Non più di “due mesi”. È questa la scadenza che il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha dato all’Unione per regolare il flusso di rifugiati. Se l’Ue fallirà, i controlli alle frontiere [Austria, Danimarca, Francia, Germania, Malta, Norvegia e Svezia]. Teoricamente si tratta di una misura provvisoria, ma nella sostanza i governi in questione esitano davanti alla possibilità di eliminarli perché la richiesta di sicurezza da parte dell’opinione pubblica è sempre più pressante.
Due mesi forse è un’esagerazione, ma nella sostanza Donald Tusk ha ragione. Ormai è in atto una corsa tra la fine dello spazio Schengen e il rafforzamento delle frontiere esterne dell’Unione con il mantenimento dei rifugiati siriani in Turchia, paese da cui partono per la Grecia prima di andare a sbattere contro le frontiere settentrionali.
I tempi sono stretti, ma intanto il dispiegamento di agenti di frontiera europei in Grecia procede a rilento e la Turchia, malgrado le promesse di aiuti europei, sembra non avere fretta di controllare le sue coste.
La partita non è ancora persa, ma il rischio è concreto. Il ritorno delle frontiere europee, tra l’altro, non risolverebbe niente, perché sarebbe molto più complesso e costoso rispetto alla chiusura ermetica dei confini esterni dell’Unione e non impedirebbe ai rifugiati di sbarcare sulle coste europee. L’unica differenza è che resterebbero bloccati in Grecia e Italia, che dovrebbero occuparsene da sole senza la solidarietà degli altri stati membri. La verità è che non sono le frontiere nazionali che fermeranno gli attentati, ma le indagini e la cooperazione.
Le frontiere nazionali sono un elemento tanto rassicurante quanto inutile, e tra l’altro il loro ripristino frenerebbe gli scambi europei, penalizzerebbe ulteriormente la crescita economica dei 28 e assesterebbe un colpo durissimo a una dinamica unitaria già zoppicante.
L’Unione è in panne e poco amata dai suoi cittadini. Nei prossimi mesi vivrà al ritmo dei sondaggi sul referendum britannico. Alla fine, malgrado tutto, l’Europa unita resisterà, ma l’ultima cosa di cui ha bisogno è la fine dello spazio Schengen, perché una volta presa questa strada tornare indietro sarebbe molto difficile.
Questo articolo è uscito in italiano su Internazionale.it