Ho incontrato Kseniia a febbario in un Kentucky Fried Chicken di Pozniaky, un quartiere nel nord di Kiev che potremmo definire periferico. Kseniia fa parte di Solidarity Collectives (SC, Колективи Солідарності), un gruppo di attivisti e attiviste che si definisce "anti-autoritario" e che si è formato in seguito all’invasione russa del 2022. “Alcuni di noi sono anarchici; ci sono militanti femministe, progressisti, ecologisti, persone di sinistra. Alcuni non si identificano politicamente, ma condividono idee progressiste in generale (diritti LGBT+, delle donne, ambientalisti…)”, mi racconta.
Prima di febbraio 2022 “il nostro movimento era diviso, il tipico dramma delle persone di sinistra, hai presente?”, dice Kseniia.
Dopo, una parte dei membri del Solidarity Collective ha deciso di arruolarsi, un'altra si dedica ad aiutare i civili, andando regolarmente nelle zone vicine al fronte per sostenere le comunità locali e chi scappa dai territori occupati; un’altra parte, ancora, si forma alla fabbricazione di droni e come programmarli, per poi consegnarli ai soldati anti-autoritari o di sinistra nei diversi battaglioni.
La comunicazione è centrale per l’attività di Solidarity Collective “Per noi era importante mostrare le prospettive di sinistra, le attività e le storie di militanti anti-autoritari in prima linea”. Ma lo è anche per altri motivi: sostenere lo sforzo della resistenza del paese e far sentire la propria voce e la propria storia. Quello della guerra è un tema particolarmente – e comprensibilmente – complesso per chi milita in gruppi di sinistra: “Molti antimilitaristi del passato, come le persone che denunciavano ad esempio la militarizzazione della società Ucraina, alla fine sono passati alle armi. Cerchiamo di spiegare il perché”.
Le evoluzioni storiche e lo specifico contesto attuale hanno creato un divario di comprensione e di comunicazione tra i militanti di sinistra ucraini (ma si potrebbe dire lo stesso per altri paesi dell’ex blocco sovietico) e i loro omologhi occidentali, così come con alcuni gruppi e partiti. “Da un certo punto di vista, credo sia davvero difficile da capire quando si vive in una situazione di pace”, dice Kseniia. Ma quando la guerra arriva “Ti trovi a fare i conti con la realtà dei fatti. Ovvero, con l’affermazione 'i russi sono a tre giorni da Kyiv’”.

“Sappiamo cosa succede alle persone nei territori controllati dalla Russia, come Donec'k e Luhans'k. Esistono inchieste, documenti sulle torture contro chi sembra anche solo vagamente attivista. Sappiamo che la morte per alcuni di noi è meglio della prospettiva di ritrovarsi nel regime di tortura che ci aspetterebbe. Di fronte a questa situazione tutta la società ucraina – non solo le persone di sinistra – si trova di fronte a questa constatazione: dai politici agli attivisti di base, fino alle nonne che potrebbero scrivere un post su Facebook per l'Ucraina. Perché tutte le persone qui sono esposte alle aggressioni da parte della Russia”.
Oggi circa il 20 per cento del territorio ucraino è occupato dalla Russia. Dal 2022, il Center for Civil Liberties (co-premio nobel per la pace nel 2022) ha raccolto oltre 84mila casi relativi a crimini di guerra compiuti dalle truppe di occupazione russe, che vanno da omicidi, stupri e sparizioni ad altre violazioni dei diritti fondamentali.
"Vedi cosa succede con i risultati di AfD in Germania, con il RN in Francia. O in Italia e in Austria. O ancora negli Stati Uniti. Davvero criticate noi come ‘stato nazista’?”
“L'Ucraina non è perfetta, ma è oggi il progetto più liberale nei territori post-sovietici", continua Kseniia, scandendo con calma e gentilezza uno dei mantra più spesso ripetuti dagli ucraini agli interlocutori occidentali : “Abbiamo diritti. Abbiamo una lunga storia di lotta per questi diritti, combattendo attraverso periodi difficili. Per noi è importante difendere ciò che abbiamo ed essere in grado di continuare a far crescere questo progetto che stiamo portando avanti. Non abbiamo repressione politica, non c’è tortura, come avviene con gli attivisti in Bielorussia o in Russia”, prosegue
Kseniia mi racconta che vive a Kiev, ma che è “di Kharkiv, la seconda città ucraina. Oggi è pesantemente bombardata: per me è la città più bella, la più accogliente. E oggi sta morendo. E la mia famiglia è lì, i miei amici sono lì. Alcuni sono già morti. Ma perché siamo in questa situazione? Perché un regime autoritario ha deciso che meritiamo di essere occupati? Perché siamo ‘fascisti’ o qualunque scusa trovino?”.
“Per noi”, mi dice, “la questione è centrale, non di parte: questo è uno degli eventi politici fondamentali del nostro tempo. Non si può stare lontani e dire ‘non siamo d’accordo con questa guerra di classe’”.
Per questo Solidarity Collective tesse relazioni e discute con altri movimenti: con le Forze Democratiche siriane, o guardando al conflitto in Myanmar, “dove anche alcuni internazionalisti combattono”, dice. Inoltre ha contatti con gruppi in Polonia, Francia, Germania, Estonia, Spagna e Italia.
Ho finito il mio caffè e non ho lasciato Kseniia finire il suo, ma non se ne preoccupa. Vorrei capire meglio la questione della composizione e delle posizioni dei gruppi di attivisti prima della guerra e il dibattito e le discussioni, per quanto possibile.
"Semplificando al massimo”, dice, “posso dire che prima degli anni Novanta tutto ciò che era legato alla sinistra e che non rientrava nella definizione di ‘comunista’ era stato completamente cancellato dal regime sovietico. Dal grande movimento di Makhno o di altri movimenti politici interessanti, tutto è stato distrutto”. Il comunismo sovietico “fu molto concreto in questo”, dice.

Solo con l’indipendenza dell’Ucraina, riottenuta nel 1991, alcuni progetti politici hanno ricominciato a svilupparsi: “C’erano movimenti anarchici, qualche sindacato,come Pryama Diya. C'erano alcuni gruppi come Black Rainbow. Alcuni gruppi anarchici combattevano l’assetto neoliberale dell'Ucraina e avevano anche ottenuto qualche vittoria in questo senso”. “Questi gruppi erano attivi a a Lviv, a Kiev, a Odessa, a Zaporižžja”. E la “questione divisiva era proprio la guerra”.
Kseniia si riferisce al 2014, momento in cui la Russia ha annesso la Crimea ed è cominciata la guerra nel Donbass, la regione dell’est dell’Ucraina a maggioranza russofona. “Nel 2014 la maggior parte dei militanti di destra, persone non politicizzate ed esponenti di sinistra hanno partecipato in prima linea... Noi lo chiamiamo dobrovat, come i battaglioni volontari della guerra civile spagnola: dopo Maidan alcuni decisero di andare a combattere nel Donbass per mantenere il territorio”.
“Credo che da quel momento il movimento di sinistra sia rimasto un po' bloccato e non abbia capito come reagire. C'erano gruppi che mettevano in discussione la militarizzazione della società, dubitavano delle pratiche, discutevano su quello che si doveva fare… discutevano di come avere una prospettiva antimilitarista, pacifista… Si arrivava fino a cercare di capire la prospettiva sul Donbass, ci si chiedeva se elezioni indipendenti nella regione occupata sarebbero state la soluzione, altri criticavano…”.
Le prospettive erano diverse, racconta Kseniia, c’era chi diceva “ok, abbiamo questa ferita aperta nel Donbass e molto probabilmente non guarirà: c’è un investimento di denaro, di armi, che si stanno diffondendo nella società. Forse dovremmo pensare a come la società, nel suo complesso, dovrebbe prepararsi a questo tipo di conflitto, se si diffonderà ulteriormente, e come noi dovremmo reagire, in quanto gruppo. Alcune di queste persone organizzavano addestramenti militari di base, corsi di assistenza medica… si stavano preparando per questa cosa, anche discutendo parallelamente su come la difesa territoriale dovrebbe forse funzionare in Ucraina, ecc. Quindi, c’era una ‘tendenza verso la militarizzazione’ in qualche modo, ma senza una comprensione chiara di cosa sarebbe successo”.
Quindi, spiega Kseniia, per circa otto anni alcuni hanno sviluppato attività civili, in una prospettiva antimilitarista, mentre altri si sono concentrati sull’idea che bisogna prepararsi a difendersi.
“In parallelo erano in corso anche alcuni progetti interessanti in diverse parti dell'Ucraina. A Kharkiv, ad esempio, abbiamo cercato di creare degli squat per i rifugiati. Dopo Maidan, questo progetto di case occupate è stato il primo in Ucraina; poi si è evoluto in un luogo per mostre, concerti, discussioni e di vita in generale. Alcuni interessanti progetti eco-anarchici sono stati organizzati a Lviv; oggi a Odessa ci sono anche alcuni squat e iniziative che offrono pasti ai senzatetto”.
In Ucraina, mi dice sorridendo, c'erano delle iniziative chiamate “Food Not Bombs” – “Cibo, non bombe”, ma “dopo la guerra hanno iniziato a chiamarle ‘Food Forever’ – ‘Cibo per sempre’ perché ‘sono i russi a dover fare Food Not Bombs’”.
“Spesso in Europa occidentale si pensa che l‘Euromaidan fosse opera soprattutto di persone di destra o di liberali, ma non credo sia la verità. Tutta la società ucraina è stata coinvolta, e anche le organizzazioni di sinistra”
Kseniia ha 25 anni: troppo giovane per aver partecipato personalmente all’Euromaidan, ma abbastanza da poter raccontare quello che ne dice il movimento. “Sì, io ero a scuola quando è cominciata Maidan. Non era solo a Kiev, ma anche Lviv, a Odessa, a Kharkiv. Molti dei nostri hanno partecipato: a Kharkiv, dove c'era un blocco anarchico con uno striscione per la sanità, i trasporti e l'istruzione gratuiti. Sembra un po' fuori contesto oggi, ma era bello”.
“Alcuni dei soldati che sosteniamo oggi sono rimasti feriti durante l'Euromaidan. Spesso in Europa occidentale si pensa che la protesta fosse opera soprattutto di persone di destra o di liberali, ma non credo sia la verità. Tutta la società ucraina è stata coinvolta, e anche le organizzazioni di sinistra”.
Di fronte a questi argomenti “la risposta è che l'Ucraina ha attraversato solo negli ultimi decenni, eventi esistenziali enormi per tutta la società. E questo va al di là di destra o di sinistra; è più grande della politica. È stato un momento di autoidentificazione di una società che si è raccolta: migliaia e migliaia di persone che si uniscono per combattere, che sostanzialmente chiedono libertà, contro il regime, contro la corruzione. Per l'Ucraina è stata, come tutti questi paesi postsovietici, una delle ribellioni di maggior successo in questo senso. Questa libertà di parola, libertà di riunione, è stata un grande successo, perché quello a cui stavamo andando incontro con il presidente dell’epoca [Viktor Janukovyč] è la Bielorussia di oggi”.
L’Euromaidan, benché diffusa su tutto il territorio, non è stata uguale per tutte le classi sociali. La ricercatrice ucraina Daria Saburova ha lavorato a Kryvyi Rih, città industriale dell’Est del paese (dove tra le altre cose è nato l’attuale presidente Volodymyr Zelensky) e spiega che qui le classi popolari vedevano la rivolta del 2014 come un attacco allo stato democratico, mentre le classi medie era già una lotta contro l’autoritarismo russo.
Come ha scritto da Saburova, l’invasione su larga scala del 2022 ha cambiato anche la visione di chi si era opposto all’Euromaidan: “il 24 febbraio 2022, la gente si è ribellata perché la loro città, cioè la loro sopravvivenza, la loro esistenza materiale e quella della loro comunità, era immediatamente minacciata da un'invasione militare. Non si trattava tanto di un impegno verso valori astratti, quanto di una difesa della loro vita quotidiana”.
“La destra era presente durante l’Euromaidan, certo”, spiega Kseniia, “così come in questa guerra, la destra è presente in prima persona”, e la sinistra fatica a stare al passo, continua.
All’inizio dell’invasione su larga scala c’era un battaglione di “sinistra”, ma oggi non esiste più: “Le persone di sinistra hanno cercato di fare un plotone antiautoritario nei primi giorni, e ci siamo riusciti. Sulla base della difesa territoriale, per fortuna, perché nel gruppo di sinistra c'era un comandante, Yuri Samoylenko, che apriva le porte a tutti quelli che bussavano per entrare nell'unità. Molte delle persone che si unirono non erano pronte. Non sapevano cosa significasse la guerra, non conoscevano nulla in tattica…”.
Ucraina, lo stato “nazista”
“Si, ci sono dei nazisti in Ucraina, ci sono persone di estrema destra. E nazionalisti di diverse categorie, in tensione tra loro”, dice. Ma l’estrema destra “non è stata scelta dalla società”, precisa riferendosi al fatto che alle ultime legislative i partiti di estrema destra non hanno nemmeno superato la soglia di eleggibilità.
“Vedi cosa succede con i risultati di AfD in Germania, con il RN in Francia. O in Italia e in Austria. O ancora negli Stati Uniti. Davvero criticate noi come ‘stato nazista’?”.
Poi ci sono delle differenze, mi fa notare, a seconda della posizione geografica: “Per i paesi che vivono al confine con Russia e Bielorussia: dalla Polonia all'Estonia, dalla Repubblica Ceca, alla Finlandia, abbiamo pieno sostegno perché per loro è più facile capire cosa sta accadendo. Perché lì gli attivisti possono immaginarsi nella situazione in cui si trova l'Ucraina”. Invece, “meno si capisce la guerra, più la guerra di classe, ma non la guerra in sé, emerge nella narrazione e nell'anti-imperialismo [dei militanti]”.
Più sei lontano, più la propaganda funziona”, aggiunge: “Ed è triste dirlo, ma l'Ucraina ha perso questa battaglia, perché la quantità di miliardi di denaro che la Russia ha investito nella propaganda è spaventosa”.
La leva in Ucraina
Da lontano si ha anche l’impressione che la società ucraina sia spaccata sulla questione della leva obbligatoria.
“La questione della mobilitazione tocca solo gli uomini. Io come donna sono privilegiata. Credo sia il primo caso di sessismo inverso…”, nota Kseniia sorridendo. “Dico una cosa impopolare per il movimento di sinistra e riguarda solo me: penso che donne e uomini dovrebbero essere trattati allo stesso modo rispetto a questo tema”.
Dal 1° ottobre 2023 le donne ucraine di età compresa fra i 18 e i 60 anni e che lavorano in ambito medico/sanitario hanno l’obbligo di presentarsi davanti a una commissione militare per iscriversi a un eventuale servizio nell’esercito. Ma questo è l'unico obbligo; non esiste leva per le donne e c’è un dibattito in seno al movimento femminista ucraino in proposito. Ci dovrebbero essere ad oggi circa 67mila donne nell’esercito ucraino, di cui circa 10mila sul fronte. Di queste, secondo il ministero della difesa, 48mila sono volontarie.
I soldati uomini mobilitati in Ucraina sono quasi un milione. La mobilitazione in Ucraina è oggi obbligatoria per gli uomini tra i 25 e i 60 anni. A partire da settembre 2025 il governo introdurrà una formazione militare universale, per gli adulti, compresi gli studenti, a partire da 18 anni. “Il fatto è che in Ucraina non è stato sviluppato un corretto sistema di mobilitazione – semmai una cosa del genere può esistere… ma la legge in vigore non è ideale e la società fa pressione sul parlamento per cambiarla”.
Le scene di persone caricate a forza per strada per essere arruolate sono una realtà e non mancano i reportage e i dati su chi fugge dalla leva: il numero esatto è un segreto militare, ma è cosa nota, a tutti livelli, compreso il governo. In un reportage di Léo Sanmarty andato in onda sulla televisione franco-tedesca Arte si parla di oltre 15mila uomini che hanno disertato tra gennaio e agosto 2024, cinque volte il dato del 2022 e il doppio del 2023. Per tamponare e rispondere, nel 2024 Volodymyr Zelensky ha scelto Olha Reshetylova, attivista per i diritti umani, come Difensora civica militare dell’Ucraina.
“Nella società ucraina esiste questa tensione sulla mobilitazione forzata. Ed è una questione un po' complicata”, dice Kseniia. Intanto “l'Ucraina sta perdendo: non ci sono abbastanza – questa terribile espressione – risorse umane. Lo vedo dai compagni che sono andati a combattere tre anni fa, quanto siano devastati, quanto siano stanchi e quanto abbiano bisogno di una sorta di rotazione”.
Questa legge andrebbe migliorata, permettendo la “mobilitazione e smobilitazione, per renderla equa per tutti”. Cosa significa? Che dovrebbe includere tutti i livelli della società”. Perché a seconda di dove ti trovi nella società, è più o meno facile evitare la leva.
Cosa significa oggi essere ucraina? Chiedo, un po’ ingenuamente, a Kseniia. Sorride di nuovo: “Non ho questo amore smisurato per la madrepatria e bla bla bla, ma di sicuro, crescendo qui, si è radicati nel contesto storico e culturale del paese. E si ereditano i traumi dei propri antenati che hanno attraversato l'Holodomor [la carestia provocata da Stalin], la Seconda guerra mondiale: i miei nonni erano al gulag [campo di lavoro forzato], un altro è stato ucciso nella Seconda guerra mondiale, un altro ha fatto la fame. Erediti questi traumi e li elabori. E sviluppi empatia. Capisci più profondamente il contesto del colonialismo russo nella situazione ucraina, capisci le lotte politiche in questi territori”. Quindi riassume: “Per me essere ucraina è mantenere questa conoscenza, dei traumi, del contesto storico, e mantenere questa resistenza”.
C’è qualcosa che vorresti aggiungere?, le chiedo: “Il mio messaggio principale, alla fine di tutti i discorsi, è che abbiamo empatia per le lotte degli altri, cerchiamo di capirle, in tutta questa complicità e di trarne esperienza. E questa esperienza è molto preziosa, secondo me, per le generazioni future. Anche se l’Ucraina dovesse perdere, questa conoscenza dovrebbe essere diffusa, su come organizzarsi e resistere”.
Questo articolo è stato scritto in seguito alla n-ost study visit a Kiev nel febbraio 2025 e fa parte di un reportage sulla sinistra in Ucraina e sulla guerra pubblicato a marzo.
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