All’ombra dei cartelli

Gli accordi per la spartizione del mercato annullano la concorrenza e costano milioni di euro ai consumatori. Ma in Europa chi viene scoperto rischia al massimo una piccola multa.

Pubblicato il 5 Dicembre 2012 alle 16:21

Il più delle volte gli uomini d’affari si incontravano al congresso della federazione professionale dell’elettronica di Francoforte. Lì presentavano i nuovi mercati, le nuove tecnologie e ogni altra novità del settore dei trasformatori, quei grandi congegni fatti di magneti e bobine indispensabili per qualsiasi generatore di elettricità. Ma le cose si facevano davvero emozionanti soltanto alla chiusura del programma ufficiale del congresso, la sera o durante le gite di gruppo.

Direttori generali e responsabili delle vendite si ritrovavano in “piccole rappresentanze” – così hanno ricostruito gli inquirenti – per “scambi mirati su progetti precisi”, con risultati a dir poco redditizi. Stringevano accordi che garantivano agli pseudo-concorrenti benefici nell’ordine delle decine di milioni di euro. Tutti i presenti concordavano nei dettagli come spartirsi i contratti e, cosa ancora più importante, i prezzi da praticare.

I funzionari dell’Ufficio federale dei contratti di Bonn hanno scoperto che per almeno cinque anni il gruppo Siemens, la società Starkstrom-Gerätebau di Ratisbona, il gruppo francese Alstom e il colosso svizzero dell’energia elettrica Abb si sono spartiti il mercato tedesco dei trasformatori, eliminando ogni forma di concorrenza a discapito dei consumatori, costretti a sborsare cifre nettamente più alte di quelle che avrebbero pagato se i fornitori fossero stati in concorrenza tra loro.

L’inchiesta dell’anti-trust è durata quattro anni ed è culminata nel settembre scorso con una sfilza di sanzioni finanziarie. Complessivamente le quattro società e i dirigenti coinvolti hanno dovuto versare 24,3 milioni di euro di multe al tesoro pubblico. Ma al di là di questo non è successo niente: nessuno è stato obbligato a rispondere del proprio operato in un tribunale. Nessuna delle parti coinvolte è stata citata. E tranne poche righe, neanche i media si sono dilungati sulla faccenda.

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Va a finire sempre così quando i cartelli si fanno pizzicare in Europa. Ogni anno le authority anti-trust svolgono inchieste su centinaia di società che aggirano il divieto di accordi dietro le quinte. Caffè, detersivo per lavastoviglie, cemento e prodotti chimici, schermi, lettori di dvd, vetri e cavi elettrici per automobili, perfino gli automezzi dei vigili del fuoco e i gamberetti grigi: l’elenco dei settori coinvolati è senza fine, o quasi.

In realtà il costo della piaga dei cartelli è molto più alto di quanto non si creda. Sulla base della loro esperienza, le autorità anti-trust hanno potuto stabilire che i cartelli gonfiavano in media i prezzi dei loro prodotti del 25 per cento, così che nell’arco di quattro anni riuscivano a mettere da parte un bonus equivalente al loro intero giro d’affari annuo. Naturalmente, conoscerne l’importo preciso è impossibile. Gli accordi informali sono “figli delle tenebre” , come disse l’ex giudice Franz Jürgen Säcker, tra i più autorevoli esperti di diritto della concorrenza all’università di Berlino.

Tuttavia dal 2007 un gruppo di nove economisti appartenenti a tre istituti di ricerca europei ha valutato le perdite imputabili agli accordi informali europei nell’ordine dei 260 miliardi di euro l’anno in uno studio condotto su richiesta della Commissione europea. Una cifra pari al 2,3 per cento del pil annuo dell’Unione, e al doppio del bilancio annuale della Commissione europea.

Il tentativo di prendere coscienza delle devastanti ripercussioni degli accordi informali non risale a ieri: uno dei guru dell’economia tedesca, Walter Eucker, considerava la concentrazione dei poteri economici nelle mani dei sindacati e dei cartelli l’origine di tutti i mali dell’economia di prima della guerra. A tal proposito raccomandava vivamente che lo stato adottasse un approccio più severo per imporre la concorrenza e abbassare i prezzi.

Queste raccomandazioni non hanno portato a grandi risultati. Certo, il Bundestag ha votato nel 1957 la prima legge sulle restrizioni della concorrenza, prima di introdurre una legge anti-trust europea per mezzo dei trattati comunitari. Ma per anni la lotta contro gli accordi informali ha sofferto di una mancanza di combattività e ancor oggi alcuni ne mettono in dubbio l’efficacia.

Le cifre delle recidive non giovano a eliminare i dubbi. Alcuni economisti americani hanno esaminato il caso di 283 trust internazionali e le conclusioni alle quali sono pervenuti sono strabilianti: tra il 1990 e il 2005 il solo gruppo chimico tedesco avrebbe fatto parte di 26 cartelli. Quanto alla compagnia petrolifera francese Total, è stata citata 18 volte; l’azienda chimica tedesca Defussa 13 volte.

Non si può accusare i cacciatori di cartelli di scarso zelo: dall’inizio del 2010 la Commissione europea ha lavorato a 15 importanti procedimenti, nei quali 112 aziende sono state condannate al pagamento di multe per una cifra complessiva pari a quasi quattro miliardi di euro. Ovvero quasi il quadruplo, nell’arco di tre anni, di tutti gli anni novanta considerati nel loro insieme.

Le cause di questa impennata di multe non vanno ricercate nel tentativo di miglioramento da parte delle autorità competenti, quanto nell’introduzione di una regolamentazione generosa nei confronti dei principali testimoni. Dal 2004 le aziende e i loro dirigenti che denunciano un accordo informale e presentano alla Commissione europea le prove necessarie non incorrono più in nessuna ammenda, quand’anche fossero stati loro i diretti beneficiari di tale intesa illecita.

Solo una multa

A ciò va aggiunto il fatto che le sanzioni finanziarie sono limitate al massimo al 10 per cento del giro d’affari. Una vera inezia, come testimonia il caso del cartello dei cementifici tedeschi emerso nel 2002. Dai calcoli dell’anti-trust risulta che tale accordo informale avrebbe sottratto ai clienti quasi due miliardi di euro. Ma le aziende incriminate non hanno versato che 400 milioni di euro di sanzioni. Pur provocando danni considerevoli, i cartelli vengono multati come chi viola il codice della strada. Le loro azioni sono considerate semplici infrazioni e di conseguenza chi le commette non è chiamato a risponderne davanti alla giustizia. Nella maggior parte dei casi l’opinione pubblica non viene neppure a conoscere i nomi.

Negli Stati Uniti le cose funzionano molto diversamente: lì costituire un cartello o farne parte significa rischiare il carcere. Nel 2004 la pena massima è stata portata a dieci anni di reclusione. Irlanda e Regno Unito hanno seguito il modello americano. Ma la Germania non vuole proprio sentirne parlare. Il segretario del ministro dell’economia Philipp Rösler ha dichiarato che quest’ultimo “nutriva delle riserve per ciò che concerne la criminalizzazione del diritto europeo sugli accordi informali”.

Se l’ostinazione della Germania nel trattare gli accordi informali come piccoli reati costituisce un problema è anche perché, secondo l’opinione di molti giuristi, questa generosità non è applicata a tutti. Infatti gli accordi stretti in occasione delle offerte pubbliche di acquisto, denominate “offerte d’appalto concertate”, sono passibili di sanzioni ben più pesanti.

Commissione europea

Multa record al cartello degli schermi

Mercoledì 5 dicembre “la Commissione europea ha inflitto una multa record da 1,47 miliardi di euro a sette compagnie che per dieci anni, [dalla fine degli anni novanta], si sono messe d’accordo sui prezzi dei tubi catodici per televisori e schermi di computer”, riferisce Le Figaro. Il quotidiano parigino ricorda che la Commissione ha effettuato perquisizioni nei locali delle compagnie fin dal 2007, e sottolinea che si tratta “della multa cumulativa più salata inflitta dalla Commissione a un cartello”.

Le compagnie multate sono Lg Electronics, Philips, Samsung, Panasonic, Mtpd (oggi filiale di Panasonic) Toshiba e Technicolor. [...] Il produttore tailandese Chunghwa Picture Tubes, che ha rivelato l’esistenza dell’accordo fraudolento, non è stato multato.

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