Analisi Stato di Diritto

L’Ungheria di Viktor Orbán dà un giro di vite al dissenso, ma l’opposizione si organizza

In Ungheria l’ascesa del movimento di opposizione guidato da Péter Magyar sembra aver spinto il governo Fidesz a intensificare la stretta sulle libertà individuali, le voci dissidenti e le minoranze. Come capire se un regime ibrido sta perdendo popolarità?

Pubblicato il 5 Giugno 2025

Nel marzo 2025, per la prima volta in quindici anni, il primo ministro Viktor Orbán non è stato il politico più popolare del paese; è stato invece il turno del suo inesorabile avversario, Péter Magyar, emerso sulla scena politica soltanto l’anno scorso. A dirlo è Median, un istituto di sondaggi indipendente che ha condotto una ricerca per HVG.

Un altro sondaggio, condotto dall’istituto Republikon nell’aprile 2025, rivela che il 32 per cento degli ungheresi voterebbe per il Tisza, Partito del Rispetto e della Libertà di Magyar, con un incremento di 3 punti rispetto a marzo.

Nello stesso periodo, la coalizione di governo Fidesz-KDNP (partito popolare cristiano democratico) ha guadagnato un solo punto, attestandosi al 28 per cento. Tisza, invece, ha visto una crescita costante fin dalla sua fondazione nella primavera del 2024. 

Pulizie di primavera: attacco ai “parassiti”

Non sorprende che questi sviluppi abbiano messo in allarme l’efficiente e “ben oleata” macchina propagandistica del governo Fidesz. Nel discorso per la festa dell’indipendenza del 15 marzo, Orbán ha annunciato la sua intenzione di effettuare una “pulizia di primavera”, inveendo anche contro “politici prezzolati, giudici, cittadini, giornalisti, ong fasulle e attivisti politici”, definendoli “cimici” e “parassiti”.

Nel frattempo, si è tornati a colpire i media indipendenti, etichettandoli come “agenti stranieri” e “media del dollaro”. A finire nel mirino sono stati soprattutto quelli che ricevono finanziamenti dall’Ue. In un documento esplicitamente politico, l’ufficio per la protezione della sovranità ha citato numerosesegnalazioni” di ingerenze straniere nella politica interna ungherese. 

Secondo questa narrazione, l’amministrazione Biden, l’Usaid (l’agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale), la Open Society Foundation e altri finanziatori internazionali del giornalismo indipendente costituirebbero una vasta rete il cui fine ultimo sarebbe minare l’indipendenza dell’Ungheria.

Tra le testate sotto attacco figurano Telex.hu, HVG/EUrologus, 444.hu, Magyar Narancs, Direkt36 e Átlátszó, tutte colpevoli di aver ricevuto fondi da Usaid, ambasciate straniere o dalla Commissione europea. La retorica del governo è arrivata al punto di minacciare persino i giornalisti ungheresi con doppia cittadinanza di non farli rientrare nel paese.

A metà maggio 2025, il governo ha annunciato una proposta di legge apparentemente in nome della “trasparenza della vita pubblica”, che rischia però di infliggere un duro colpo allo stato di diritto e alle libertà democratiche. Se approvata, autorizzerebbe l’ufficio per la protezione della sovranità a inserire in una lista nera le organizzazioni che ricevono fondi esteri. La formulazione del testo lascia intendere che anche i fondi europei potranno essere bloccati, se considerati una “minaccia” alla sovranità nazionale.

Nonostante queste manovre restrittive, diversi sondaggi, tra cui quello di Republikon, confermano il vantaggio di Tisza in vista delle elezioni.

Fidesz corre ai ripari per cercare di limitare i danni. I metodi populisti non sono cambiati affatto, la strategia è sempre la stessa: individuare capri espiatori tra le persone Lgbtq, denigrare i media indipendenti, minacciarli legalmente, irrigidire ulteriormente le leggi sugli stupefacenti, modificare le regole elettorali e proporre nuove norme ad personam contro Péter Magyar e i suoi europarlamentari.

A Bruxelles, i 9 eurodeputati di Tisza (affiliati al partito popolare europeo) hanno avuto grande visibilità sin dalla loro elezione lo scorso anno. Tuttavia, come era prevedibile, non per merito di iniziative politiche rilevanti, quanto piuttosto per via della consueta abitudine del governo Orbán di usare politici e istituzioni europee come comodi bersagli o strumenti nella sua campagna contro l’Ue.

Tisza resiste alla tempesta

In questo clima mediatico ostile, l’eurodeputata di Tisza, Kinga Kollár ha dichiarato in un’intervista televisiva a metà aprile che il suo partito è soddisfatto della sospensione dei fondi europei all’Ungheria, motivato dalle persistenti violazioni dello stato di diritto e dalla corruzione.

In un’intervista ad ATV, il leader del partito e capo di Kollár, Péter Magyar, ha poi precisato: “Gli eurodeputati di Tisza non hanno mai votato sul blocco dei fondi all’Ungheria. La decisione è stata presa tre anni fa, per via della corruzione sistemica della famiglia Orbán, allora il nostro partito nemmeno esisteva”.

Tisza promette di sbloccare i fondi Ue se vincerà le elezioni del 2026. La Commissione ha infatti quasi del tutto congelato i pagamenti a causa del rifiuto di Budapest di affrontare annosi problemi legati allo stato di diritto e alla trasparenza.


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Il “caso Kollár”, secondo il sondaggio dell’istituto Republikon, non ha sortito l’effetto sperato da Fidesz, nonostante i circa 90 mila euro spesi dalla macchina propagandistica governativa per cavalcare la polemica, come ha rivelato il sito Lakmusz.

Nel tentativo di sconfiggere Fidesz e prendere le distanze dai fallimentari esperimenti di coalizione del passato, Tisza ha adottato una strategia di isolamento rispetto alle altre forze di opposizione. Parallelamente, ha scelto di evitare una comunicazione incentrata sui valori, tenendosi alla larga da temi sociali, diritti civili e questioni legate alle minoranze. Nonostante i ripetuti tentativi di Fidesz di provocarlo su questi fronti, Tisza si guarda bene dall’esporsi su argomenti controversi come i diritti delle minoranze.

Rispetto ai suoi predecessori, Tisza si mostra molto più prudente nel rivendicare posizioni pro-democrazia e nel difendere le libertà fondamentali. Pur dichiarandosi un partito di centro-destra e filo-europeo, si è finora astenuto dal contrastare apertamente le nuove direttive autoritarie di Fidesz.

Non ha alzato la voce nemmeno di fronte all’ultima legge che vieta ufficialmente le manifestazioni del Pride Lgbtq+, prevedendo pesanti sanzioni. Una misura che viola chiaramente il diritto europeo alla libertà di associazione.

Lo stesso silenzio ha accompagnato la nuova stretta sulle leggi antidroga, che erano già tra le più severe del continente, secondo Drugreporter.net. In passato, chi faceva uso di sostanze stupefacenti poteva evitare il processo seguendo un programma terapeutico di sei mesi. Ora, l’unico modo per evitare il carcere è denunciare il proprio spacciatore. In caso di recidiva, non avrà più diritto alla terapia e verrà processato. Anche su questo fronte, Tisza ha evitato di commentare, probabilmente per non cadere nella trappola retorica del governo.

Lo stesso schema si ripete con la questione dell’ingresso dell’Ucraina nell’Ue. Fidesz ha annunciato un referendum consultivo per chiedere agli ungheresi se vogliano l’adesione di Kiev. Un’altra manovra elettorale in vista del voto di aprile 2026. Tuttavia, un sondaggio commissionato da Tisza per l’iniziativa “voce delle nazioni”, ha rivelato che il 58 per cento degli intervistati si dice favorevole all’adesione dell’Ucraina. Un’altra doccia fredda per Orbán.

Come scrive Márton Gergely, direttore di HVG, in un recente editoriale, la strategia di Tisza è chiara: evitare i “cavalli di battaglia” del governo e tenersi alla larga da un’opposizione screditata. L’obiettivo è semplice: prendere le distanze da tutti e imporsi come unica alternativa credibile.

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