“But he’s gaslighting her!” Ho sentito usare per la prima volta la parola “gaslighting” durante una discussione con un’amica britannica nel 2019. Parlavamo di una coppia in cui una delle due parti non si fidava più dei suoi ricordi, trovandosi a ripercorrere chiamate e messaggi per verificare se quello che pensava ricordare della relazione e delle discussioni era vero. Per la mia interlocutrice non c’erano dubbi: la nostra conoscente era vittima di gaslighting.
“Il gaslighting è una forma potente, insidiosa e spesso nascosta di manipolazione psicologica, ripetuta nel tempo, che erode la fiducia di una persona nella propria percezione della realtà, nel proprio giudizio e, in casi estremi, nella propria salute mentale”, spiega la psicoanalista americana Robin Stern, autrice di The Gaslight Effect Recovery Guide (Rodale Press, 2007). Stern precisa che il gaslighting non è una patologia individuale, ma una dinamica che “prospera nel terreno emotivo di relazioni impari”.
Sebbene individui di ogni identità di genere possano esserne vittime, il gaslighting “colpisce in modo sproporzionato le donne, ma non perché queste siano intrinsecamente più vulnerabili,” continua Stern, il cui lavoro ha contribuito a diffondere questa parola. “Le donne sono storicamente socializzate ed educate a ‘essere gentili’ e a compiacere, e il patriarcato ha a lungo sancito l'autorità maschile e screditato la percezione femminile”.
Negli ultimi anni, il gaslighting è diventato anche una categoria politica, riflettendo una più ampia tendenza a ricorrere a concetti psicologici per spiegare fenomeni e dinamiche collettive del nostro tempo.
“Donald Trump Is Gaslighting America”, titolava Teen Vogue nel 2016 in riferimento ai tentativi sistematici del neo-presidente statunitense “di destabilizzare la verità e indebolire le fondamenta della libertà americana”. Con i suoi tweet e le sue dichiarazioni, Donald Trump ha diffuso una lunga lista di menzogne, senza mai preoccuparsi di verificare, correggere, smentire. Come ha evidenziato sul Guardian la saggista americana Rebecca Solnit, la prima elezione di Trump ha reso il gaslighting “una parola indispensabile nella vita pubblica”.
Tra psicologia e politica: la fantasia maschile del dominio
Il termine viene dall’opera teatrale Gas Light del britannico Patrick Hamilton, messa in scena per la prima volta a Londra nel 1938. Ebbe un successo enorme — Re Giorgio VI portò la moglie a vederla — e nel 1944 divenne un film diretto da George Cukor, con Charles Boyer e Ingrid Bergman. Il film racconta la storia di un matrimonio in cui il marito manipola la moglie mentendole e modificando piccoli elementi nella casa, per esempio affievolendo le luci delle lampade a gas, al punto che lei inizia a dubitare della sua propria percezione e salute mentale.
Ai tempi dell’opera di Hamilton e del film di Cukor, la questione degli abusi domestici non era un argomento di dibattito. Ma oggi, oltre 80 anni dopo, il titolo di quelle opere è entrato nel linguaggio comune per raccontare una forma di abuso relazionale e politico.
Nel 2016, “gaslight” è stata definita la “parola più utile” dell’anno dall’American Dialect Society; nel 2018, l’Oxford Dictionaries l’ha inserita tra le “parole dell’anno” – una scelta replicata nel 2022 dal dizionario americano Merriam-Webster dopo che le ricerche online del termine erano aumentate del 1.740 per cento rispetto all’anno precedente. “In quest’epoca di disinformazione, di ‘fake news’, teorie complottistiche, troll su Twitter e deepfake, il termine ‘gaslighting’ è diventato di uso comune”, spiegava il Merriam-Webster. Nel 2016, l'Oxford Dictionaries aveva scelto “post-truth” (“post-verità”), un altro termine che descrive un offuscamento della verità tipico del nostro tempo.
“I miei anni di esperienza come terapeuta – e testimone degli effetti del gaslighting – hanno messo in luce il costo personale di questa dinamica: il disorientamento interiore e l'erosione della fiducia in se stessi. Ciò che inizia con piccole correzioni – ‘Sei troppo sensibile’, ‘Devi aver ricordato male’ – può, col tempo, trasformarsi in una profonda perdita di fiducia in se stessi,” spiega Robin Stern.
Il gaslighting consiste in un capovolgimento della responsabilità: chi lo mette in atto non nega la verità di una questione, ma sposta il problema sull’altra persona, attaccandola per un suo modo di essere.
Oggi la popolarità del termine è dovuta più che altro al suo utilizzo politico, soprattutto nel mondo anglosassone. “La diffusione del linguaggio psicologico negli Stati Uniti è sia una caratteristica culturale che un fenomeno socio-politico,” spiega Stern. Secondo la psicoanalista, negli Usa decenni di attivismo – dalla seconda ondata del femminismo al movimento #MeToo – e più tardi l’ascesa politica di Trump, hanno preparato il terreno affinché termini psicologici entrassero a far parte del discorso quotidiano. “Quel che è cominciato nel mondo clinico è apparso nei salotti, nelle aule e, infine, nel linguaggio dei social media e delle proteste.”
“Il gaslighting politico è il cugino collettivo di quello interpersonale. Mentre quest’ultimo distorce il senso di sé e della verità di un individuo, il gaslighting politico cerca di distorcere o riscrivere la realtà condivisa da una popolazione" - Robin Stern
Invece, molti paesi europei, “in particolare quelli con profonde tradizioni psicoanalitiche come Francia e Italia, hanno storicamente trattato l’esperienza emotiva come qualcosa da esplorare in termini filosofici o letterari piuttosto che da rendere operativa per l’uso pubblico. In queste culture, il linguaggio analitico rimane più chiuso e forse più scettico nei confronti di quella che a volte viene vista come la ‘svolta terapeutica’ americana.”
Ma qualcosa sta cambiando, aggiunge Stern: “La diffusione globale del pensiero femminista, l'attivismo digitale e l'esperienza diffusa del tradimento sistemico, soprattutto nelle istituzioni politiche, hanno creato una fame di un linguaggio che convalidi ciò che le persone intuiscono ma non sanno ancora come nominare”.
In questo contesto, gaslighting è emerso come “un termine che dà voce al disagio di sentirsi dire che il proprio dolore non è reale, sia da un partner che da un governo. Come per molte intuizioni sociali, il vocabolario può viaggiare prima sotto forma di sussurri, ma alla fine parla con autorità.”
Il sociologo francese Marc Joly, ricercatore presso il Centre national de la recherche scientifique (Cnrs), concorda: “È sorprendente constatare la crescente diffusione di concetti psicologici sempre più diversificati che consentono di definire nel modo più preciso possibile il funzionamento mentale e comportamentale delle persone”. Questi concetti sono utilizzati sempre di più sia nella sfera privata – si pensi per esempio a “ipersensibile”– sia nella dimensione pubblica, per denunciare comportamenti percepiti come devianti o inadeguati. Joly studia in particolare il narcisismo patologico che caratterizza leader politici come Trump o Emmanuel Macron.
Secondo il sociologo, che al caso del presidente francese ha dedicato il libro La Pensée perverse au pouvoir (“Il pensiero perverso al potere”, Anamosa, 2024), la perversione narcisistica in politica riproduce il “fantasma maschile del dominio assoluto”. In questo senso, il narcisismo è la reazione a una perdita di potere relazionale e politico: “Quando i gruppi minoritari o gli ex gruppi minoritari possono far valere i propri diritti e il proprio punto di vista, i gruppi dominanti, minacciati da una perdita di legittimità, devono ricorrere a nuove strategie di dominio.”
“Cosa succede quando il coniuge mantiene la mentalità possessiva, ma non ha più il diritto di farlo e si trova di fronte una partner disposta ad essere autonoma e a vedere rispettati i propri bisogni e desideri? Questo squilibrio nelle relazioni coniugali si ritrova in tutte le configurazioni relazionali, in particolare nei rapporti tra governanti e governati”, aggiunge Joly. Manipolazione basata sulla negazione, la divisione, la denigrazione attiva, e comportamenti sconcertanti e caotici (con conseguenze su tutta la società) sono alcune delle manifestazioni più comuni del narcisismo politico.
Un’esperienza collettiva femminnile
Nel libro Le gaslighting ou l’art de faire taire les femmes (“Il gaslighting o l’arte di far tacere le donne”, L’Observatoire-La Relève), pubblicato nel 2023, la scrittrice francese Hélène Frappat analizza il gaslighting come uno “strumento critico del femminismo”. Frappat conduce un’inchiesta tra storia, cinema e politica per mostrare come questo meccanismo è stato utilizzato contro le donne per farle “sparire” e tacere, facendole passare per pazze o instabili: da Cassandra a Antigone, fino a Britney Spears. Per Frappat, il gaslighting è un’esperienza collettiva femminile.
La saggista Rebecca Solnit sul Guardian aveva scritto, nel 2023: “Tutto quello che c'era da sapere sull'autoritarismo l'ho imparato dal femminismo, o meglio dall'occhio attento del femminismo quando si tratta di controllo coercitivo e uomini violenti”. Un filo rosso unisce il mansplaining (l’atteggiamento paternalistico con il quale gli uomini pretendono rappresentare e spiegare alle donne il loro stesso punto di vista), al gaslighting e ad altri meccanismi di dominio per mettere a tacere e opprimere le donne.
Solnit vede la stessa dinamica all’opera nella politica internazionale quando paragona l’aggressione dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin al comportamento di un ex marito o di un fidanzato violento che passa alla vendetta quando non riesce ad accettare la separazione.
“Il gaslighting politico è il cugino collettivo di quello interpersonale. Mentre quest’ultimo distorce il senso di sé e della verità di un individuo, il gaslighting politico cerca di distorcere o riscrivere la realtà condivisa da una popolazione, spiega ancora Stern. “Non è solo una tattica, è una strategia di controllo. Il meccanismo psicologico è lo stesso: negare, deviare, distorcere. Ma la portata è molto più ampia e le conseguenze più radicali.”
Quando i leader politici o le istituzioni negano fatti che sono stati chiaramente testimoniati, riformulano le atrocità come equivoci o accusano i dissidenti di essere “squilibrati”, non si limitano a fare propaganda, ma stanno conducendo una guerra alla percezione, sostiene Stern. “L'obiettivo è la destabilizzazione, non la persuasione”. Se la propaganda politica vuole convincere il pubblico, il gaslighting cerca di disorientare.
A quasi un decennio dalla sua prima elezione, Trump è rimasto un maestro di questa strategia. “Trump is gaslighting us”, ha scritto Peter Wehner su The Atlantic dopo che alcuni membri di punta dell’amministrazione Usa avevano condiviso per errore dei piani militari segreti con il caporedattore del magazine. Invece di riconoscere l’errore, Trump ha attaccato The Atlantic definendolo un “fallimento”.
Quando un gaslighter si ritrova nello Studio Ovale, ha commentato Wehner, “gli orrori che di solito vengono inflitti a un singolo individuo vengono invece inflitti a un'intera nazione,” con l’obiettivo di provocare disorientamento, minando la fiducia nelle istituzioni. Secondo il giornalista, il fine ultimo è “dividere e indebolire la società civile, compromettendone la capacità di mobilitazione e coesione.”
Trump non è l’unico leader a utilizzare il gaslighting. Nel 2021, lo psicologo Anav Youlevich ha parlato del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu come di un “maestro del gaslighting” per il suo voler apparire costantemente sotto attacco, anche quando gli vengono rivolte delle semplici domande dai giornalisti. Anche l’ex premier britannico Boris Johnson, sostengono i suoi critici, ha mostrato i tratti del gaslighter nella sua comunicazione sulla Brexit.
Gaslighting e post-verità
Il gaslighting è strettamente collegato a un altro concetto diventato popolare negli ultimi anni: la post-verità. La ricercatrice Natascha Rietdijk mette in relazione i due fenomeni osservando che entrambi minano sia la fiducia in noi stessi come soggetti di conoscenza, sia la nostra autonomia epistemica (cioè la convinzione che siamo buoni giudici dell’affidabilità degli altri).
Come il gaslighting, la post-verità derubrica la verità a una questione di secondaria importanza. Gli appelli alle emozioni e alle convinzioni personali diventano così più rilevanti dei fatti stessi.
Benché il gaslighting possa toccare tutti, secondo Rietdijkk ci sono gruppi per cui il pericolo è maggiore: “Le persone emarginate dalla società sono più vulnerabili, sia perché si trovano più spesso in relazioni di potere asimmetriche, sia perché potrebbero essere state socializzate ad essere meno sicure di sé e più umili o insicure – ad esempio le donne, le persone anziane o giovanissime, gli individui con disabilità, e le minoranze etniche.” Ciò non significa che sia impossibile per una persona meno potente esercitare il gaslighting su una più potente, precisa Rietdijk, ma è molto meno probabile che il meccanismo funzioni.
Una relazione di potere sbilanciata e un rapporto problematico con la verità sono caratteristiche anche della propaganda politica. Ma per quanto sottile, la differenza tra propaganda e gaslighting è cruciale: “La propaganda spesso mira a mobilitare una base attraverso l'appello emotivo e la ripetizione. Il gaslighting erode la capacità di quella base di fidarsi del proprio giudizio, minando gli stessi strumenti che i cittadini usano per dare un senso al mondo,” spiega Stern. In questo senso, il gaslighting politico è una forma di violenza epistemica: “Crea una società in cui la verità è frammentata e in cui gli individui, incerti del loro equilibrio, diventano più malleabili alle narrazioni autoritarie.”
Rietdijk aggiunge che il gaslighting politico, a differenza della propaganda, non vuole convincere né modificare un comportamento, ma sopraffare e disorientare le persone rendendole “molto meno propense ad agire (esprimere critiche, opporre resistenza).”
Come reagire? Il gaslighting funziona quando chi ne è vittima non lo riconosce come tale, spiega Rietdijk. Se nelle relazioni private ribellarsi al gaslighting porta con sé il rischio di isolarsi, “il vantaggio del campo politico è che l'isolamento è più difficile da ottenere, e c'è la possibilità di resistenza collettiva e solidarietà.”
Per Rietdijk, “è importante continuare a denunciare il gaslighting quando lo si nota. Rifiutarsi di stare al gioco del gaslighter e di parlare la sua lingua è una strategia politica importante. È più efficace cercare di avviare una conversazione diversa.”
Mettere un argine al gaslighting politico significa anche trovare strategie efficaci di lotta alla disinformazione, nota Wehner su The Atlantic. Le armi utilizzate finora, come il fact checking e l’alfabetizzazione digitale, hanno dato risultati contrastanti.
Frappat suggerisce l’ironia come arma che permette di ritorcere il gaslighting contro chi cerca di manipolare. Alla fine del film di Cukor, la protagonista si ribella con ironia al marito-oppressore – “se non fossi pazza potrei aiutarti” – ritrovando la gioia nello stesso linguaggio che era stato usato contro di lei. Si tratta di una dinamica simile alla riappropriazione della parola “queer” da parte della comunità LGBT+, che ha trasformato un’offesa in una rivendicazione.
Frappat invoca un’ironia “ribelle, selvaggia, vivace e sexy”, perché la risata, “sospende la credenza in tutte queste favole che perpetuano, da millenni, la disuguaglianza della donna”. E delle società nel loro complesso, magari.
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