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Come l’Europa ha reso “sostenibile” l’industria degli armamenti

Gli investimenti “verdi” nelle aziende del settore della difesa hanno subìto un’impennata negli ultimi anni fino a raggiungere i 50 miliardi di euro, sull’onda delle pressioni congiunte dell’industria bellica e della Commissione europea, determinati a convincere le banche che anche il business delle armi può essere “sostenibile”. Un’inchiesta in collaborazione con El País, IrpiMedia e Mediapart.

Pubblicato il 17 Dicembre 2025

“La guerra è pace, la pace è guerra”. Insieme all’industria della difesa, la Commissione europea sembra aver fatto proprio lo slogan più famoso del distopico 1984 di George Orwell per convincere i mercati finanziari che la produzione di armi può essere considerata sostenibile. 

L’obiettivo: aprire le porte del crescente mercato degli investimenti sostenibili o ESG (che promuovono attività ecologiche, sociali o di buona governance), il segmento verde della finanza europea che attira capitali globali per settemila miliardi di euro, secondo gli ultimi dati Morningstar

Attraverso un linguaggio calibrato, documenti strategici e una serie di incontri ufficiali, Bruxelles ha progressivamente ampliato il concetto di sostenibilità, fino a includere nel suo perimetro settori apparentemente estranei quali la difesa e la sicurezza. 

Come rivela questa inchiesta coordinata da Voxeurop, l’evangelizzazione portata avanti dalla Commissione ha legittimato l’aumento dei titoli di imprese del settore della difesa nei portafogli verdi delle società di gestione del risparmio. Produttori di droni come la francese Safran, di bombe come la tedesca Rheinmetall, e di carri armati come la britannica Bae Systems, sono presenti nei portafogli dei fondi verdi per miliardi di euro, la maggior parte dei quali sono gestiti da asset manager globali autorizzati ad operare nei mercati europei. 

Per esempio Elbit Systems, primo produttore di armi israeliano e direttamente coinvolto nella guerra a Gaza e nella distruzione delle terre agricole della Striscia, figura oggi in fondi di “transizione climatica” o “ESG”. Così i piccoli risparmiatori europei potrebbero essersi trovati a finanziare senza saperlo quello che le Nazioni Unite hanno definito come un genocidio.

50 miliardi di fondi verdi finiti in carri armati e droni militari 

In soli quattro anni, gli investimenti verdi nell’industria bellica sono più che triplicati. Da 14.5 miliardi di euro nel 2021 a 49.8 miliardi nel 2025. Tra il 2024 e il 2025 la quota di investimenti nel settore è raddoppiata, secondo dati che abbiamo estratto dalla London Stock Exchange Group, una piattaforma internazionale di dati finanziari. 

La nostra inchiesta ha analizzato i dati sugli investimenti verdi in 118 tra le società del settore della difesa quotate in borsa con la maggiore capitalizzazione al mondo, cioè quelle con maggior valore di mercato. Abbiamo analizzato 3.037 fondi che dal 2021 al 2025 hanno inserito azioni del settore della difesa nei loro portafogli verdi.
Gli investimenti verdi sono quelli disciplinati dal Regolamento europeo relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (detto Sfdr) in vigore dal 2021, disciplina gli investimenti che promuovono “caratteristiche  ambientali e/o sociali” (articolo 8) e per quelli che devono essere propriamente “sostenibili” (articolo 9). Si applica a tutte le istituzioni finanziarie attive nel mercato dell’Unione europea, il più grande al mondo.

Dal 2021 al 2025 il valore di mercato di tutte le società oggetto dell’analisi è raddoppiato raggiungendo i tremila miliardi di euro, l’equivalente del pil della Francia nel 2024. Solo nel 2025 circa 769 fondi verdi hanno accumulato profitti per 7 miliardi di euro tra compravendita di azioni e distribuzione di dividendi da parte delle società attive nella difesa. 

“In questo periodo queste aziende hanno generato forti profitti, e investire nella difesa era quindi conveniente”, spiega a Voxeurop Nicola Koch, dell'ong Sustainable Finance Observatory. Tuttavia, aggiunge, "i produttori di armi non possono rientrare nella definizione di investimenti sostenibili perché la funzione ultima dei loro prodotti è quella di ferire, distruggere o uccidere, provocando così impatti negativi sulla vita umana e sugli ecosistemi che non sono in linea con i principi dello sviluppo sostenibile. È quindi di fondamentale importanza la massima trasparenza sui criteri di ammissione e di esclusione e che le preferenze degli investitori al dettaglio siano attentamente chiarite e rispettate durante gli incontri con i consulenti finanziari".

“Oggi è molto redditizio investire nei produttori di armi. Investire in queste aziende è ancora più lucrativo se sono anche beneficiarie di finanziamenti verdi”, commenta Attiya Waris, esperta indipendente delle Nazioni Unite in materia di debito estero, altri obblighi finanziari internazionali e diritti umani, nonché docente di diritto fiscale all'Università di Nairobi.

Quali società hanno tratto maggiori profitti?

Nel 2025 104 società si sono spartite i 49,8 miliardi di euro di investimenti verdi commercializzati da società di gestione del risparmio. Metà di questa somma è andata a 27 società europee. La prima è la francese Safran, con 5.6 miliardi di euro. Seconda è la tedesca Rheinmetall con 4 miliardi di euro.

Tra le dieci società della difesa che attirano più investimenti verdi ci sono anche la tedesca MTU Aero Engines, l’italiana Leonardo, la filiale olandese di Airbus, la francese Thales, la spagnola Indra e la svedese Saab e le britanniche Rolls Royce e BAE Systems. Rolls-Royce, tramite la sua filiale tedesca MTU e BAE Systems producono componenti o sistemi di arma usati dall’esercito israeliano a Gaza.

Uscendo dai confini europei le società statunitensi fanno da padrone: fabbricanti di armamenti come Howmet Aerospace, General Electric, Axon, Boeing, TransDigm e RTX dominano la classifica, attirando 13 miliardi di euro sui 18 destinati a investimenti fuori dall’Unione europea, pari al 70 per cento.

In Europa i principali fondi verdi commercializzati ai risparmiatori comprendono il fondo “ESG Top World”, offerto da DWS in Germania (che investe 95 milioni nella canadese Bombardier) e diversi altri fondi proposti da Montpensier Arbevel. Quest’ultimo propone un “Best Business Model SRI” (dove SRI sta per Investimento sostenibile e responsabile) e un “Great European Models” che hanno investito 60 milioni tra Airbus e Safran, mentre il gigante statunitense BlackRock commercializza in Lussemburgo un “European Equity Transition” che detiene azioni per 24 milioni di euro in MTU Aero Engines, Rolls Royce e Thales.

“La produzione di armi non è sostenibile per definizione. Queste aziende possono già raccogliere tutto il capitale di cui hanno bisogno attraverso strumenti di debito tradizionali, quindi garantire finanziamenti sufficienti non dovrebbe essere un problema per loro”, osserva Nicola Koch. “Non credo che la loro presenza nei fondi verdi sia motivata da considerazioni finanziarie. A mio avviso, il tentativo dell'industria delle armi di essere classificata come sostenibile è motivato piuttosto dalla reputazione, come un modo per dimostrare che l'industria è responsabile”.

Come si è arrivati a questi livelli di investimenti? Il caso di un manager tedesco espulso da una riunione organizzata dalla Commissione Europea racconta la storia di un processo imposto dall’alto e coordinato con le aziende della difesa. 

Le scomode domande del bancario alla Commissione europea

Tommy Piemonte era un manager della banca tedesca Pax-Bank für Kirche und Caritas – “Banca della pace per la chiesa e la carità”. Metà italiano e metà tedesco, da anni lavora nel campo della finanza sostenibile. Il 27 novembre 2024 ha partecipato a un incontro emblematico organizzato dalla commissione europea: il Forum sugli investimenti industriali nel settore della difesa dell’Ue, intitolato “Investire nella difesa e nella sicurezza dell’Ue: una nuova priorità politica”. L’incontro aveva un obiettivo preciso: aprire le porte dei fondi sostenibili all’industria della difesa. Lo abbiamo incontrato nel gennaio 2025.

In qualità di rappresentante di una banca etica e membro dell’associazione per lo sviluppo sostenibile Shareholders for Change (“Azionisti per il cambiamento”), Piemonte si aspettava risposte chiare dalla Commissione. Invece, è stato espulso dall’evento dopo aver messo in discussione la presunta “sostenibilità” del settore della difesa.

All’incontro – che riuniva funzionari della Commissione, rappresentanti dell’industria bellica e operatori finanziari – Piemonte, collegato online, ha posto alcune domande semplici: “Perché pensate che sia così importante per l'industria delle armi essere etichettata come sostenibile?”. L’ultima delle sue osservazioni, secondo la ricostruzione che ci ha fornito, gli è costata l’espulsione: “Non date l’impressione che non rispondete alle mie domande solo perché vi sembrano troppo critiche”.

“Mi hanno cacciato senza preavviso. Ero scioccato, mi sembrava una situazione irreale perché io rappresento i finanziatori e gli investitori, soprattutto quelli che hanno a cuore la sostenibilità, cioè il settore al quale era indirizzato questo incontro”, ci ha raccontato Piemonte. “Sei stato allontanato perché stavi disturbando la riunione”, gli hanno poi spiegato gli organizzatori dell’evento via mail. 

La ricostruzione è stata confermata da Andrea Baranes, presidente della Fondazione Finanza Etica, anche lui presente al Forum: “Quasi tutti i relatori hanno ripetuto lo stesso slogan: non c’è sostenibilità senza sicurezza. È un tentativo esplicito di dimostrare che la finanza sostenibile è compatibile con il settore della difesa”, ha spiegato. “Come se io fossi vegetariano e al ristorante mi servissero una bistecca, dicendo che da oggi tutte le bistecche sono vegetariane” – il Grande Fratello orwelliano non avrebbe da ridire.

Un rapporto interno della Commissione che abbiamo analizzato rivela che gli organizzatori hanno invece apprezzato “discussioni produttive sulle sfide e le opportunità di investimento” nell’ambito di un incontro che, a detta loro, avrebbe promosso “il dialogo tra il settore finanziario, la Commissione e l'industria sugli incentivi agli investimenti nel settore della difesa”.

Le slide dell’evento, che abbiamo ottenuto in esclusiva, confermano questo messaggio. Diversi dipartimenti della Commissione – dalle Direzioni generali per la difesa e lo spazio a quella per la stabilità finanziaria – lavorano per convincere gli asset manager a includere i produttori di armi nei fondi verdi. Anne Fort, vice capo di gabinetto del commissario europeo per la difesa e lo spazio Andrius Kubilius, vi sostiene che “il quadro finanziario sostenibile dell'Ue non impone alcuna limitazione al finanziamento del settore della difesa”.

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Joanna Sikora-Wittnebel, responsabile per la finanza sostenibile nella Direzione generale per la stabilità finanziaria, aggiunge: “Il quadro finanziario sostenibile dell'Ue è compatibile con gli investimenti nella difesa”, sottolineando in una slide che “l’Sfdr è neutrale dal punto di vista settoriale”.

Armi che “non recano danni significativi”

Per poter essere considerato sostenibile secondo le regole europee un investimento non deve recare danni significativi agli obiettivi di sostenibilità. Per questo motivo la Commissione ha fornito una lista di indicatori chiamati “Principali impatti negativi delle decisioni di investimento sui fattori di sostenibilità” (Principal adverse impacts of investment decisions on sustainability factors). 

L’unica menzione del settore della difesa fra questi indicatori è quello di esposizione ad armi controverse (mine antipersona, munizioni a grappolo, armi chimiche e biologiche). Per la normativa tutte le altre armi come carri armati, droni armati, munizioni o armi da fuoco, e persino le armi atomiche non provocherebbero danni significativi. 

“I nostri fondi ai sensi dell'articolo 8 possono investire in società del settore della difesa, a seconda che il fondo segua la nostra strategia di esclusione o la nostra strategia di esclusione estesa”, ci ha detto un portavoce di Swedbank Robur, che nel primo trimestre del 2025 ha investito 1,25 miliardi di euro nel settore della difesa. “Investiamo in società che riteniamo possano offrire ai nostri clienti un rendimento sostenibile a lungo termine. Prima di investire, effettuiamo un'analisi approfondita di tutti gli investimenti nel settore della difesa”. Altri gestori patrimoniali che abbiamo contattato, tra cui BlackRock, DWS e Franklin Templeton, hanno rifiutato di commentare.

Il caso del Forum è solo la punta dell’iceberg di uno sforzo congiunto tra Commissione e industria della difesa per aumentare questi investimenti, come emerge chiaramente da rapporti interni, incontri con lobbisti e raccomandazioni politiche del settore militare.

Come le armi sono diventate sostenibili in Europa 

La campagna per far riconoscere l’industria della difesa come sostenibile decolla nel 2021, anno dell’entrata in vigore dell’Sfdr. In ottobre l’Associazione europea delle industrie aerospaziali, della sicurezza e della difesa (Asd) – che riunisce le principali aziende al centro di questa inchiesta tra cui Safran, Airbus, Rheinmetall, Leonardo, e BAE Systems – ha pubblicato un documento di sintesi che dettava la linea per includere la produzione bellica negli investimenti verdi.

“La difesa è una componente essenziale della sicurezza, e la sicurezza costituisce il presupposto per la pace, la prosperità, la cooperazione internazionale e lo sviluppo economico e sociale”, scriveva l’allora segretario generale Jan Pie, aggiungendo: “Contribuendo a garantire la sicurezza, i produttori europei del settore della difesa danno di fatto un contributo fondamentale a un mondo più sostenibile”.

No sustainability without defence and security

Il documento denunciava le restrizioni che i fondi verdi delle banche imponevano alle industrie belliche. L’obiettivo era accreditare la difesa nel settore Esg e chiedere alle istituzioni europee di diffondere quel messaggio, semplificando al tempo stesso i criteri di esclusione adottati dalla Banca europea per gli investimenti.

Questa narrativa si è diffusa anche attraverso iniziative nazionali. Un gruppo di rappresentanti del settore della difesa provenienti da Germania, Finlandia, Francia, Belgio, Paesi Bassi e Norvegia ha pubblicato un comunicato dal titolo “Non c’è sostenibilità senza difesa e sicurezza”, richiamando il linguaggio dell’Asd. Deborah Allen, direttrice del gruppo Clima, Ambiente e Infrastrutture di BAE Systems, ribadiva in un’intervista: “Senza sicurezza non c'è sostenibilità”.

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L’urgenza del settore di entrare nel mercato degli investimenti verdi emerge anche dai documenti interni. Le minute degli incontri tra i lobbisti della difesa e la commissione europea – che abbiamo ottenute dopo una lunga e complessa richiesta di accesso agli atti – rivelano chiaramente il tono delle pressioni. In uno di questi incontri, nel marzo 2021, l’Asd lamentava che i “prodotti finanziari verdi escludono sempre più la difesa e ne limitano l'accesso ai finanziamenti”. 

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A novembre dello stesso anno Alessandro Profumo, ad di Leonardo – azienda italiana produttrice, tra l’altro, di munizioni d’artiglieria a lungo raggio e sistemi di artiglieria navale innovativi – ha incontrato Timo Pesonen, dg per l'industria della difesa e lo spazio della commissione europea. In quella riunione, spiega una minuta che abbiamo ottenuto, Profumo “ha espresso preoccupazione per il fatto che l'industria della difesa sia esclusa dalla tassonomia dell'Ue per le attività sostenibili”. 

Questo fronte coordinato ha gradualmente trovato ascolto e supporto a Bruxelles, con un’impennata dopo l’invasione a tutto campo Russa in Ucraina. 

Il 15 febbraio 2022, una settimana prima che comincasse l’“operazione speciale” russa, una comunicazione della Commissione al parlamento europeo chiedeva con urgenza maggiori fondi al settore della difesa per via delle crescenti tensioni ai confini ucraini, affermando che “è altrettanto importante garantire che altre politiche orizzontali, quali le iniziative in materia di finanza sostenibile, rimangano coerenti con gli sforzi dell'Unione europea volti a facilitare un accesso sufficiente dell'industria europea della difesa ai finanziamenti e agli investimenti”.

La guerra in Ucraina ha rafforzato gli argomenti dell’industria, anche in ambito finanziario: “Dall'invasione russa dell'Ucraina, il valore delle azioni delle società europee operanti nel settore della difesa, che prima era depresso, ha registrato una notevole ripresa”, scrive l’Asd nell’ottobre 2022. In questa nota suggerisce che la Commissione e le autorità di vigilanza europee competenti, emanino linee guida per chiarire che i gestori del risparmio non debbano rendere pubblici gli impatti negativi degli investimenti in società europee del settore della difesa che non sono coinvolte nelle quattro categorie di armi controverse.

Il testo sembra anche riconoscere l’avversione del pubblico e delle banche nei confronti degli investimenti militari: “Fino a quando e anche quando il pregiudizio normativo sarà eliminato, l'Asd teme che i gestori patrimoniali possano continuare ad attuare esclusioni nel settore della difesa, in particolare a causa della pressione dell'opinione pubblica o dei requisiti specifici per gli investitori.”

L’Asd chiede quindi un ancora più intenso supporto politico da parte delle istituzioni europee, scrivendo che occorre “intensificare le azioni volte a convincere i gestori patrimoniali che l'Unione e i suoi stati membri sostengono le imprese del settore della difesa e sono determinati a garantire loro l'accesso ai finanziamenti privati”. 

Un anno dopo la posizione dell’Asd viene ribadita quasi parola per parola in una nota: “La Commissione riconosce la necessità di garantire l'accesso ai finanziamenti e agli investimenti, anche da parte del settore privato, per tutti i settori strategici, in particolare l'industria della difesa che contribuisce alla sicurezza dei cittadini europei”.

“Il risanamento dell'immagine del settore della difesa nell'immaginario collettivo, e successivamente nel quadro normativo, è stato il risultato di una strategia di comunicazione e lobbying abile, sofisticata e coordinata da parte dei leader industriali nazionali e delle associazioni di categoria”, commenta Alberto Alemanno, professore universitario e fondatore di The Good Lobby, a Voxeurop.


Il processo descritto da Alemanno si completa nel 2024, con la Strategia industriale europea per la difesa. Nel documento la Commissione afferma che nessuna norma ostacola gli investimenti privati nel settore militare e riprende apertamente lo slogan coniato tre anni prima: “L'industria della difesa dell'Unione contribuisce in modo determinante alla resilienza e alla sicurezza dell'Unione e, di conseguenza, alla pace e alla sostenibilità sociale. In tale contesto, il quadro dell'UE per la finanza sostenibile è pienamente coerente con gli sforzi dell'Unione volti a facilitare un accesso sufficiente dell'industria europea della difesa ai finanziamenti e agli investimenti. Esso non impone alcuna limitazione al finanziamento del settore della difesa.”


“La distanza tra un investimento etico e un attacco a Gaza è più diretta e più tracciabile di quanto l’industria vorrebbe ammettere” – Iain Overton, Action on Armed Violence


Si è poi arrivati al 27 novembre 2024, il giorno in cui Tommy Piemonte è stato cacciato dalla riunione e in cui “le bistecche sono diventate vegetariane”.

“Non solo il settore è stato riabilitato, ma è stato anche promosso grazie alla sua inclusione tra le categorie ammissibili al finanziamento sostenibile”, aggiunge Alemanno. “È un vero miracolo prodotto dalla stessa strategia”.

Infine, il 20 novembre, la Commissione ha pubblicato una versione rivista della normativa sulla finanza sostenibile che, per la prima volta, menziona direttamente il settore della difesa: “La revisione dell'Sfdr si basa sulle linee guida della Commissione relative all'applicazione del quadro normativo dell'Ue in materia di finanza sostenibile al settore della difesa”.

“La verità è che non c'è sostenibilità senza pace”, osserva l'esperta delle Nazioni Unite Attiya Warris. “La sicurezza non comporta necessariamente la produzione e l'uso di armi, che potrebbero portare a uccisioni illegali. Finanziare e fornire i mezzi per uccisioni illegali attraverso la fornitura di armi e il sostegno finanziario lungo l'intera catena del valore non corrisponde alla sicurezza”.

Per il dottor Iain Overton, direttore esecutivo dell'ong basata a Londra Action on Armed Violence, che si occupa di ricerca sui conflitti, questi investimenti non rivelano un problema etico astratto, ma “una catena probatoria di responsabilità morale. La distanza tra un investimento etico e un attacco a Gaza è più diretta e più tracciabile di quanto l'industria vorrebbe ammettere”.

Elbit Systems: dai fondi verdi alla guerra a Gaza

Prima del 7 ottobre, 2023, giorno dell'attacco terroristico di Hamas su Israele che ha provocato oltre 1.200 morti e inizio della risposta israeliana – l’operazione “Spada di ferro” – e le sue oltre 67mila vittime, il valore di un’azione di Elbit Systems ruotava sui 200 euro. Oggi il valore è più che raddoppiato, raggiungendo quota 480 euro. 

Il suo rapporto di bilancio del 2024 descrive chiaramente il ruolo attivo di Elbit nella fornitura di armi all’esercito israeliano: “Dall'inizio della guerra, Elbit Systems ha registrato un aumento significativo della domanda dei propri prodotti e soluzioni da parte del ministero della difesa israeliano rispetto ai livelli precedenti al conflitto […] Nel corso del 2024, la società si è aggiudicata contratti dal ministero per un valore complessivo di oltre 5 miliardi di dollari.”

Come ha già dimostrato il centro Action on Armed Violence, numerose armi prodotte da Elbit Systems, tra cui bombe e proiettili, sono state usate a Gaza durante “Spada di ferro”.

La guerra ha anche dato a Elbit la possibilità di sperimentare l’uso militare dell’intelligenza artificiale e di migliorare i suoi prodotti. Avrà anche rafforzato la fiducia dei 25 fondi verdi che nel 2025 hanno investito complessivamente 23 milioni di euro nella società israeliana. Tra questi compaiono un fondo “ESG Optimized” offerto dalla VP Bank del Liechtenstein e venduto anche in Germania, o il “BGF Climate Transition” offerto da BlackRock Investment Management UK, venduto in diversi paesi dell’Ue.

Altri fondi verdi che investono in Elbit, dichiarano di utilizzare criteri di investimento Esg o di escludere aziende che vìolino i principi del Global Compact delle Nazioni Unite, il cui primo articolo recita: “Le imprese dovrebbero sostenere e rispettare la protezione dei diritti umani proclamati a livello internazionale”. 

“Le imprese dovrebbero sostenere e rispettare la protezione dei diritti umani proclamati a livello internazionale”. Proprio per questo motivo, osserva Attiya Warris, “i prodotti utilizzati per distruggere la vita, specialmente se collegati al genocidio, non possono essere in linea con il Global Compact e richiedono una valutazione approfondita”.

✍️ Futura D'Aprile ha collaborato a questa inchiesta
🤝 Questa inchiesta collaborativa è stata coordinata da Voxeurop, con il contributo di El País (Spagna), IrpiMedia (Italia) e Mediapart (Francia). La sua realizzazione è stata sostenuta da una sovvenzione del fondo Investigative Journalism for Europe (IJ4EU). L'International Press Institute (IPI), l'European Journalism Centre (EJC) e qualsiasi altro partner del fondo IJ4EU non sono responsabili del contenuto pubblicato e di qualsiasi uso che ne venga fatto.
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