a est di Johannesburg gli abitanti patiscono la carenza di acqua potabile e soffrono di malattie legate all’acqua da decenni a causa dell'inquinamento provocato dall'estrazione del carbone da parte della multinazionale con sede in Svizzera e quotata alle borse di Londra e Johannesburg. J.P. Morgan ha un rapporto di fiducia con Glencore: oltre a essere azionista della società, la finanziaria americana ha anche organizzato tutte le sue emissioni obbligazionarie e ha spesso consigliato agli investitori di acquistare le sue azioni.
Figlio di un ex uomo d'affari nigeriano ed ex deputato laburista britannico, Chuka Umunna aiuta i clienti del colosso di Wall Street a migliorare le loro performance di sostenibilità. Umunna, che dice di avere a cuore l'ambiente, potrebbe aver ignorato o trascurato il reclamo di Mariette Liefferink, che non ha mai ricevuto una risposta da parte sua.
Con 16,7 milioni di tonnellate di emissioni dirette di CO2 nel 2023 (poco meno di quelle dell’intera Croazia), Glencore è uno dei maggiori emettitori di gas serra al mondo. Attrae investimenti attraverso fondi promossi come prodotti ESG (che inducono miglioramenti di carattere ambientale, sociale e di governance), come ha dimostrato la nostra inchiesta. Il valore delle azioni e dei dividendi della multinazionale svizzera è salito alle stelle nel corso del 2022, quando l'Europa è stata improvvisamente costretta a sostituire il gas russo con altre fonti di energia – come il carbone proveniente dal Sudafrica – in seguito all'invasione su larga scala dell'Ucraina da parte di Vladimir Putin.
J.P. Morgan non è l’unico asset manager i cui fondi verdi investono nella Glencore: sfruttando le lacune del quadro normativo decine di gestori di fondi hanno colto l'opportunità di aumentare il rendimento dei loro investimenti verdi acquistando e vendendo azioni e obbligazioni del gigante minerario svizzero.
Questi ultimi hanno nascosto gli effetti nocivi del carbone, nascondendoli dietro metodologie di due diligence (le informazioni che un investitore dovrebbe raccogliere prima di impegnarsi in un acquisto) studiate ad hoc, garantendo che i loro portafogli fossero ufficialmente conformi ai requisiti piuttosto permissivi dell'Unione europea.
Dall'entrata in vigore della legislazione europea sulla finanza verde (il Sustainable Finance Disclosure Regulation, Regolamento sulla trasparenza della finanza sostenibile, noto come Sfdr) e fino al secondo trimestre del 2024, l’insieme dei gestori di attivi hanno investito una media di 790 milioni di dollari (circa 690 milioni di euro) a trimestre nella Glencore attraverso i loro fondi verdi. Di questi, 71,5 milioni sono stati investiti attraverso prodotti finanziari etichettati a torto come Esg secondo le nuove linee guida sulla denominazione dei fondi adottate nel maggio 2024 dall'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma). Queste ultime vietano di etichettare come Esg gli investimenti nei combustibili fossili come il carbone (1).
Secondo gli ultimi dati disponibili J.P. Morgan detiene per 43,34 milioni di dollari di azioni di Glencore. Oltre il 20 per cento di questo valore è detenuto da due fondi etichettati Esg.
Questi fondi hanno sovvenzionato direttamente le attività estrattive della Glencore in Sudafrica, eppure dovrebbero esserne escluse le società che traggono più del 20 per cento dei ricavi dall'estrazione di carbone destinato alla produzione di energia elettrica. Nonostante sia una delle maggiori compagnie carbonifere al mondo, Glencore non supera questa soglia in termini di ricavi, ma l'estrazione di carbone rappresenta quasi la metà degli utili reali.
JPMorgan ha rifiutato di commentare i risultati di questa inchiesta o di rispondere se considera Glencore un investimento con caratteristiche ambientali e/o sociali positive.
Tutti i fondi verdi di J.P. Morgan hanno prospetti informativi sulla sostenibilità simili a quelli richiesti dall'Unione europea, basati su un modello comune, sebbene abbiano nomi diversi e investano in settori e regioni differenti. Questo consente alla finanziaria statunitense di diversificare l'offerta e di adattarla alle esigenze degli investitori, pur seguendo la stessa strategia Esg.
Acque inquinate alla faccia della legge e della salute pubblica
Il sovraconsumo di acqua e l'inquinamento provocato dall'estrazione del carbone sono tra le cause principali della crisi idrica cronica che colpisce oltre 4,2 milioni di persone che vivono intorno al bacino idrografico del fiume Olifant, nel Mpumalanga.
Il sistema di approvvigionamento idrico non soddisfa gli standard di qualità dell'acqua potabile a causa della diffusa infiltrazione di sostanze chimiche, che provoca malattie tra gli abitanti. Gran parte di questo inquinamento proviene dalle centinaia di miniere di carbone (sia attive che chiuse) che rappresentano quasi il 90 per cento della produzione di carbone del paese. Nel corso del tempo, hanno devastato le fertili zone umide, come hanno dimostrato diversi studi scientifici (2).
Nel 2019 lo studio legale militante per l’ambiente Center of Environmental Rights ha incluso le miniere di Tweefontein e Goedgevonden (anch'esse di proprietà della Glencore) nella sua lista nera delle miniere di carbone che violano le leggi sudafricane sull'acqua. Nonostante ciò, la miniera di Tweefontein ha ignorato le ripetute richieste delle autorità di introdurre un trattamento efficace delle acque reflue e di porre fine all'inquinamento che compromette l'approvvigionamento di acqua pulita delle comunità locali.
Il governo del Sudafrica non ha adottato alcuna misura coercitiva per costringere la Glencore a rispettare pienamente la legge. “Le nostre autorità, che non riescono a cedere alle pressioni dell'industria mineraria, non hanno il coraggio di far rispettare le nostre leggi”, ci ha dichiarato Mariette Liefferink.
L'attivista sudafricana ha ottenuto le prove della persistente condotta illegale della Glencore attraverso richieste di accesso alle informazioni al Dipartimento per l'igiene dell'acqua (Dws). Il Dws le ha trasmesso dei documenti riservati (che abbiamo visionato), che descrivono in dettaglio le frodi osservate dai suoi ispettori a partire dal 2017.
La miniera di Tweefontein è stata accusata dal dipartimento sudafricano per l'acqua e le strutture igienico-sanitarie di diverse violazioni, tra cui la grave contaminazione di un fiume locale, lo stoccaggio di rifiuti pericolosi in contenitori aperti e la mancata riparazione di un impianto fognario.
Gli abitanti della città mineraria di Phola, a 70 chilometri da Johannesburg, dicono di non fidarsi dell’acqua del rubinetto. Daisy Tshabangu, 52 anni, si è trasferita a Phola perché la sua famiglia lavorava nella centrale elettrica a carbone che si staglia all'orizzonte. “La maggior parte delle persone, quando beve quest'acqua, ha mal di pancia”, ci ha detto.

I residenti di Phola dichiarano di sentirsi abbandonati dalle aziende le cui miniere dominano il paesaggio. La disoccupazione è alta e le infrastrutture sono fatiscenti. “Non traiamo alcun beneficio dalle miniere”, ha aggiunto Tshabangu. "Ci mancano molte cose e siamo circondati dalle miniere. Per questo ci sembra di essere completamente trascurati".
Il greenwashing deve andare avanti
Quello che accade in Sudafrica sembra sfuggire a J.P. Morgan: anziché svolgere indagini sul campo, come qualsiasi altro asset manager, preferisce basarsi su dati raccolti dalle società in cui investe e da terzi per quantificare l'impatto (negativo o positivo) dei suoi investimenti sedicenti verdi.
A causa di una due diligence inadeguata (che trascura i casi non dichiarati), J.P. Morgan ha finora riportato che i suoi fondi verdi hanno un impatto positivo, malgrado lo scempio ambientale e sociale cui abbiamo potuto assistere in Sudafrica. Eppure, la politica del fondo esclude le società che violano gli standard dell'Ocse e delle Nazioni Unite che impongono di evitare il degrado delle acque dolci e di rimediare ai danni subiti dalle parti interessate a livello locale (3).
Questa esclusione, tuttavia, è limitata alle società incluse nella piccola parte dei fondi di J.P. Morgan che si qualificano come pienamente “sostenibili”. Secondo le regole dell'Unione europea, questa parte può includere solo attività che non compromettono gli obiettivi ambientali chiave previsti dal Regolamento sulla tassonomia, come la protezione delle acque e la prevenzione dell'inquinamento.

Abbiamo chiesto a un portavoce di J.P. Morgan se questa sezione includa Glencore, ma si è rifiutato di specificarlo e ha invece spiegato che almeno il 51 per cento degli investimenti detenuti dal suo fondo verde devono avere caratteristiche ambientali o sociali positive. Il 49 per cento rimanente può essere investito senza restrizioni. Nonostante queste soglie minimaliste, J.P. Morgan attira l'attenzione degli investitori utilizzando la seducente frase “fondo di investimento sostenibile” sul suo sito web.
“La folle conseguenza delle lacune della legislazione europea è che gli asset manager possono teoricamente investire la parte non Esg dei loro fondi in aziende che non rispettano gli standard internazionali”, osserva Nicola Koch, responsabile della 2° Investing Initiative (2DII), un think tank indipendente senza scopo di lucro che lavora per allineare i mercati finanziari e le normative agli obiettivi dell'Accordo di Parigi sul clima.
La tattica Esg e la realtà sul campo
Abbiamo scritto all'ufficio relazioni con gli investitori di J.P. Morgan, menzionando le rimostranze di Mariette Liefferink nella sua email a Chuka Umunna. Abbiamo chiesto se gli inadempimenti della Glencore a Mpumalanga meritassero di essere valutati in quanto potenzialmente in conflitto con gli obiettivi del fondo verde della banca, e se questo potesse determinare una rivalutazione della performance complessiva di sostenibilità dei suoi investimenti e un confronto con la società mineraria, o addirittura la sua rimozione dal portafoglio. A oggi non abbiamo ricevuto alcuna spiegazione.

Ci risulta che J.P. Morgan non considera prioritario l'inquinamento idrico quando lavora con le aziende nell'ambito dei suoi fondi verdi, sebbene includa la questione delle emissioni idriche nei suoi indicatori di impatto. Questi indicatori sono stabiliti dalle norme Ue per misurare i progressi compiuti dai fondi nel raggiungimento dei loro obiettivi. Va notato che per ogni indicatore, J.P. Morgan calcola il punteggio aggregando l'impatto di tutte le società presenti in tutti i fondi che gestisce.
Gli episodi di inquinamento idrico citati nel Rapporto di sostenibilità 2023 della Glencore non fanno riferimento alle continue violazioni nella miniera di Tweefontein, che hanno portato a una ipercontaminazione dell'acqua. Il rapporto nasconde la realtà affermando: “Chiediamo alle nostre operazioni industriali di [...] sviluppare strategie di gestione dell'acqua per massimizzare l'uso efficiente e sostenibile di questa importante risorsa naturale [...] e per proteggere l'accesso all'acqua per gli altri utenti”.
Abbiamo condiviso con J.P. Morgan le nostre conclusioni sulle attività della Glencore in Sudafrica e abbiamo chiesto un loro commento. “Ci rifiutiamo di commentare oltre a quanto di dominio pubblico”, ci ha detto un portavoce della società, rifiutandosi di rispondere alle nostre domande.
Ufficialmente, J.P. Morgan può quindi affermare di non essere a conoscenza della realtà sul campo. Ma il suo dipartimento di controllo della conformità è stato informato dalla signora Liefferink, così come Chuka Umunna.
Stefano Valentino è un Bertha Challenge Fellow 2024
👉 L'inchiesta su The Observer, The Bureau of Investigative Journalism e Daily Maverick
Note
1)Fondi verdi con marchio ESG di J.P. Morgan
Ricerca globale Indice potenziato azionario ESG
Ricerca Europa Indice potenziato azionario ESG
2) Studi scientifici
https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S1464343X21001552
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0075951123000919
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0925857424002490
3)Linee guida per le imprese multinazionali su una condotta aziendale responsabile
Le imprese devono anche evitare e affrontare [...] il degrado dell'acqua dolce.
Patto globale delle Nazioni Unite
La chiave dell'approccio precauzionale, dal punto di vista delle imprese, è l'idea della prevenzione piuttosto che della riparazione. In altre parole, è più conveniente agire tempestivamente per garantire che non si verifichino danni ambientali.
Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani
I meccanismi di reclamo a livello operativo [...] sono tipicamente gestiti dalle imprese. [Questi meccanismi permettono di affrontare le lamentele, una volta identificate, e di porre rimedio agli impatti negativi in modo tempestivo e diretto da parte dell'impresa, evitando così che i danni si aggravino e che le lamentele crescano.
Spesso le rimostranze non sono inquadrate in termini di diritti umani [...]. In ogni caso, quando i risultati hanno implicazioni per i diritti umani, occorre assicurarsi che siano in linea con i diritti umani riconosciuti a livello internazionale.
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Perché gli eco-investitori si ritrovano a finanziare le “Big Oil”? A quali stratagemmi ricorre la finanza per raggiungere questo obiettivo? Come possono proteggersi i cittadini? Quale ruolo può svolgere la stampa? Ne abbiamo discusso con i nostri esperti Stefano Valentino e Giorgio Michalopoulos, che per Voxeurop analizzano i retroscena della finanza verde.
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