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I fondi “green” di Amundi e il miliardo investito nelle aziende fossili

La società finanziaria francese possiede degli investimenti etichettati come sostenibili o che promuovono la sostenibilità sociale o ambientale, che però finanziano aziende fossili. Negli ultimi due anni ha investito quasi un miliardo e mezzo di euro nei giganti delle energie non rinnovabili, rivela l’inchiesta di IrpiMedia e Voxeurop.

Pubblicato il 15 Settembre 2025

Affermazione da verificare: Tra il 2024 e l'inizio del 2025 Amundi ha destinato 1,1 miliardi di dollari a investimenti nel settore fossile, attraverso fondi "green" che rispetterebbero i criteri Esg (Environmental, Social, Governance), e quindi dovrebbero promuovere attività sostenibili ed etiche.

Contesto: Per raggiungere la neutralità carbonica prevista dall’Accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici, l’Unione eEuropea si impegna a rendere “i flussi finanziari coerenti con un percorso che conduca a uno sviluppo a basse emissioni di gas a effetto serra e resiliente al clima”, in linea con i criteri Esg. Questi ultimi servono per analizzare i risultati delle aziende, valutando le pratiche relative all'ambiente, alla società e alla governance, per determinare la loro responsabilità e sostenibilità. 


Amundi Investment Solutions, asset manager francese, è il leader europeo nel settore del risparmio gestito e si colloca tra i primi dieci a livello globale, con un portafoglio che supera i duemila miliardi di dollari. Tra il 2024 e l'inizio del 2025 Amundi ha destinato 1,1 miliardi di dollari a investimenti nel settore fossile, attraverso fondi "green" che rispetterebbero i criteri Esg (Environmental, Social, Governance), e quindi dovrebbero promuovere attività sostenibili ed etiche. Se estendiamo l'analisi al 2023, il totale dei fondi definiti verdi e destinati al settore fossile ammonta a 1,7 miliardi di dollari secondo un’analisi di dati d’investimento della piattaforma LSEG (London Stock Exchange Group). 

Per raggiungere la neutralità carbonica prevista dall’Accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici, l’Unione europea si impegna a rendere “i flussi finanziari coerenti con un percorso che conduca a uno sviluppo a basse emissioni di gas a effetto serra e resiliente al clima”, in linea con i criteri Esg. Questi ultimi servono per analizzare i risultati delle aziende, valutando le pratiche relative all'ambiente, alla società e alla governance, per determinare la loro responsabilità e sostenibilità. 

Per questo nel Regolamento europeo sull’informativa di finanza sostenibile (Sfdr), in vigore dal 2021, l’Ue ha distinto i fondi finanziari in tre articoli: i fondi articolo. 6, che non tengono conto dei parametri ambientali; i fondi articolo 8, anche chiamati light green  o verde chiaro, che non hanno specifici obiettivi ESG, ma ne promuovono le caratteristiche; e i fondi articolo 9, dark green o verde scuro, che promuovono obiettivi esplicitamente sostenibili. 

Nonostante l’etichetta, anche i fondi articolo 8 possono includere investimenti in aziende legate ai combustibili fossili. Negli ultimi anni, con le regole più stringenti introdotte dall’Unione Europea sui fondi articolo 9, molti asset manager, invece di rivedere gli investimenti, hanno preferito cambiare nome ai  fondi dark green in light green, per evitare di incorrere in sanzioni. Dal sito di Amundi, sulla base delle linee guida europee del maggio 2024, emerge che 11 fondi hanno subito modifiche al nome. In sei di questi Amundi ha rimosso la denominazione “Net Zero” – che non contribuisce all’aumento delle emissioni di CO2 – o Esg.

Dopo le linee guida emanate dall’Ue, Amundi ha applicato delle variazioni di nome, togliendo i termini sostenibili dal titolo. Di fatto non ha modificato gli investimenti, continuando a finanziare aziende leader nel settore dei combustibili fossili. 

Amundi, però, continua a promuovere i propri investimenti come “responsabili” ai suoi clienti. Accedendo alla pagina web italiana come potenziale investitore, la sezione dedicata a “Investire responsabilmente” figura in cima alla schermata, accanto a obiettivi e temi di investimento. 

La società francese si dice interessata a “dare un contributo positivo per un futuro migliore”, dato che “il cambiamento climatico è una delle sfide più grandi del nostro tempo”. Per affrontarlo con “azioni urgenti”, il sito propone agli investitori di fare la differenza grazie alle soluzioni Esg proposte da Amundi. 

Le aziende 

Abbiamo tracciato i 38 fondi di Amundi che, a marzo 2025, erano ancora denominati come “sostenibili” ma che, in realtà, investono nel fossile. L’azienda più investita dai suoi fondi green è TotalEnergies, società francese del petrolio fra le prime quattro al mondo, per un totale di 438 milioni di dollari. In essa Amundi ha investito più del triplo che in Shell, dove ha investito circa 145 milioni. Segue Mitsubishi Ufj Financial Group con 108 milioni, Repsol con 98 milioni e Exxon Mobil Corp con 92 milioni. Il resto è spartito tra società che ricevono attorno ai 40 milioni di dollari, come Eqt AB ed Equinor Asa, e altre società che si aggirano tra i 3 e gli 8 milioni come Inpex Corp e Bp Plc.

Va notato che secondo il rapporto Paris Maligned di Carbon Tracker nessuna di queste aziende ha obiettivi di decarbonizzazione allineati con gli Accordi di Parigi.

TotalEnergies

TotalEnergies è l’azienda francese di produzione di energia su cui Amundi ha investito maggiormente. Sustainalytics, società che valuta la sostenibilità delle aziende, le attribuisce un ESG Rating Risk alto, indicando che nei prossimi anni TotalEnergies rischia di incorrere in problematiche significative legate alla sua performance ambientale, sociale e di governance.

Nell’ultimo documento sulla sostenibilità, TotalEnergies prevede di arrivare all’obiettivo zero emissioni nette nel 2050 affidando il 25 per cento della produzione di energia alle molecole low carbon (biogas, idrogeno e carburanti sintetici), il 50 per cento dell'elettricità da fonti rinnovabili e il restante 25 per cento al fossile e al gas naturale liquefatto (Lng). Al 2024 la percentuale di produzione di energia derivante dal fossile e da Lng equivale all’87 per cento. Per raggiungere il 50 per cento di produzione elettrica da fonti rinnovabili TotalEnergies si affiderà agli investimenti in Brasile, paese che viene definito, dal report di sostenibilità dell’azienda, uno “stato chiave per la Multi-energy Strategy” dell’azienda. Il Brasile è uno dei player fondamentali per l’approvvigionamento energetico. Secondo uno studio del 2024 di Rystad Energy, entro il 2030 arriverà a produrre 7 milioni di barili di greggio al giorno. Una crescita del 56 per cento rispetto al 2023 e quasi tre volte superiore rispetto al 2010.

TotalEnergies, stando al suo report, è l’azienda leader in Brasile che ha una decennale collaborazione con Petrobras e Casa dos Ventos. Petrobras è l’azienda pubblica brasiliana di estrazione e produzione di fossile mentre Casa dos Ventos è una delle principali aziende sviluppatrici di progetti di energia rinnovabile in Brasile, specializzata principalmente nella generazione di energia eolica e solare. Con Petrobras, TotalEnergies sta investendo in Mero Field, un progetto di estrazione del petrolio in alcuni giacimenti pre-salt (situato nelle profondità oceaniche sotto uno spesso strato di sale) al largo del Bacino del Santos, a circa 180 chilometri da Rio de Janeiro. Petrobras, in collaborazione con TotalEnergies, Shell e altre aziende petrolifere, ha pianificato la costruzione di quattro piattaforme offshore di estrazione nei giacimenti pre-salt, noti per la qualità e la quantità di materia prima estratta.


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Il progetto, suddiviso in quattro fasi – Mero 1, Mero 2, Mero 3, Mero 4 – è ciò su cui TotalEnergies sta puntando di più. Si fa particolare riferimento al Mero 3 Field, una piattaforma offshore al largo del Bacino di Santos, che ha una capacità di produzione di 180 mila barili di petrolio al giorno, a fronte dei 40 mila del Mero 1 inaugurato nel 2021. Il Mero 4 Field ha iniziato la produzione il 26 maggio di quest’anno con una produzione pari a quella del Mero 3. 

TotalEnergies ha inoltre firmato un accordo con Petrobras per applicare la tecnologia AUSEA (Airborne Ultralight Spectrometer for Environmental Applications) che ha l’obiettivo di monitorare le emissioni di gas serra, in particolare metano e anidride carbonica.

Sulla sostenibilità ambientale di questo progetto sono state sollevate delle perplessità. Nel corso degli anni ci sono stati degli incidenti in alcuni stabilimenti di Petrobras, ma nessuno ha riguardato il progetto Mero Field.

L’ultimo risale al 21 aprile di quest’anno, quando è scoppiato un incendio sulla piattaforma Cherne 1 nel Bacino di Campos, da cui si è levata una colonna di fumo nero denso. Dal 1972 ad oggi sono accaduti 8 incidenti gravi negli stabilimenti di Petrobras, alcuni dei quali hanno causato la morte di diversi lavoratori e ingenti danni ambientali. È il caso dell’incidente avvenuto nel 2000 a Baia di Guanabara (nello stato di Rio de Janeiro). In quell’occasione la rottura di un oleodotto ha provocato una perdita di 1,3 milioni di litri di petrolio causando uno dei più grandi disastri ambientali in Brasile.

Shell

La seconda azienda per ammontare degli investimenti “verdi” gestiti da Amundi è la britannica Shell, con un budget che raggiunge i 145 milioni di dollari. Nonostante questo, la compagnia, attiva nel settore dei combustibili fossili, non rappresenta un beneficiario ovvio dei fondi classificati come green dagli investitori.

La società anglo-olandese è attualmente coinvolta in un processo a Londra, dove due comunità Ogoni del delta del Niger l’accusano di aver inquinato l’area con fuoriuscite di petrolio tra il 1989 e il 2020. Il verdetto, atteso per ottobre di quest’anno, potrebbe accertare la responsabilità della compagnia in una delle zone più inquinate al mondo. Secondo l’accusa, le azioni di bonifica portate avanti finora non sarebbero state sufficienti.

Anche negli anni più recenti Shell è stata nuovamente al centro di critiche per l’impatto ambientale delle sue attività. In Nigeria, dove la compagnia continua a operare su progetti di bonifica, le perdite di petrolio sono aumentate del 122 per cento tra il 2023 e il 2024.

In parallelo i report della compagnia indicano che nel 2022 sono stati condotti test ecotossicologici su 20.000 esemplari di pesci. Questi test, rientranti nelle pratiche di monitoraggio ambientale e sanitario, vengono utilizzati per valutare i potenziali rischi chimici per l’uomo e per l’ecosistema. Uno di questi studi, finanziato da Shell, scritto da autori legati alla compagnia e revisionato dai suoi legali, ha concluso che il consumo di frutti di mare pescati nell’area non comporterebbe rischi cancerogeni significativi.

Intanto, nel 2023, il numero di vertebrati utilizzati nei test è più che raddoppiato, raggiungendo quota 58.738.

Il report sulla sostenibilità relativo al 2024 riconosce apertamente che, sulla base dell’attuale pianificazione operativa, la compagnia non è in linea con gli obiettivi climatici fissati per il 2050. Le strategie aziendali sono definite come speculari rispetto all’andamento della società nel suo complesso: se il mondo riuscirà a raggiungere una condizione di emissioni nette pari a zero, allora anche Shell sarà in grado di allinearsi. Tuttavia, qualora il contesto globale si rivelasse meno sostenibile del previsto, esiste un “rischio sostanziale” che la società non riesca a rispettare gli impegni assunti. 

Il nodo della trasparenza

I cambiamenti nella composizione e nei criteri dei fondi “sostenibili” raramente vengono comunicati in modo trasparente a chi investe. Nel corso degli anni è possibile che alcuni degli investitori nei fondi Amundi non siano consapevoli del fatto che aziende come TotalEnergies e Shell siano tra i maggiori destinatari dei capitali raccolti da uno dei principali gestori europei di fondi Esg.

La decisione di allinearsi alle nuove linee guida dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma) cambiando il nome dei fondi, anziché rivedere la loro allocazione verso le aziende, consente di rispettare le normative in vigore senza modificare le attuali strategie. Questa scelta non contrasta con le linee guida Esma, ma posticipa la questione, rimandando il raggiungimento dell'obiettivo net zero entro il 2050.

Dal sito di Amundi non è affatto immediato intuire come siano effettivamente ripartiti i fondi sostenibili, pur essendo questi una delle bandiere dichiarate della compagnia. Il sito rimane ampiamente focalizzato sul tema della sostenibilità. Alla nostra richiesta di commento sul modo in cui supportano le aziende nella transizione, Amundi non è entrata nel merito dei 38 fondi che abbiamo tracciato e che finanziano le aziende fossili. Ha precisato però che “l'obiettivo collettivo della neutralità carbonica non potrà essere raggiunto semplicemente escludendo le società del settore energetico. Amundi accompagna e incoraggia quindi la loro trasformazione, assicurandosi che mettano in atto una strategia climatica in linea con gli obiettivi dell'Accordo di Parigi. [...] Questo si traduce in particolare in un dialogo rigoroso e costante con le aziende per incoraggiarle a fissare obiettivi ambiziosi di riduzione delle emissioni di gas serra e sensibilizzarle alle migliori pratiche in materia di transizione ambientale”. 

Nessuna delle imprese nelle quali Amundi ha investito è al momento in linea con gli Accordi di Parigi. Appare quindi difficile capire come la finanziaria francese le incoraggi e le spinga verso la transizione ecologica. 

Questo articolo su IrpiMedia.
Questo articolo è pubblicato in collaborazione con Irpi Media; fa parte di un ciclo di inchieste sulla finanza verde e realizzato con il sostegno dello European Media and Information Fund (Emif). 
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🤝 This article is published in collaboration with IrpiMedia; it is part of Voxeurop's investigation into green finance and was produced with the support of the European Media Information Fund (EMIF). The sole responsibility for any content supported by the European Media and Information Fund lies with the author(s) and it may not necessarily reflect the positions of the EMIF and the Fund Partners, the Calouste Gulbenkian Foundation and the European University Institute.
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