Lampedusa (Italia), 14 febbraio: un immigrato tunisino viene scortato verso un centro d'accoglienza.

Fuga dopo la rivoluzione

Dopo la caduta del regime di Ben Alì migliaia di tunisini sono già sbarcati a Lampedusa. La rete anti-migranti costruita per l'Europa dai dittatori nordafricani rischia di crollare insieme a loro.

Pubblicato il 14 Febbraio 2011 alle 16:09
Lampedusa (Italia), 14 febbraio: un immigrato tunisino viene scortato verso un centro d'accoglienza.

Intendiamoci: questa è una faccenda che si offre a diversi punti di vista. A guardarla da qui - dall’isola - il più semplice è, come sempre, il più spettacolare. Cioè, la messa in scena, con protagonisti in carne e ossa, di quel che profetizzano le statistiche sui flussi migratori del futuro: l’invasione della ricca Europa da parte del mondo islamico e degli uomini del Maghreb. A Lampedusa sta già accadendo. Facendo rotta da Sud-Ovest, cioè dalla Tunisia in rivolta, di quegli uomini ne sono sbarcati oltre 3 mila in tre giorni: su un’isola che di abitanti ne ha poco più di 5 mila.

E poiché dal porto di Jarijs sono già salpate altre imbarcazioni, e poiché il mare si mantiene inequivocabilmente calmo, un altro paio di giorni così e saranno più loro che gli isolani. Quel che sta andando in scena qui, insomma, è una sorta di prova generale in scala ridotta di quel che potrebbe essere il futuro prossimo venturo. Una prova generale che ha per teatro l’Italia ma riguarda l’intera Europa. E Lampedusa, certo: che maledice il fatto di essere il lembo più meridionale di questo continente.

Tra una intercettazione e l’altra, tra un summit di avvocati ed un attacco ai magistrati, il governo ha decretato ieri lo stato di emergenza umanitaria. Con navi di linea e aerei a noleggio (30 mila euro a volo) si cerca di trasferire altrove almeno parte della folla di uomini approdata qui e in fuga dalla guerra civile: lo sforzo è grande, ma sarà difficile reggere a lungo il ritmo degli sbarchi continui. Dice il sindaco De Rubeis, due notti in bianco e una onorabilità da ricostruire nel fuoco di questa drammatica emergenza: «Lo vede, facciamo quel che possiamo.

Lampedusa non si tira indietro. Ma in mezzo al gran mare di chiacchiere che se ne fa, continuo a chiedermi: l’Europa dove diavolo è?». Nella notte tra venerdì e sabato sono approdati sull’Isola altri 600 maghrebini, poi sistemati come si poteva in edifici pubblici di ogni tipo: l’aula consiliare, la stazione marittima, i locali del centro Riserva marina... Eravamo ai pontili al momento dello sbarco: ha preso terra gente dalla faccia stanca, sguardi smarriti ma anche sguardi furtivi, forse spia di cattive intenzioni. Secondo il ministro Maroni - che pure ha parlato per primo di emergenza umanitaria - tra loro potrebbero esserci addirittura infiltrati di Osama bin Laden.

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Un rischio serio. Ma non si capisce, allora, la circostanza che a fronteggiare quelle centinaia di uomini accalcati sulla banchina ci fossero sette o otto carabinieri, essendo i pochi altri indaffarati nei trasferimenti o in emergenze varie. Davano loro una mano, per fortuna, un drappello di generosissimi volontari. Ma è una situazione alla quale - se il ponte aereo che pure funziona non bastasse - va messa mano in fretta. Maroni non vuole la riapertura del centro di accoglienza di Lampedusa (chiuso e con il personale in cassa integrazione), e va bene: ma allora diventa urgente trovare un’altra soluzione. I centri di Agrigento, Crotone e Bari, infatti, sono al collasso.

E le notizie che arrivano dall’altra sponda del Mediterraneo non giustificano ottimismi. La Tunisia è caduta, l’Egitto anche, l’Algeria è in rivolta e perfino «l’amico» Gheddafi dorme sonni meno tranquilli sotto le sue tende. E’ in atto una crisi dagli sviluppi incerti e del tutto imprevedibili: ma quel che accade sull’altra sponda, appare sempre più simile a quell’inarrestabile domino che vent’anni fa fece cascare uno dietro l’altro tutti i regimi del socialismo realizzato. L’idea che un po’ di caudilli maghrebini, qua e là, bastassero a evitare di fare i conti con quel che ineluttabilmente riguarda anche l’opulenta Europa, va evaporando tra roghi e guerre civili.

A un tiro di schioppo

Lampedusa è qui, a un tiro di schioppo da quei Paesi in rivolta, e ne sta pagando il prezzo: ma immaginare che la faccenda possa cominciare e finire qui, sull’isola, è un’illusione micidiale. Lo spiega bene Tarek, tunisino italianizzato, dalla capigliatura alla Jimi Hendrix, che aiuta i carabinieri nel lavoro impossibile di identificazione degli sbarcati. Lavora per un’associazione umanitaria, ed anche lui è due notti che non chiude occhio: «Quasi nessuno di quelli che ho interrogato vuole restare qui, in Italia. Dicono Francia, soprattutto. Oppure Germania. Cominciano l’odissea da Lampedusa perché è la terra più vicina, ma a restar qui non ci pensano nemmeno».

Eppure stavolta bisognerebbe pur spenderla, una parola, per Lampedusa: sta facendo da sola e, nei limiti delle forze a disposizione, sta facendo bene. «La macchina è oliata, purtroppo - dice il comandante della stazione dei carabinieri. Anni e anni di sbarchi a tutte le ore del giorno e della notte ci hanno insegnato come si fa...».

Precettati dal sindaco tutti i minibus del servizio di trasporto pubblico dell’isola per evacuare le banchine e smistare i tunisini dove possibile; le grandi gru e i carrelli utilizzati per l’alaggio delle barche da pesca lampedusane, impegnati a salpare gli scafi sequestrati agli extracomunitari; due Tir, poi, caricano le imbarcazioni e le stoccano nella discarica a cielo aperto al centro dell’isola; panifici al lavoro per nutrire le migliaia di ospiti inattesi.

E in segno di ulteriore generosità, sigarette a volontà per tutti. E pensare che l’isola, già prima della valanga di sbarchi, era in rivolta. Pescatori in sciopero, albergatori sul piede di guerra. Qui, infatti, il gasolio per i motopescherecci costa il doppio che nel resto d’Italia. «Pesano le spese di trasporto», spiegano governo e compagnie petrolifere: spese che, naturalmente, dovrebbero accollarsi i pescatori di quaggiù.

Come se non bastasse tutto il resto... L’Europa nicchia, l’Italia si dichiara in emergenza e Lampedusa, intanto, si rimbocca le maniche e fa quel che può. Le previsioni meteorologiche annunciano l’arrivo di altre barche, il tempo volge al bello e carabinieri, uomini della Capitaneria, finanzieri e volontari sono pronti al peggio. Tra i tanti personaggi dell’isola, in queste ore manca solo «la pasionaria», Angela Maraventano, lampedusana doc, che voleva che l’Isola diventasse provincia di Bergamo e grazie a quest’idea bislacca è stata candidata ed eletta senatore nelle liste della Lega.

E’ la nemica numero uno degli immigrati clandestini: invocava l’uso dei cannoni contro di loro... «Maroni sta facendo un buon lavoro», dice ora, naturalmente via telefono. E tutti la ricordano in quel mattino di qualche anno fa quando issò su un vecchio gozzo una enorme bandiera leghista e si sistemò in mezzo al porto per il suo sciopero della fame conto il governo Prodi.

Lo sciopero, ad onore della verità, fu subito ribattezzato «del cappuccino», visto che s’interruppe a ora di pranzo. Fu poco, ma fu qualcosa. Oggi, con la Lega al governo, nemmeno quello. Perché tutto va bene madama la marchesa... Anche se quaggiù, di cose che vadano, non ce ne è nemmeno l’ombra.

Ue-Italia

La risposta europea si farà attendere

"La bella addormentata, ecco quel che sembra a volte l'Europa. Soprattutto in questi giorni, a Lampedusa", scrive il Corriere della Sera. Alle prese con lo sbarco di più di tremila migranti il ministro dell'interno Roberto Maroni ha dichiarato: "Siamo soli, l'Europa non sta facendo nulla". Dagli uffici di Cecilia Malmström, commissario europeo agli affari interni, rispondono di essere "pronti" e di attendere delle "richieste specifiche". A ogni modo, però, ci vorrà una decina di giorni per arrivare una decisione. "Così, ora, il tema 'Lampedusa' entra in un percorso a ostacoli", prosegue il Corriere: "dovrà essere esaminato dopodomani a Strasburgo da tutti gli ambasciatori e rappresentanti permanenti (il cui lavoro è preparato da 150 diversi comitati); e il 24 febbraio, a Bruxelles, dal Consiglio dei 27 ministri degli Interni e della Giustizia (Jai)". Solo allora si potrà arrivare a una decisione, sempre che l'Ungheria, cui spetta la presidenza del Consiglio, decida di mettere il tema all'ordine del giorno. "Tempi lunghi, certo: però questi sono i meccanismi che hanno creato i 27 stati, compresa l'Italia. La bella addormentata, con tutti i suoi difetti, non si è inventata da sola", conclude il quotidiano.

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