Da diversi anni, nel centro di Bucarest, in Romania, si susseguono incendi che colpiscono senza tregua il parco Alexandru Ioan Cuza. Dodici ettari di alberi e vegetazione sono in pericolo, minacciati di sparire del tutto dalla città. Conosciuto dagli abitanti come parco IOR, questo spazio verde, che ha ormai mezzo secolo di vita, porta con sé una storia complessa.
È l’unico punto della capitale che continua a bruciare, in qualsiasi stagione.
Attorno al destino del parco si sono formati due schieramenti opposti. Da un lato, la società civile si batte per riconoscerlo come spazio pubblico; dall’altro, le autorità pubbliche e le istituzioni, affiancate dagli urbanisti, sembrano avere un piano diverso. L’assenza di responsabilità ufficiali e l’applicazione sistematica delle leggi alimentano le preoccupazioni dei residenti. Dietro la quotidianità della capitale, tra strade, case, alberi e traffico, si sta consumando un conflitto che coinvolge cittadini e proprietari terrieri, inquilini e stato.

L’emergenza che coinvolge il parco rivela una storia complessa, che intreccia i traumi irrisolti della recente storia comunista (e i conflitti legati alla proprietà, nati dopo la caduta del regime) con la corruzione delle istituzioni pubbliche, uno sviluppo urbano incontrollato e delle politiche ambientali applicate in modo inefficace. Il disboscamento illegale che colpisce quest’area rivela una questione spesso trascurata: l’importanza degli spazi verdi nelle città.
Ricostruire la proprietà
Il degrado del parco Ior come spazio pubblico è cominciato molto prima degli incendi. Dopo la caduta del comunismo nel 1989, l’Europa dell’Est si è trovata ad affrontare questioni complesse legate alla politica della memoria: come viene documentata e comunicata la storia contemporanea? Cosa viene raccontato e cosa, invece, dovrebbe restare nell’ombra? Ogni paese ha scelto una propria strategia per affrontare il passato, tra cui risarcimenti economici e simbolici per le vittime della persecuzione politica, riabilitazione giudiziaria degli ex prigionieri politici, riscrittura dei libri di storia e riorganizzazione dei musei.
Tra i passaggi chiave del processo di democratizzazione c’è stata la restituzione delle proprietà confiscate durante il regime comunista. L’opinione pubblica, in particolare chi aveva subito ingiustizie, ha vissuto questo passaggio come una sorta di espiazione dei peccati del passato e di assunzione di responsabilità da parte dello stato. Il parlamento rumeno ha introdotto la legge 10/2001 riguardante la situazione legale degli immobili espropriati dal regime comunista tra il 6 marzo 1945 e il 22 dicembre 1989.
Sebbene la legge abbia reso possibile la restituzione delle proprietà alla città di Bucarest, il modo inadeguato in cui è stata applicata continua, ancora oggi, a tormentare la società romena e il destino della città.
La porzione del parco Ior colpita più frequentemente dagli incendi rientra proprio in questa situazione particolare. La storia del parco, situato nel quartiere Titan del settore 3, nel cuore della capitale, risale ai primi anni del Novecento: quest’area faceva parte di una vasta tenuta appartenente a I.B. Grueff, un proprietario terriero bulgaro che aveva acquistato il terreno all’asta nel 1903. All’epoca, Grueff possedeva l’equivalente di quasi tutto il quartiere Titan e l’intero settore circostante. I cambiamenti politici in Romania, però, hanno alterato radicalmente il destino della tenuta: nel 1945, infatti, con il processo di nazionalizzazione, gran parte del patrimonio di Grueff passò sotto il controllo dello stato comunista.
Il quartiere Titan era una delle più grandi zone operaie di Bucarest. Negli anni ’60, un gruppo di architetti ispirati dalle idee dell’urbanista svizzero-francese Le Corbusier ha progettato spazi urbani ampi, che prevedevano anche la creazione di un grande parco destinato a favorire l’incontro tra le persone.
Il parco, completato nel 1970, è stato chiamato Ior, acronimo di Întreprinderea Optică Română (Impresa Ottica Romena), in onore della vicina fabbrica che produceva un’ampia gamma di strumenti ottici, tra cui occhiali, fotocamere e telescopi, e che rappresentava un simbolo dell’abilità industriale locale. Dopo la caduta del comunismo, il parco è stato ribattezzato parco Alexandru Ioan Cuza, ma gli abitanti lo chiamano ancora oggi, con affetto, parco Ior.
Negli anni ‘90, l’intero parco risultava ancora classificato nei documenti urbanistici come spazio pubblico. Nel 2005, però, il nipote di Grueff, e suo erede legale, ha ceduto una parte del terreno del parco, insieme ai diritti di proprietà contesi, a Maria Cocoru, un’anziana signora, la cui rivendicazione sulla zona resta tuttora poco chiara. A quel punto, il comune di Bucarest, applicando la legge 10/2001, ha retrocesso ufficialmente i terreni a Cocoru, cambiandone lo status giuridico da proprietà pubblica a proprietà privata.
Il nome di Maria Cocoru compare come proprietaria non solo della zona contesa del parco, ma anche di altri spazi verdi della capitale, tra cui il parco Constantin Brâncuși, intitolato al celebre scultore romeno e con un’area verde di 1.431 metri quadrati. Questo parco, però, versa da circa cinque anni in stato di abbandono.
Corruzione nella classificazione urbanistica
Dan Trifu, presidente della Fondazione EcoCivica e specializzato nella legislazione degli spazi verdi e pianificazione urbana, fa risalire l’inizio della privatizzazione degli spazi verdi urbani in Romania all’anno 2000. “Quando è stato redatto il Piano Urbanistico Generale (Pug, l’equivalente del Piano Regolatore Generale italiano) di Bucarest, molte aree verdi e parchi della città sono stati inseriti nel documento come zone edificabili. Ciò avrebbe consentito l’avvio di progetti edilizi, anche se quelle aree sarebbero dovute rientrare nelle categorie normalmente riservate a spazi verdi o parchi”, spiega Trifu. “I dodici ettari del parco Ior sono stati classificati nel Pug con il codice CB3, che consente alle autorità locali di sviluppare progetti edilizi come strutture amministrative, culturali o sociali”.
La Fondazione EcoCivica ha intentato decine di cause, soprattutto riguardanti gli spazi verdi retrocessi nella città, affrontando quella che Trifu definisce “la mafia immobiliare, che si è impossessata di intere porzioni di Bucarest”. Secondo Trifu, esiste un legame tra investitori e politici, che traggono vantaggio da interessi immobiliari comuni orientati al profitto. In alcuni casi, gli investitori provengono dagli stessi ambienti partitici o vi collaborano direttamente. Quasi tutti i parchi della capitale hanno subito la stessa sorte: porzioni significative del loro terreno sono state inserite nel Pug con codici urbanistici che consentono la costruzione. Molte aree verdi situate tra i blocchi residenziali e le piazze sono già state riqualificate.
I parchi tendono dunque a scomparire a causa degli interessi edilizi, oppure vengono abbandonati. Secondo quanto riportato dai media locali, 609 ettari della foresta di Băneasa, il più grande spazio verde all’interno del territorio amministrativo di Bucarest, sono stati retrocessi. Ai progetti di costruzione all’interno della foresta sono stati associati i nomi di politici e uomini d’affari. La foresta è sempre più minacciata dall’espansione dei quartieri residenziali, dal disboscamento illegale, dal bracconaggio e dalla frammentazione del territorio.
Questa situazione riflette un problema più ampio legato al disordine gestionale che ha caratterizzato la società nel periodo post-comunista, dove gli interessi privati prevalgono spesso su quelli pubblici e sulla qualità della vita dei cittadini. Secondo l’inchiesta pubblicata su RiseProject, il mercato opaco dei diritti di proprietà contestati genera profitti paragonabili a quelli del mercato nero della droga. Il fenomeno è conosciuto a livello locale come “mafia delle terre retrocesse”.
Difendere lo spazio pubblico
Ci sono voluti circa otto anni prima che la maggior parte dei frequentatori del parco Ior si rendesse conto che dodici ettari di quell’area verde tanto amata non erano più pubblici. La gente continuava a godere di quello spazio perché sentiva che quel luogo apparteneva a loro, che faceva parte della loro storia, della memoria collettiva condivisa da generazioni. Alcuni ci sono in parte cresciuti, altri ci hanno cresciuto i propri figli.
Maria, una donna di 68 anni che vive nel quartiere sin dalla sua costruzione, ricorda con nostalgia i momenti speciali trascorsi con la figlia in quei sentieri che oggi non sono più accessibili: “Mia figlia ha imparato a camminare nel parco. Quando è cresciuta, la portavo lì a pattinare. C’erano platani e cespugli di rose ovunque. Quella zona del parco era una meraviglia per me. Mi manca”.
Nel 2012, il comune del settore ha deciso di fare causa a Maria Cocoru con lo scopo di riportare sotto proprietà pubblica la parte di parco contestata. È cominciata così una lunga battaglia legale durata dieci anni, durante i quali l’area è rimasta in un limbo giuridico. È stato a questo punto che i cittadini sono venuti a conoscenza della situazione del parco. Alla fine, il comune non è riuscito a presentare le prove necessarie per dimostrare che l’area in questione fosse mai stata effettivamente un parco pubblico. Non ha fornito elementi sufficienti a dimostrare che la zona fosse stata sviluppata come spazio ricreativo o che vi fossero servizi pubblici di interesse locale.
Nell’ottobre 2022, il comune ha perso la causa davanti all’Alta corte di cassazione e giustizia, che ha dato ragione alla proprietaria. Secondo i testimoni del processo, tra cui Dan Trifu e i consiglieri locali, non sono state presentate prove né documenti che mostrassero l’investimento del comune per la riqualificazione del parco. Trifu ha sottolineato come questa assenza di prove abbia messo in discussione la legittimità stessa del procedimento giudiziario.
Lo svago tra le fiamme
Ogni tanto, un gruppo di attivisti organizza dei picnic nell’area retrocessa, su un terreno annerito e coperto di cenere. Questi raduni somigliano più a un tentativo simbolico di riconnettersi con un luogo che dovrebbe appartenere a tutti, che a una vera protesta. Per i residenti è un modo per incontrarsi e dedicarsi ad attività sociali: mangiare, chiacchierare, scattare fotografie. Questi picnic sono una forma di protesta alternativa in cui gli attivisti non vogliono soltanto cercare di aggiustare quello spazio desolato, ma piuttosto reinventarlo e reimmaginare il suo potenziale. Per qualche ora trasformano una sezione retrocessa e privata del parco in uno spazio per lo svago e la gioia condivisa.
Gli attivisti sono connessi al gruppo Here Was a Forest / Here Could Be a Forest (Qui c’era un bosco / Qui potrebbe esserci un bosco), nato nel 2023, in cui alcuni artisti, insieme a residenti delusi e disperati, hanno cominciato a organizzare regolarmente delle proteste vicino al parco. Chiedono che i dodici ettari di proprietà privata, illegalmente sottratti, vengano legittimamente riportati sotto proprietà pubblica. Sostengono che le autorità abbiano “fatto finta di non vedere” le ingiustizie che sono accadute nel parco e denunciano la mancanza di un reale coinvolgimento dei cittadini nei processi di pianificazione urbanistica.
Secondo l’organizzatore delle proteste Andreea David, con il passare del tempo i membri hanno assunto spontaneamente dei ruoli all’interno del gruppo: alcuni si occupano di documentare e studiare le questioni legislative e gli archivi sulla storia del parco, altri redigono richieste e inviano petizioni agli enti pubblici, come la polizia locale di Bucarest e il comune, sollecitandoli ad agire. Inoltre, il gruppo pubblica un giornale sia online che cartaceo, The Titans Don’t Sleep (I titani non dormono), che documenta il caso. Hanno un sito web che funge da piattaforma di informazioni per chiunque sia interessato alla storia del parco e alla sua retrocessione. Ritengono sia importante tenere viva la memoria dello spazio verde e registrare le fasi della sua distruzione.
Nel maggio 2024, il gruppo di iniziativa civica Ior-Titan, uno dei più longevi comitati di difesa del parco, ha compiuto un passo in più avviando una causa legale contro la decisione di retrocessione presa dal comune di Bucarest nel 2005. Sperano che questa azione sia decisiva: se riusciranno a dimostrare in tribunale che la retrocessione di Ior è stata illegale, il comune potrà riappropriarsi dell’area e restituirla al pubblico. Dopo una scrupolosa indagine sugli archivi municipali e sui documenti catastali degli anni ’80 e ’90, il gruppo sostiene che, fin dalla sua realizzazione, l’intero parco fosse classificato come spazio pubblico e che il suo status non sia mai stato ufficialmente modificato prima del 2005, rendendo quindi la restituzione illegale.
Come spiega Trifu, dimostrare in tribunale l’illegalità della restituzione degli spazi verdi è una strategia più sostenibile e a lungo termine rispetto all’esproprio, che raramente ha successo. “La maggior parte delle volte che ci siamo schierati a favore dell’esproprio, il comune ha risposto di non avere fondi sufficienti per farlo. Ho detto loro di riconsiderare come sono state emesse le decisioni di restituzione: queste persone hanno davvero il diritto di possedere queste aree?”.
Una distruzione pianificata
Esiste una legge che, almeno teoricamente, dovrebbe proteggere le aree verdi di Bucarest. L’ordinanza di emergenza 114/2007 vieta il cambiamento della destinazione d’uso degli spazi verdi, a prescindere da come siano classificati nei documenti di urbanistica o se siano pubblici o privati.
Questa legge, insieme alla legge sul verde urbano 24/2007, dovrebbe impedire ai costruttori di ottenere permessi edilizi sulle aree verdi. In molti casi, però, la legge è insufficiente a prevenire la distruzione dei parchi. Quando la natura ostacola il profitto, i costruttori cancellano qualsiasi traccia che il terreno in questione sia mai stato uno spazio verde, così che la legge non possa più proteggerlo. Ma finché crescono gli alberi sui terreni retrocessi, non possono costruire niente. Gli incendi, quindi, sono un metodo aggressivo per accelerare il processo di ottenimento dell'autorizzazione di costruire.
Esperti, persone del luogo, attivisti e alcuni politici si sono espressi pubblicamente sulla distruzione del parco Ior: hanno descritto l’incendio doloso come una strategia per “pulire” il terreno in vista della costruzione di un complesso di edifici. Questo spiegherebbe l’urgenza di rimuovere tutti gli alberi e l’intero ecosistema dell’area.
Chi gestisce il terreno ha già iniziato ad affittare gli spazi a vari soggetti interessati che, in mezzo a un paesaggio bruciato e apocalittico, hanno cominciato a posizionare attrazioni da luna park, come scivoli gonfiabili, giostre, trenini e circuiti di macchine per bambini. Queste installazioni sono spuntate dal nulla: non esiste un permesso edilizio, nessun nome è associato al progetto, non è stata comunicata né una data di inizio né una di fine lavori.
Ad oggi, il 90 per cento dell’area retrocessa del parco Ior è stata bruciata. Il panorama è impressionante: cumuli di alberi carbonizzati e un terreno talmente bruciato che non vi cresce più niente al di sopra. La rigenerazione sembra impossibile. L’idea sembra essere che, col tempo, i cittadini non avranno più nulla per cui lottare, e finiranno per arrendersi.
In una dichiarazione pubblica alla stampa, Eugen Matei, consigliere locale del settore 3, rafforza questa ipotesi: “Tagliano gli alberi per poter dire che lì non c’è più uno spazio verde. È lo stesso metodo di chi possiede edifici storici: li lascia andare in rovina finché crollano, così poi può chiedere il permesso per demolirli e costruire palazzi di dieci piani”.
Ana Ciceală, presidente della commissione ambiente del consiglio generale, la pensa allo stesso modo. La multa per abbattimento illegale di alberi, se pagata entro due settimane, si aggira intorno ai 5-100 lei per albero (circa quattro euro). Ciceală è l’unica politica ad aver proposto una legge al consiglio generale di Bucarest per alzare il prezzo della multa a 1000 euro per albero.

La sua bozza, però, è rimasta in stallo a causa di una serie di astensioni e rifiuti. Ciceală è molto dispiaciuta: “I consiglieri dicono di non poter approvare questo progetto perché il comune di Bucarest non rilascia abbastanza velocemente i permessi di abbattimento. In breve, la loro argomentazione è che non non si dovrebbero applicare multe elevate, anche se stanno permettendo illegalmente l’abbattimento di centinaia di alberi, a causa di un blocco burocratico sui permessi”.
Con i permessi ignorati, non si ha una prova evidente di quanti alberi vengano tagliati per motivi validi a Bucarest. Non si tengono dei veri registri su quanta vegetazione venga tagliata ogni anno, su quali terreni e quanti alberi siano stati piantati per riempire i buchi. Di conseguenza, ci sono numerose segnalazioni da parte della stampa su persone sorprese con delle motoseghe a tagliare gli alberi tra i condomini, nei parchi o nelle aree gioco, e si tratta di aree tutte retrocesse.
A peggiorare la situazione c’è stata anche la modifica del codice forestale. Fino al 2020, tutti gli alberi erano classificati come vegetazione ed erano gestiti secondo le norme forestali. Sradicamento, abbattimento o danneggiamento degli alberi erano considerati reati ambientali, perseguibili penalmente. Ma oggi non è più così.
Inoltre, a livello comunale, non esiste un registro degli spazi verdi. Un documento del genere fornirebbe un archivio digitale completamente accessibile con la documentazione di ogni spazio verde esistente a Bucarest. Nel 2013, su richiesta dell’Unione europea, era stato redatto un registro per calcolare e monitorare l’indice di verde urbano pro capite nella capitale, ma non è mai stato aggiornato, rendendo difficile valutare lo stato del suolo urbano pubblico. Inoltre, questo registro non era stato approvato dal consiglio generale del comune di Bucarest, dunque è privo di valore legale.
Conflitto di protezione
Dal 17 gennaio 2022, quando è stato registrato il primo incendio nel parco Ior, la risposta delle autorità è stata incoerente. Il commissario della polizia locale non ha fatto alcuna dichiarazione pubblica su quanto accaduto, nonostante gli attivisti avessero chiesto dei chiarimenti.
Beniam Gheorghiță, attivista e residente del quartiere Titan, spiega la difficoltà di coinvolgere le autorità nella protezione dell’area. Ci è voluto molto prima che venissero installate delle telecamere di sorveglianza nell’area retrocessa e, ad oggi, ne funzionano solo tre di dodici. Secondo una dichiarazione rilasciata a Gheorghiță dall’ISU Bucarest-Ilfov (l’ispettorato per le situazioni di emergenza), dal 17 gennaio 2022 al 26 agosto 2024 si sono verificati 28 incendi nell’area retrocessa del parco Ior. Nella dichiarazione, la causa di 21 di questi incendi è stata attribuita alle sigarette gettate al suolo.
Ma la probabilità che lo stesso luogo prenda fuoco così frequentemente per semplice negligenza sembra molto bassa. Per i rimanenti otto casi, non è stata comunicata alcuna informazione su chi possa aver appiccato gli incendi o per quale motivo. Alcuni residenti, tra cui Gheorghiță, partecipano regolarmente alle sedute del consiglio per esporre le loro preoccupazioni riguardo al caso, ma nessuna azione concreta viene messa in atto.

Nel luglio 2024, mentre camminava nel parco, Gheorghiță ha sorpreso due uomini muniti di asce mentre colpivano la base di diversi platani, molto probabilmente con l’intenzione di indebolirli e farli cadere più velocemente. Tutto ciò accadeva davanti agli occhi della polizia. Quando Gheorghiță è intervenuto, attirando la loro attenzione, ha solamente ottenuto una minaccia di morte da parte dell’inquilino dell’area, che è apparso sulla scena chiamandolo per nome, nonostante non si fossero mai incontrati prima. Questo episodio lo ha spaventato a tal punto che ha deciso di installare una videocamera sulla sua auto e all’entrata del condominio in cui vive e ha deciso anche di portarne una sempre con sé, per documentare eventuali aggressioni.
Nonostante le proteste e i reclami, gli incendi continuano a dilagare. Dopo due anni dagli incidenti riportati, solamente una persona è stata messa sotto custodia cautelare. Il 9 settembre 2024, un mese dopo l’arresto del sospettato, però, si è verificato un altro incendio, mentre l’uomo si trovava ancora in stato di fermo. Questo episodio ha alimentato i sospetti tra i residenti sul coinvolgimento di più persone. È stato uno degli incidenti più gravi mai avvenuti e ha distrutto due ettari di vegetazione. Il fumo era così denso che ha raggiunto l’ingresso della metropolitana vicino al parco, utilizzata quotidianamente da migliaia di persone. In quell’area, sono tutti terrorizzati. Oltre all’inquinamento, al disagio e agli effetti dannosi che il fumo ha sulla loro salute, temono che il prossimo incendio possa causare vittime.
Secondo una dichiarazione rilasciata dall’allora sindaco di Bucarest Nicușor Dan, dal 1990 la città ha perso 1600 ettari di spazio verde. Di questi, circa 300 ettari sono stati retrocessi. Giardini, lungolaghi, cortili e piazze, sezioni di parchi e foreste urbane sono stati trasformati in condomini, parcheggi, negozi e centri commerciali. Le aree verdi rimanenti rischiano di scomparire, dal momento che le leggi in vigore non le proteggono sufficientemente. A livello locale, il comune di Bucarest non dispone di una politica specifica o di una normativa che copra aspetti legati alla biodiversità, alla gestione delle aree naturali protette o alla conservazione degli habitat naturali, della flora e della fauna.
Diverse istituzioni e Ong hanno richiesto con urgenza un catasto del verde. Nel 2021, la Guardia nazionale ambientale (Gna) ha persino emesso una multa di oltre 20mila euro per il comune di Bucarest. Ad oggi, però, non esiste ancora uno strumento pubblico che registri e gestisca i dati relativi al verde urbano della capitale.
Le politiche ambientali europee stanno mettendo sempre più enfasi sul riportare la vegetazione nelle città, promuovendo infrastrutture verdi accessibili e ricche di biodiversità. La strategia dell’Ue sulla biodiversità per il 2030, ad esempio, sottolinea l’importanza di sviluppare piani per ravvivare il verde nelle città e nei centri abitati più grandi, incoraggiando le amministrazioni locali a introdurre soluzioni sostenibili nella pianificazione urbana per migliorare la resilienza climatica. Cambiamenti climatici, urbanizzazione mal pianificata e degrado ambientale hanno reso molte città più vulnerabili ai disastri, e tali politiche potrebbero essere cruciali per mantenere vivibili gli spazi urbani.
Secondo il “Rapporto sullo stato dell’ambiente di Bucarest” del 2022, la città ha meno di dieci metri quadrati di area verde per abitante. Con meno di un albero a persona, Bucarest si colloca tra le città europee con meno verde urbano. I dati sulla superficie delle aree piantumate a Bucarest variano, ma uno studio dell’Agenzia europea dell’ambiente (Aea) del 2018 stimava che solo il 26 per cento del territorio urbano di Bucarest fosse coperto da vegetazione, rispetto al 42 per cento della media nei 38 paesi membri dell’Aea. In Romania, l’elevato livello di inquinamento atmosferico è legato a un aumento di malattie respiratorie, infarti e ictus. Secondo uno studio della Commissione europea del 2021, l’inquinamento dell’aria ha contribuito a circa il sette per cento dei decessi (oltre 17mila morti) nel paese, una percentuale più alta rispetto alla media Ue, che si attesta intorno al quattro per cento.
Il caso della scomparsa degli alberi e della natura urbana a Bucarest, che trova la sua manifestazione più aggressiva nella vicenda del parco Ior, mostra come i problemi ambientali e urbanistici siano il riflesso diretto di come la corruzione influisca sulla vita delle persone, distruggendo il rapporto tra cittadini e spazi pubblici.
In assenza di un piano di gestione, i costruttori edili agiscono indisturbati, contribuendo alla riduzione di biodiversità urbana. La situazione attuale sottolinea l’urgenza di stabilire regole chiare per proteggere il patrimonio naturale di Bucarest. Al contempo, evidenzia le carenze legislative, la mancanza di consapevolezza ambientale da parte delle istituzioni pubbliche e l’interesse per il profitto immediato, a scapito del benessere dei cittadini e della sostenibilità della città, soprattutto in tempi di cambiamento climatico, quando sarebbe invece necessario puntare sulla resilienza.
Il caso del parco Ior rischia di non restare un episodio isolato. Se non cambiano le logiche speculative e burocratiche che stanno alla radice di questi problemi, questa storia potrebbe ripetersi altrove. Nonostante tutto, i cittadini continuano a lottare per riportare lo spazio verde nel dominio pubblico. La loro speranza resta viva.
🤝 Questo articolo è pubblicato come parte del progetto collaborativo Come Together. Una prima versione è disponibile su Eurozine.
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