"Prima sono venuti a cercare i giornalisti. Non sappiamo cosa è successo dopo". Tbilisi, luglio 2021. Una protesta davanti al Parlamento dopo l'uccisione del cameraman Aleksandre Lashkarava, ucciso dalla polizia. | Foto: ©Guram Muradov/Civil.ge tbilisi journalists

La libertà di stampa in Georgia è appesa a un filo, e sta per spezzarsi, ma noi giornalisti indipendenti non molliamo 

La Georgia affronta una pericolosa deriva autoritaria sotto la guida del partito filorusso Sogno Georgiano. Le aggressioni ai giornalisti stanno aumentando, così come censura, sorveglianza e leggi sempre più repressive. Nonostante i rischi, i media indipendenti resistono, scrive la nota giornalista Mariam Nikuradze, presa di mira dal regime.

Pubblicato il 4 Luglio 2025
tbilisi journalists "Prima sono venuti a cercare i giornalisti. Non sappiamo cosa è successo dopo". Tbilisi, luglio 2021. Una protesta davanti al Parlamento dopo l'uccisione del cameraman Aleksandre Lashkarava, ucciso dalla polizia. | Foto: ©Guram Muradov/Civil.ge

A otto mesi dalle elezioni parlamentari truccate, il governo di Tbilisi ha toccato nuovi traguardi nel suo arretramento democratico. Ha iniziato a censurare le emittenti televisive di opposizione per l’uso di termini sgraditi e a perseguire penalmente cittadini comuni per post su Facebook ritenuti offensivi nei confronti del partito al potere, Sogno Georgiano.

Ma questa è solo una parte della realtà. La libertà di parola e di espressione in Georgia è appesa a un filo. Potremmo essere a pochi mesi dal punto in cui quel filo si spezzerà, e noi, giornalisti e redazioni indipendenti, non potremo più svolgere il nostro lavoro.

Quattro anni fa, dopo una serie di brutali aggressioni ai giornalisti da parte dell’estrema destra, ci chiedevamo: “Cosa potrebbe esserci di peggio?”. Oggi ci troviamo ad affrontare minacce alla nostra sicurezza fisica e digitale, pressioni legali, campagne d’odio, attacchi mirati a singole testate e giornalisti, sanzioni economiche e ora anche incriminazioni penali. Mzia Amaglobeli, fondatrice dei giornali indipendenti Batumelebi e Netgazeti, rischia fino a sette anni di carcere.

In Georgia, essere giornalisti non ti protegge né dalle aggressioni, né dalle multe, né dalla prigione.

solidarity march tbilisi 06 2025 | Mariam Nikuradze
Tbilisi, luglio 2025. Marcia per la libertà di stampa. | Foto: ©Mariam Nikuradze

Dopo essersi assicurato una maggioranza nominale grazie a elezioni truccate, il partito Sogno Georgiano ha accelerato l’adozione di leggi repressive. Negli ultimi due anni, il governo ha varato almeno sedici nuove leggi e emendamenti restrittivi, molti dei quali prendono di mira direttamente la stampa. Oggi le autorità dispongono degli strumenti legali per minacciare la nostra stessa esistenza.

Quando la polizia diventa una minaccia

Nella Georgia di oggi, non esiste più nessuno che possa proteggere fisicamente i giornalisti. Nell’ultimo anno, in particolare dopo la decisione del 28 novembre 2024 di sospendere il processo di adesione all’Ue, la polizia ha iniziato a collaborare con chi aggredisce i giornalisti, invece di difenderli.

Durante le proteste di novembre e dicembre, sono stati documentati oltre 100 episodi di aggressione contro giornalisti e operatori dei media. Alcuni hanno riportato ferite gravi, in certi casi potenzialmente letali. Nessuno di questi episodi è stato nemmeno sommariamente indagato.

Di recente, Sogno Georgiano ha annunciato che il Servizio speciale d’investigazione (SIS), formalmente incaricato di indagare sulla condotta della polizia, sarà ora subordinato direttamente alla procura.

Ma già prima il SIS era evidentemente inefficace. Ho partecipato personalmente a diverse “indagini” su violazioni dei miei diritti da parte della polizia. Insieme ai miei avvocati, discutevamo per ore con gli investigatori, che davano l’impressione di interessarsi. Ma non c’era mai alcun seguito, e i casi non venivano mai risolti.

Riconoscimento facciale

Il servizio speciale d’investigazione forse non funziona, ma la nuova tecnologia di riconoscimento facciale basata sull’ia sì. Le telecamere sono installate lungo viale Rustaveli, la strada principale di Tbilisi e cuore delle proteste.

Oggi la polizia impiega meno sforzi che mai per sanzionare chi “ostacola la circolazione stradale”, una nuova infrazione, introdotta di recente, viene punita con una multa 5 mila lari georgiani (circa 1.600 euro).

Non colpisce solo i manifestanti. Per aver documentato le proteste come giornalista, ho accumulato un totale di 20 mila lari (6.400 euro) in multe. E le “prove” prodotte contro di me mostrano chiaramente che indossavo un tesserino stampa e una fotocamera. Ma ormai il sistema non si cura più nemmeno delle apparenze.

Oltre venti giornalisti sono già stati multati in base a questa legge. All’inizio, alcuni sono riusciti a far annullare le sanzioni dopo un ricorso al Ministero dell’interno. Ma pochi giorni fa, il mio primo ricorso è stato respinto, e le altre quattro multe sembrano destinate a restare.

Quando un giornalista rischia di morire per le percosse della polizia antisommossa su viale Rustaveli, il sistema di sorveglianza ia non basta nemmeno ad avviare un’indagine. Ma quando un manifestante pacifico si ferma sulla stessa strada, le telecamere avvisano immediatamente le autorità, che lo sanzionano. Anche se un giornalista viene aggredito in pieno giorno, davanti a una volante e a degli agenti, non parte nessuna indagine.

La legge è diventata un’arma contro di noi

Nonostante il susseguirsi di nuove leggi, una cosa è ormai evidente: in Georgia lo Stato di diritto non esiste più. Le leggi, la polizia, i tribunali sono oggi strumenti di repressione contro chi osa resistere o denunciare la verità sul regime.

Ripensando allo scorso anno, abbiamo commesso un errore: ci siamo concentrati troppo sul primo disegno di legge sugli “agenti stranieri”, e su come sopravvivere. Avremmo fatto meglio a focalizzarci sulla campagna elettorale e sui rischi che il nuovo sistema di voto elettronico avrebbe comportato per la nostra democrazia. 

Alla fine, quel primo disegno di legge non è mai stato applicato. Ma una seconda versione, chiamata FARA è appena entrata in vigore. Lezione imparata. FARA si ispira al Foreign Agents Registration Act statunitense del 1938, con l’obiettivo dichiarato di smascherare persone o organizzazioni che lavorano per entità straniere.

Oggi non importa più cosa dice la legge. Se Sogno Georgiano non gradisce una persona o un’organizzazione, agirà per eliminarla. Se FARA fosse applicata alla lettera, migliaia di persone finirebbero in prigione. Accadrà davvero? Forse no, o almeno non subito. Ma ci saranno punizioni esemplari per alimentare la paura e l’ansia.

E quella paura è già tra di noi. Lo sappiamo per esperienza diretta: il nostro editore, OC Media, ha perso l’ufficio che affittavamo da sei anni. Per settimane abbiamo cercato nuovi spazi, ma molti proprietari si rifiutavano di affittarci il locale, temendo le possibili conseguenze.

Mariam Nikuradze during the protests against Georgia's foreign agent law, in 2023 in Tbilisi. | Photo: ©Giorgi Nakashidze.
Mariam Nikuradze durante le proteste contro la legge georgiana sugli agenti stranieri, nel 2023 a Tbilisi. | Foto: ©Giorgi Nakashidze.

Perché continuiamo a fare questo lavoro?

Mentre la Georgia affonda nell’autoritarismo, essere giornalisti significa esporsi a rischi reali: aggressioni fisiche, multe enormi per aver coperto proteste, il rischio di finire in carcere per non essersi registrati come “agenti stranieri”, campagne diffamatorie orchestrate dai media di regime, la perdita dello stipendio, degli strumenti di lavoro, dell’ufficio. E per chi, come parte del nostro team, non è cittadino georgiano ma vive qui da anni, il rischio, concreto, di non poter più rientrare nel paese.

Eppure, tra chi ha resistito in questi ultimi tre anni, quasi nessuno dice di avere paura. O forse sì, ma non lo mostra. Continuano testardamente a fare il loro lavoro.

Spesso, dall’estero, mi chiedono: “Cosa possiamo fare per aiutare?”. Temo sia troppo tardi. C’è stato un momento in cui tutto questo si poteva ancora fermare. Ora stiamo perdendo il controllo. Fermare la deriva sarà molto più difficile. Ma possiamo ancora far conoscere la situazione georgiana. Possiamo mantenere la pressione su Sogno Georgiano e sul suo fondatore, l’oligarca Bidzina Ivanishvili. Possiamo proseguire la politica di non riconoscimento del governo. Possiamo sostenere, con flessibilità, chi lavora sul campo per trovare soluzioni e resistere. In breve: possiamo continuare a supportare chi non si è ancora arreso.

Durante le proteste, io e i miei colleghi ci ritroviamo a immaginare come sarebbe la nostra vita in carcere, se dovesse arrivare quel momento. Ci raccontiamo come siamo stati multati, le motivazioni assurde usate per respingere i nostri ricorsi, come sono andati i processi. L’oppressione è diventata la nostra quotidianità. Ma nonostante tutto, la solidarietà tra giornalisti è più forte che mai.


Spesso, dall’estero, mi chiedono: “Cosa possiamo fare per aiutare?”. Temo sia troppo tardi. […] Ma possiamo ancora far conoscere la situazione georgiana


Perché continuiamo, nonostante tutto? Me lo chiedo spesso. E le risposte sono tante. Credo che il giornalismo di qualità abbia ancora un impatto. E proprio per questo i regimi autoritari lo temono. È per questo che ci stanno facendo tutto questo. Ecco perché, oggi più che mai, dobbiamo continuare.

Poi c’è l’amore per questo mestiere. Non riesco a immaginare di fare altro con la stessa passione. E non riesco a immaginare di farlo altrove. Questa è la mia casa.

Infine, non possiamo arrenderci ora. Mentre giornaliste come Mzia Amaglobeli sono in prigione, noi siamo ancora liberi. E finché possiamo, dobbiamo usare questa libertà. Potrebbe fare la differenza. Anche se fosse per una sola persona, ne sarebbe valsa la pena.

IPI chiede all'Ue di reagire alle misure repressive contro la libertà di stampa
“Nell'ultima settimana Sogno Georgiano (SG) ha approvato una legge che rende molto più facile perseguire i giornalisti per diffamazione, ha imposto nuove restrizioni alla cronaca giudiziaria e un tribunale di Batumi ha prolungato la detenzione di Mzia Amaghlobeli nonostante le perizie mediche attestino che la sua vista si è gravemente deteriorata durante la prigionia”, afferma l'International Press Institute (IPI) in una dichiarazione rilasciata il 30 giugno.
L'organizzazione per la tutela della libertà di stampa invita “l'Unione europea e i suoi Stati membri a intensificare le pressioni sulla Georgia e ad arginare la rapida deriva autoritaria. È necessario esercitare una pressione efficace non solo sui funzionari di Sogno Georgiano, ma anche su tutti i responsabili politici e sui giudici responsabili della repressione dei media, della presa di controllo dell'emittente pubblica e della persistente impunità per i crimini contro i giornalisti”.

L'IPI rinnova inoltre il suo appello a SG affinché “abroghi le leggi repressive, tra cui la legge sulla registrazione degli agenti stranieri (FARA) e le recenti modifiche alla legge sull'emittenza radiotelevisiva e alla legge sulle sovvenzioni”. Esorta il parlamento guidato a "ritirare le modifiche recentemente adottate alla legge sulla libertà di espressione, nonché le modifiche che limitano la copertura mediatica dei procedimenti giudiziari" e ribadisce la sua richiesta di "rilascio del giornalista Mzia Amaghlobeli, ingiustamente incarcerata, che è diventata un simbolo della resilienza dei media georgiani".
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