Non Una di Meno (NUDM) è un movimento transfemminista nato in Argentina nel 2015, poi diffusosi a livello globale che lotta contro il patriarcato e la violenza maschile e di genere. Attiva in diverse città italiane, NUDM ha, tra le altre cose, agito in difesa dei consultori: servizi socio-sanitari pubblici dedicati alla salute sessuale e riproduttiva, nati dalle lotte femministe degli anni Settanta e istituzionalizzati dalla Legge 405/1975. Originati come centri di salute sociali, politici e femministi oltre che come ambulatori ginecologici, i consultori sono da anni sottoposti a un progressivo attacco, con chiusure e tagli.
In parallelo, l’Italia si trova ad affrontare una situazione complessa per quanto riguarda l’accesso all’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG). Se da un lato la legge ha depenalizzato l’aborto, dall’altro ha introdotto l’obiezione di coscienza, consentendo al personale sanitario di rifiutare di eseguire l’intervento. In Italia, oltre il 70 per cento dei medici si dichiara obiettore, con punte che sfiorano il 100 per cento in alcune regioni.
A complicare ulteriormente il quadro è la mancanza di informazioni istituzionali aggiornate in merito all’IVG, fenomeno che si inserisce anche nel contesto delle politiche nataliste del governo Meloni.
La “Consultoria” di Non Una di Meno Padova
La Consultoria nasce simbolicamente l'8 marzo 2024, con l'occupazione di un ex consultorio vacante e inutilizzato dal 2019. La scelta del nome, che trasforma il genere maschile "consultorio" in quello femminile "Consultoria", è un atto politico e di rivendicazione di queste strutture come luoghi di cura collettiva e autodeterminazione.
L’esperienza, guidata da NUDM Padova, nasceva dalla volontà di riappropriarsi di uno spazio politico e femminista all’interno della città, per creare un centro di salute sessuale autogestita, un presidio contro la violenza di genere e per sopperire alle lacune istituzionali, sia fisiche - intese come mancanza di strutture - che informative, soprattutto per quanto riguarda l’aborto.
L’esperienza della Consultoria ha coinvolto la comunità, che ha preso parte alle assemblee, ai laboratori sulla salute sessuale e ai momenti di socialità. Nei suoi nove mesi di vita, si sono svolte numerose attività, elaborate a partire dai bisogni espressi dalle persone. Tra queste, cerchi di parola, laboratori di educazione sessuale e affettiva con ginecologhe e operatrici nell’ambito della cura, oltre a workshop autogestiti di autodifesa femminista e punti di riferimento e supporto contro la violenza di genere, in sinergia con il lavoro dei Centri Antiviolenza.
Uno dei servizi più importanti riportati all’interno della Consultoria - che NUDM svolge da anni – è lo Sportello Aborto tramite il quale le volontarie offrono informazioni sull’IVG e accompagnano chi lo richiede alle visite sanitarie per abortire. “Questi sportelli, che nella Consultoria ricevevano almeno due richieste di aiuto a settimana, costituiscono l’impalcatura politica dell’azione di NUDM, non per sostituirsi al pubblico, ma con il desiderio di fare rete e lottare per una sanità laica e accessibile, dove abortire sia un diritto e non un privilegio”, spiega Cecilia, attivista di NUDM Padova.
Aborto in Italia: obiezione di coscienza e mancanza di dati
L’aborto, in Italia, è stato depenalizzato nel 1978 con la Legge 194, frutto di anni di dibattiti parlamentari, nei quali la volontà di autoderminazione dei movimenti femministi venne ampiamente ridimensionata per realizzare un compromesso con le forze politiche conservatrici dell’epoca.
Ciò si evince dal titolo della legge “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza”, la quale prima protegge la maternità e poi stabilisce le circostanze in cui l’aborto non costituisce reato. In Italia, dunque, a differenze di altre tradizioni giuridiche, l’aborto non è concepito come un diritto di libera scelta, ma come una misura sanitaria volta alla tutela della vita umana.
Come spiega Cecilia “la Legge 194, si configura di fatto come un’antinomia, inserendo all’interno della normativa stessa lo strumento per depotenziarla, ovvero l'obiezione di coscienza". L'Articolo 9 garantisce al personale sanitario, di fronte alla richiesta di una donna di effettuare un’IVG, il pieno diritto di rifiutarsi ad eseguire l’intervento per motivazioni di natura etico-morale. Nonostante nell’ultima Relazione del Ministero sullo stato di attuazione della 194 si legga “che non si pongono problemi di fruizione" e "che su di esso non incide il diritto di obiezione di coscienza”, la realtà dei fatti sembrerebbe essere diversa.
Nel 2025, in Italia, il tasso di obiettori, tra medici e personale sanitario, è talmente alto che per moltissime donne, soprattutto migranti o con minore possibilità economica, abortire diventa un percorso ad ostacoli: burocratici e culturali. Le donne che vogliono ricorrere all’IVG si scontrano con tempi di attesa lunghi e informazioni confuse, trovandosi spesso costrette a doversi spostare tra città e regioni nella speranza di trovare un medico disposto ad effettuare l’intervento.
L’Articolo 16 della 194 stabilisce che ogni anno, entro febbraio, venga presentato al Parlamento italiano un rapporto che monitori lo stato dell’IVG, dal numero di obiettori di coscienza al totale degli interventi eseguiti. I dati più recenti del Ministero della Salute riportano che, nel 2022, il 60,5 per cento dei ginecologi, il 37,2 per cento degli anestesisti e il 32,1 del personale non medico si sono dichiarati obiettori.
Nel 2021, le regioni con il maggior numero di ginecologi obiettori erano Sicilia (85 per cento), Abruzzo (84) e Puglia (80,6), mentre le percentuali più basse si registravano a Trento (17,1 per cento) e in Valle d'Aosta (25). Oltre al fatto che la Relazione sull’Attuazione della 194 accumula ormai ritardi cronici—l’ultimo rapporto disponibile riporta i dati di tre anni fa—le informazioni fornite dal Ministero risultano spesso confuse, obsolete e inutili. Come visibile nel Grafico 1, la relazione Ministeriale pubblica i dati aggregati per media regionale, e non per struttura ospedaliera, rendendo difficile per una donna capire, concretamente, in che ospedale recarsi per abortire.
Le giornaliste Chiara Lalli e Sonia Montegiove, dell’Associazione Luca Coscioni, per far fronte a questa situazione, da anni conducono un’indagine periodica, chiedendo alle singole regioni di pubblicare dati aggiornati sull’IVG che facciano riferimento alle singole ASL e strutture sanitarie.
Tuttavia, molte regioni si sono rifiutate di fornire queste informazioni, oscurando alcuni dati o rendendoli illeggibili. Il quadro che emerge dal report Mai Dati, frutto di questa inchiesta, descrive una situazione ancora più critica rispetto alla versione ufficiale fornita dal Ministero. Secondo Mai Dati, nel 2022 ben 72 ospedali in Italia avevano tra l’80 per cento e il 100 per cento di obiettori tra il personale sanitario; 4 consultori e 20 ospedali registravano il 100 per cento di obiettori tra il personale sanitario, mentre in 18 ospedali tutti i ginecologi erano obiettori. In Molise, l’accesso all’aborto risulterebbe proibitivo, con un solo centro IVG in tutta la regione.
Alla luce di ciò, come riportano Lalli e Montegiovi in Mai Dati, le istituzioni perpeturebbero un duplice abuso quando si tratta di aborto. Da un lato, violando l’Articolo 16 della legge 194, venendo meno all’obbligo di fornire annualmente le statistiche nella Relazione Annuale sull’Attuazione della 194. Dall’altro contravvenendo alla normativa FOIA (decreto legislativo n.97 del 2016) che garantisce il diritto di accesso alle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni, oscurando i dati sull’obiezione di coscienza. In Italia, dunque, l’accesso all’IVG non è ostacolato solo dalla stessa legge 194, che consente l’obiezione, ma anche dalla carenza di informazioni e dall’impossibilità di accedervi.
Oltre all’assenza di dati sulle strutture in cui è possibile abortire e alla scarsità di luoghi che offrono il servizio, il Ministero della Salute, nella sua webpage istituzionale, fornisce pochissime informazioni pratiche sull’IVG. Come afferma Cecilia, “In Italia l’accesso all’IVG non è garantito, anche perché non si riesce a capire come si fa”.
Le volontarie di NUDM, raccontandomi del loro lavoro nello Sportello Aborto della Consultoria, sottolineano come spesso le persone chiamino per ottenere informazioni di base, che sembrano banali, ma che possono risultare difficili da reperire: “Quanto sanguinerò con la RU486? Quanto dolore proverò? Posso guidare il giorno dopo? Posso andare a lavorare?”. Oltre a fornire risposte a questi e ad altri interrogativi, gli sportelli aborto offrono anche un supporto psicologico ed emotivo in un ambiente accogliente e non giudicante, colmando un bisogno che spesso nel servizio pubblico risulta meno soddisfatto.
Il clima di giudizio che sembrerebbe caratterizzare i consultori non è solo una questione culturale, ma ha radici normative che attingono alle ambiguità insite nella 194 stessa.
Infatti, la legge Italiana sull’aborto, non solo permette, ma prevede e incentiva la presenza di figure pro-vita e organizzazioni a supporto della maternità nei consultori. Queste associazioni hanno l’incarico di "risolvere" le motivazioni che spingono una donna a interrompere una gravidanza—ossia le “circostanze economiche, sociali, familiari o di salute” (Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Legge n. 194, Articolo 4)—escludendo così del tutto l’idea che una donna possa abortire per motivi personali e subordinando in partenza la sua volontà a un processo di giustificazione. La 194 è un’antinomia proprio per questo: depenalizza l’aborto, ma poi, nei luoghi deputati a praticarlo, introduce persone incaricate di convincere a fare il contrario.
Il ruolo del governo Meloni
Se già la 194 limitava l’autodeterminazione delle donne, le recenti modifiche normative avrebbero ulteriormente rafforzato l’influenza dei gruppi antiabortisti nei consultori e negli ospedali. Da aprile 2024, le convenzioni che sanciscono l’accesso di queste organizzazioni nei consultori non sono più solo finanziate con fondi regionali, ma anche con fondi pubblici e statali, che attingono al PNRR (Piano di Ripresa Nazionale).
Questo cambiamento è avvenuto grazie a un emendamento proposto da Fratelli d’Italia alla Camera dei Deputati (aprile 2024) che rafforza il potere di associazioni antiabortiste e “organizzazioni del terzo settore con comprovata esperienza nel supporto alla maternità" (Decreto PNRR, 2024, p.69) di operare nei consultori.
Il partito di Meloni ha descritto questo provvedimento come uno strumento per informare le donne sulle misure di welfare disponibili, per evitare che l’aborto venga scelto per motivi di natura economica o sociale. Queste modifiche non sono rimaste confinate alla teoria, ma hanno avuto conseguenze tangibili: hanno ulteriormente rafforzato la presenza dei gruppi pro-vita nel territorio.
In un “paese di stampo cattolico” come l’Italia, spiega Francesca di NUDM Padova “le organizzazioni antiabortiste operano come gruppi militanti ad azione capillare, a partire dai luoghi ecclesiastici, fino ai Centri di Aiuto alla Vita” (CAV).
Questi Centri, associazioni volontarie cattoliche all’interno del quale si può accedere alla carità cristiana per il mantenimento del figlio, sono finanziati da soldi pubblici (come nel caso della regione Piemonte) e supportati dal governo attuale, che rafforza così l’influenza antiabortista nel paese.
L’accesso istituzionale garantito ai gruppi pro-vita non si limiterebbe a una maggiore visibilità nei consultori, ma si tradurrebbe oggi in una presenza sempre più strutturata all’interno della sanità pubblica. “Ci sono delle città in cui a seguito dell’emendamento Fratelli d’Italia, le organizzazioni anti abortiste, sono entrate in modo semi-istituzionale negli ospedali, ottenendo in gestione degli spazi dedicati”, spiega Francesca di NUDM Padova. Il caso più eclatante, secondo le attiviste, è quello dell’Ospedale Sant’Anna a Torino nel quale è stata istituita la Stanza dell’Ascolto dove i pro-vita hanno ottenuto in gestione uno spazio di informazione per l’aborto” che di fatto fa, disinformazione scientifica”.
Per quanto riguarda Padova, da dicembre 2024, gli ospedali di Camposampiero e Cittadella, hanno rinnovato la convezione tra l’Uls 6 Euganea e l’associazione antiabortista Movimento per la Vita – (CAV) concedendo agli antiabortisti di fare volontariato negli ospedali e di essere presenti con bacheche e materiale informativo.
Di fronte a questo progressivo smantellamento del diritto all’aborto, la lotta e resistenza di NUDM, si concretizza anche tramite Obiezione Respinta SoS Aborto, progetto che mira a fare una mappatura dell’obiezione in Italia, sulla base di testimonianze anonime organizzate per struttura. Tramite un QR code, le persone accedono a un portale che riporta tutti i luoghi della salute pubblica nel territorio, e possono raccontare la loro esperienza con il personale medico, denunciando la presenza di obiettori o gruppi antiabortisti, così come di personale empatico e preparato.
La crisi della sanità italiana e l’attacco ideologico
Secondo la Legge 34 del 1996, sul territorio italiano dovrebbe esserci un consultorio ogni 20.000 abitanti. Tuttavia, a Padova, città di 200.000 abitanti, ne sono stati chiusi quattro negli ultimi dieci anni: nella regione Veneto il tasso di obiezione di coscienza sfiora il 70 per cento.
Queste dinamiche si inseriscono nel generale attacco alla sanità italiana, dovuto al contemporaneo definanziamento e demansionamento del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che sta perdendo la sua natura universalistica a causa degli ingenti tagli. Il Rapporto Sanità curato da CREA (Centro per la ricerca economica Applicata in Sanità, 2024) mostra come la spesa sanitaria totale pro-capite nazionale italiana nel 2023, sia risultata 37,8 per cento inferiore a quella dei rimanenti paesi che hanno aderito all’Ue prima del 1995. Il risultato è che in Italia la sanità è sempre più privatizzata, con forti disparità territoriali e un accesso alle cure sempre più difficile per le fasce deboli della popolazione e per i migranti.
In questo quadro, con più di 37 miliardi sottratti alla sanità pubblica nel decennio 2010-2019 (GIMBE, 2024) realizzati indipendentemente dal colore politico, da tutte le classi dirigenti degli ultimi vent’anni, sempre più consultori vengono accorpati e chiusi. In Italia sono stati chiusi 300 consultori negli ultimi 10 anni (da 2.430 nel 2013 a 2.140 nel 2023, secondo gli annuari statistici del SSN) e quelli che rimangono aperti subiscono diminuzione di orari e personale.
La conseguenza e fenomeno parallelo a questo è stata la depoliticizzazione di queste strutture, che da centri innovativi dotati di un approccio multidisciplinare alla salute - fisica, mentale e collettiva - stanno diventando sempre più semplici ambulatori.
L’attacco ai consultori va in primo luogo contestualizzato nel progressivo indebolimento del SSN, ma rientra anche in un più ampio quadro ideologico, quello di estrema destra del governo Meloni.
Oltre al decreto di aprile e i finanziamenti stanziati dallo stato ai Centri Aiuto per la Vita, l’istanza che fomenta la chiusura dei consultori in Italia riguarderebbe anche la visione della donna come soggetto politico dipinto dall’attuale classe dirigente.
Secondo Francesca e Cecilia di NUDM, è errato pensare che il governo Meloni “sia solo un governo neofascista, perché Meloni ha la capacità di combinare neofascismo e neoliberalismo in modo molto forte”. La donna che propone la Presidente non è solamente una donna madre, “ma è una donna, madre, lavoratrice, la quale trova la sua libertà nella libertà di mercato”. Nonostante il governo, con il Ministero delle Pari Opportunità, della Famiglia e Natalità guidata dalla ministra pro-vita Roccella, si rifaccia a uno scenario molto natalista, che ha portato a fare dei collegamenti con il fascismo storico, “il tema della natalità sembra sempre più inserirsi in un discorso anti-migranti, razziale, dove ostacolare l’aborto in Italia, sia strettamente legato a una volontà politica: quello di riprodurre una famiglia, e quindi la patria bianca”.
Lo sgombero della Consultoria
L’esperienza della Consultoria è stata interrotta il 12 dicembre 2024, quando è stata sgomberata, nove mesi dopo l’occupazione, intervallo di tempo che le attiviste di NUDM descrivono come ironico, richiamando il tema della gestazione.
La Questura di Padova e l’Azienda Territoriale ATER hanno giustificato l’intervento con la necessità di liberare lo spazio per un progetto di co-housing. Tuttavia, come sottolineano le militanti di NUDM, l’azione è stata condotta nel modo più depoliticizzato possibile: nel silenzio, senza preavviso né possibilità di dialogo, limitandosi a cambiare le serrature.
La Consultoria non era nata per supplire alla privatizzazione di un servizio pubblico, spiega Cecilia, bensì per proporre un modello di salute popolare e alternativo, che operasse “dentro e contro” il sistema, affrontando al contempo la solitudine che caratterizza una società sempre più atomizzata. Oggi la Consultoria di NUDM Padova è alla ricerca di una nuova casa e sta portando avanti trattative con il Comune per trovare uno spazio adeguato.
I ricordi della Consultoria
“Avevamo questo grande giardino dove all’inizio stavamo moltissimo.
Non ti dico le condizioni igienico sanitarie. Tutto ciò che è stato usato per arredare la Consultoria è stato donato dalla cittadinanza. Un giorno, all’orario di pranzo, è arrivata una signora che si è seduta al tavolo, si è fumata una sigaretta e si è messa a fare una videochiamata. Noi non abbiamo capito molto bene – perché normalmente quando qualcuno arrivava nel giardino della Consultoria si facevano due chiacchiere per capire cosa stava succedendo. Sono andata da lei e le ho chiesto se avesse bisogno di qualcosa.
Lei mi risponde che fa la badante, che viene dall’est Europa. Che ha un’ora di pausa, che aveva visto aperto e che c’era del verde. “Ho visto che era un posto in cui ci sono donne e ragazze e nulla, mi sto facendo la mia videochiamata”.
Quando diciamo che la salute è molto di più di assenza di malattia, intendiamo anche questo, salute sociale, di collettività, anche di avere un posto che sia fuori dalle logiche di mercato, per cui non ti senti obbligato a prendere una birra, a dover pagare per essere. Un posto in cui non devi giustificare la tua presenza, dare nulla come controprestazione. È qualcosa che ricordo con molta emozione”
(Cecilia, attivista NUDM Padova)
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