Un'immagine dal progetto fotografico “Casa Marielle Franco e le altre” di Simona Pampallona e Francesca Leonardi. | Foto: per gentile concessione delle autrici Francesca Leonardi e Simona Pampallona Bologna

A Bologna la storia del movimento trans si interseca con il sistema di accoglienza

Casa Caterina, Casa Marielle Franco, casa bell hooks, Casa Sylvia Rivera… Un'esperienza di accoglienza per persone migranti richiedenti asilo all’intersezione con l’identità Lgbt+ ha prodotto un modello replicato su tutto il territorio nazionale. In una città, Bologna, dove le lotte delle persone transessuali sono già radicate.

Pubblicato il 8 Dicembre 2025
Francesca Leonardi e Simona Pampallona Bologna Un'immagine dal progetto fotografico “Casa Marielle Franco e le altre” di Simona Pampallona e Francesca Leonardi. | Foto: per gentile concessione delle autrici

“Nel 2018 è stata aperta Casa Caterina, la prima esperienza in Italia di case di accoglienza specifico per persone trans all’interno di un percorso migratorio”, racconta Antonella Ciccarelli, Coordinatrice del Settore Società e Diritti di CIDAS

La incontro una mattina di novembre nella sede della cooperativa, a Bologna. All’entrata, tra il materiale in consultazione, trovo Casa Marielle Franco e le altre, un lavoro fotografico di Francesca Leonardi e Simona Pampallona che racconta proprio l’esperienza di Casa Caterina e delle altre case di accoglienza per persone trans e migranti della capitale emiliana. 

Oggi queste strutture accolgono 28 persone suddivise in sette case che portano il nome di attiviste femministe o per i diritti delle persone Lgbt+, come Marielle Franco, bell hooks e Sylvia Rivera. 

Cidas bologna 1
“Casa Marielle Franco e le altre”, un lavoro fotografico di Francesca Leonardi e Simona Pampallona all’entrata della CIDAS.  | Foto: ©Francesca Barca

L’esperienza delle case di Bologna rientra nel sistema di accoglienza ordinaria del Sai, il Sistema accoglienza integrazione del ministero dell’interno italiano. Il Viminale collabora poi con gli enti locali che decidono, su base volontaria, di aderire al progetto, mi spiega Ciccarelli. Sul territorio, il comune poi si avvale dei soggetti del terzo settore per realizzare i diversi servizi (consulenza legale, orientamento, riqualificazione professionale, inserimento lavorativo, mediazione linguistica…). Tutte le persone che accedono sono o richiedenti asilo o titolari di permessi di soggiorno.

Una volta lanciata l’esperienza, mi racconta Ciccarelli, la sfida è stata quella di “provare a sviluppare un modello di intervento” specifico. Oltre ad un’equipe multidisciplinare (consulenti legali, antropologi, consulenti in orientazione), la squadra è composta da un'operatrice alla pari, ovvero “una persona che aveva avuto o uno stesso vissuto migratorio o la stessa esperienza, ad esempio, di transizione”. 

Antonella Ciccarelli, Coordinator of the Society and Rights section at CIDAS. | Photo courtesy of the interviewee
Antonella Ciccarelli, CIDAS. | Foto per gentile concessione dell'intervistata.

L’operatrice o l’operatore alla pari permette di “creare un rapporto di fiducia più immediato e riuscire ad affrontare alcune tematiche che per noi erano più difficili da trattare” come le questioni legate al “percorso di medicalizzazione, di transizione del genere”, prosegue Ciccarelli, o ancora per lavorare in maniera non giudicante su temi come il sex work o l’uscita da quest’ultimo”. 

La creazione di questa posizione è conseguenza di una collaborazione di lunga data con il Mit (Movimento identità trans), grazie al quale è possibile avere un accesso al loro consultorio per la salute fisica, mentale e sociale delle persone trans in collaborazione con l'azienda sanitaria locale e con l'ospedale Sant'Orsola Malpighi di Bologna.

Un altro elemento importante della collaborazione con il Mit è l’accesso a un “luogo associativo nel quale si possono incontrare persone della comunità Lgbt+ e creare una rete sociale”, aggiunge, perché le persone accolte possano “confrontarsi con altre persone trans o gender non conforming o non binary su un po' quello che è il proprio vissuto”. 

Bologna e la comunità trans 

“La storia di Bologna è effettivamente unica nel panorama italiano”, conferma Anita Garibalde da silva, Coordinatrice dei progetti per il Mit. Sin dagli anni Settanta, infatti, è una delle città d’Italia più aperte rispetto a questa comunità. 

Il Movimento identità transessuale  è nato proprio a Bologna nel 1979 sotto il nome di Movimento italiano transessuali: “Per la prima volta in Italia un gruppo di persone trans prendeva parola in modo politico, pubblico e strutturato”, racconta Garibalde da silva. “Il cambiamento più grande, da allora, è stato il passaggio dalla mera sopravvivenza alla possibilità di immaginare diritti, salute e dignità”. 

Non è un caso che in Italia esista la legge 164 del 1982 che ha reso possibile la transizione di genere con la modifica dei dati anagrafici e l’intervento chirurgico. Cosa non da poco per il periodo, e per un paese a forte tradizione cattolica come l'italia. Il primo paese a legiferare in questo senso è stata la Svezia, nel 1972. 

Nel 1995 Bologna ha avuto anche una consigliera comunale, Marcella Di Folco, prima persona trans a essere eletta a questa carica in Italia. Oggi Porpora Marcasciano, un’altra figura centrale del Mit, siede al Consiglio comunale di Bologna.


“Il cambiamento più grande, da allora, è stato il passaggio dalla mera sopravvivenza alla possibilità di immaginare diritti, salute e dignità” – Anita Garibalde da silva, Mit


Oltre al consultorio dedicato, il Mit si occupa di assistenza e tutela delle persone transgender negli istituti di detenzione, coordina uno sportello per persone migranti Lgbt+, offre accompagnamento socio-sanitario presso strutture e servizi territoriali, realizza attività di riduzione del danno e sostegno alle persone transgender che svolgono lavoro sessuale e garantisce supporto legale contro discriminazioni e violenze.

Anita Garibalde da silva, Project Coordinator at Mit. | Photo courtesy of the interviewee
Anita Garibalde da silva, Mit. | Foto per gentile concessione dell'intervistata.

“Bologna, nel corso degli anni, ha saputo riconoscere questo ruolo politico e sociale: l’attenzione delle istituzioni locali, i progetti condivisi e l’integrazione con la rete socio-sanitaria hanno creato un ecosistema che ha permesso alla comunità trans e Lgbt+ di crescere in modo più tutelato rispetto ad altre città. Naturalmente restano criticità, ma rispetto agli anni di Marcella Di Folco il quadro è profondamente cambiato: oggi le persone trans possono contare su servizi, ascolto, competenze e spazi comunitari che prima semplicemente non esistevano”, continua Garibalde da silva. 

Non è tutto perfetto, non è tutto rosa, continua: le discriminazioni sono comunque una realtà, l’accesso al lavoro resta complicato e la precarietà colpisce in maniera sproporzionata le persone trans. “L’Italia è un paese in cui la comunità trans e Lgbtqia+ vive una condizione a doppia velocità. Da un lato, grazie al lavoro delle associazioni e di realtà come il Mit, esistono esperienze di eccellenza; dall’altro lato manca ancora un quadro legislativo moderno e coerente". 

“Rispetto al resto d’Europa, l’Italia è in ritardo: paesi come Spagna, Malta, Portogallo, Irlanda e diversi paesi del nord hanno introdotto leggi di autodeterminazione, protezioni avanzate e strategie nazionali per le persone Lgbtqia+. In Italia molti diritti esistono solo grazie alla giurisprudenza o al lavoro del terzo settore. Il contributo delle associazioni – e Bologna è un esempio importante – compensa in parte le mancanze istituzionali, ma non può sostituire la responsabilità dello stato”, conclude Garibalde da silva.

La situazione in Europa
Secondo i dati dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (Fra, 2024), realizzata su un totale di 98.272 persone Lgbt+ residenti nell’Ue, il 36 per cento ha dichiarato di aver subito discriminazioni legate all’identità sessuale o di genere nel 2023. 

Il sondaggio ha rilevato che le persone intervistate che si definiscono “richiedenti asilo o rifugiati” hanno segnalato tassi molto più elevati di discriminazione a causa della loro identità Lgbt+ (il 54 per cento) rispetto a coloro che non si identificano come tali (il 37  per cento), spiega Tara Morris del media team della Fra. 

Una tendenza simile si osserva per coloro che si identificano come membri di un gruppo minoritario in termini di religione (il 47 per cento contro il 37 per cento), etnia o origine migrante (il 43 per cento contro il 37 per cento) e colore della pelle (il 43 per cento contro il 37 per cento). Stessa cosa, aggiunge Morris, per quanto riguarda gli episodi di molestie motivate dall'odio, più frequenti tra gli intervistati Lgbt+ che sono richiedenti asilo o rifugiati (il 66 per cento) o che si identificano come appartenenti a un gruppo minoritario in termini di etnia o origine migrante (il 61 per cento) o colore della pelle (il 60 per cento).

All’intersezione tra migrazione e identità di genere

Scrive Altreconomia che “secondo la XXII edizione del Rapporto annuale Sai, curato dal dipartimento Dati statistici e studi tematici di Cittalia, al 31 dicembre 2023 i beneficiari Lgbt+ del Sistema erano circa 218 persone sul totale di 54.512 beneficiari accolti nell’intera annualità (0,4 per cento)”.  Un dato “assolutamente sottostimato”, aggiunge Ciccarelli. Si tratta di persone che possono impiegare “molto tempo per fare coming out e le motivazioni possono essere tante”.

Se una persona scappa “da un paese in cui l'essere gay può portare a condanne giudiziarie molto pesanti”, arriva in Italia ma può ritrovarsi nella “comunità del paese di origine, che magari replica le pratiche culturali”. 


“Da un punto di vista politico quello che facciamo è fondamentale; credo che sia stato necessario per rendere visibili le persone anche richiedenti asilo Lgbt+, perché molto spesso restano invisibili" - Antonella Ciccarelli, CIDAS


Prima della nascita di Casa Caterina “non esistevano nell'ambito del Sai, delle strutture dedicate a questo target”, spiega Ciccarelli. Questo “non vuol dire che prima del 2018 non ci fossero persone lesbiche, gay, trans, bisessuali o intersex nel circuito dell'accoglienza”, aggiunge sorridendo, “semplicemente venivano inserite nelle strutture o per uomini singoli o per donne singole”.  

“Dalla nascita di Casa Caterina siamo diventati un punto di riferimento a livello nazionale e abbiamo cominciato a ricevere tante segnalazioni da tutto il sistema di accoglienza” che, nota Ciccarelli, “negli anni ha subito tagli drammatici".

“Da un punto di vista politico quello che facciamo è fondamentale; credo che sia stato necessario per rendere visibili le persone anche richiedenti asilo Lgbt+, perché molto spesso restano invisibili: credo che in un percorso di autodeterminazione, avere uno spazio in cui poter fare il coming out e vivere liberamente il proprio orientamento sessuale e la propria identità di genere sia una grande pratica politica di liberazione”, conclude Ciccarelli.  

L’esperienza di Bologna è stata replicata in diverse città italiane con l’aiuto e l’accompagnamento di CIDAS. 

Grecia e Spagna
La percentuale di persone a cui è stato concesso lo status di rifugiato a causa di persecuzioni basate sull'orientamento sessuale è aumentata gradualmente negli ultimi anni in Spagna raggiungendo l'11,4 per cento dei rifugiati. Si tratta di un aumento del 2,5 per cento rispetto al 2022. 
Il sostegno alle persone appena arrivate è fornito da personale qualificato con competenze specifiche. C’è una stretta collaborazione in materia di formazione, sensibilizzazione, documentazione e altri settori con organizzazioni specializzate, quali il Programma di Madrid per l'informazione e il sostegno alle persone Lgbt+, l'Associazione catalana per l'integrazione degli immigrati omosessuali, bisessuali e transgender (Acathi) e l'Associazione di Melilla delle persone lesbiche, gay, transgender e bisessuali (Amlega). 

In Grecia esistevano organizzazioni che offrivano alloggio a persone migranti Lgbt+, ma sono state chiuse a causa dei tagli ai finanziamenti dell'Usaid e dei programmi sostenuti dall'Unhcr. Le persone più colpite sono le donne transessuali, che denunciano trattamenti discriminatori o indifferenza da parte della polizia, hanno difficoltà a trovare un impiego e subiscono discriminazioni anche da parte dei membri della loro stessa comunità nazionale.  
🤝Questo articolo è stato realizzato nell'ambito del progetto PULSE, un'iniziativa europea a sostegno della collaborazione giornalistica internazionale. Federico Caruso (Obct), Lola García-Ajofrín (El Confidencial) e Dimitris Angelidis (EFSYN) hanno contribuito alla sua realizzazione. 

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