Analisi Giornalismo e democrazia

Precario e mal pagato: il giornalismo freelance è (anche) una questione di democrazia

Il giornalismo sta attraversando una crisi strutturale che si ripercuote sulla vita dei lavoratori e delle lavoratrici del settore. Come se la passano i reporter freelance in Francia, Italia e Spagna? Spoiler: quasi sempre male.

Pubblicato il 25 Luglio 2025

Sara* ha 43 anni, è italiana e lavora come freelance. Come tanti colleghi partecipa regolarmente ai bandi europei a sostegno del giornalismo, come il JournalismFund Europe o Investigative Journalism for EU. Seduta al tavolo di un parco del nord di Parigi, mi racconta un episodio che illustra bene la situazione: preparando il budget di un’inchiesta insieme a una collega di un altro paese europeo, quest’ultima le fa notare che forse aveva dimenticato un “0” nella rendicontazione. 

Per la collega, il pagamento del reportage su un media francese sarebbe stato 500 euro. Per Sara 50. “Non è un caso isolato il mio”, mi dice. “Vengo pagata un minimo di 50 a un massimo di 120 euro ad articolo”, che si tratti di un reportage o di un approfondimento. Un articolo da “50 euro puo’ comprendere trasferta, quattro interviste e foto, per esempio”, mi dice. “Praticamente lavori gratis”, aggiunge. 

Sara, come tanti colleghi, si ritrova a puntare parecchio sulle borse dedicate al giornalismo. E questo solleva, oltre al problema economico – che è centrale – un’altra questione: la qualità, la pertinenza e la forma dell’informazione prodotta. “Questo meccanismo limita molto i temi scelti. Se vuoi fare un’inchiesta su un tema italiano, per partecipare a questi grant la devi far diventare crossborder”. Cosa significa? Devi renderla parte di un tema europeo più vasto. Questo aggiunge una prospettiva più ampia agli articoli ma, a volte, diluisce l’impatto di quello che potresti fare concentrandoti su un solo paese. “Non puoi ragionare per qualità e per senso, perché devi inseguire le borse”, mi spiega. 


“Per poter vendere un articolo spesso devi trascurare temi importanti e inchieste scomode perché i giornali italiani non li vogliono o hanno paura” – Sara, freelance italiana


Questo perché, per un freelance, farsi pagare correttamente un’inchiesta – per non parlare del rischio giuridico – in Italia è praticamente impossibile. I giornalisti in Italia, mi dice Sara, “sono molto preoccupati”.  “Il vero problema è che per poter vendere un articolo spesso devi trascurare temi importanti e inchieste scomode perché i giornali italiani non li vogliono o hanno paura, e devi rendere sexy i pitch nel quotidiano… è soprattutto questo che impatta tanto sulla nostra vita di freelance e, in generale, sul paesaggio mediatico italiano”.  "A volte", aggiunge, “hai l’impressione che il tuo lavoro sia una missione”.

Secondo i dati Eurostat in Europa, nel 2023, 868.700 persone erano impiegate come autori, giornalisti e linguisti (fanno parte della stessa categoria statistica): la Germania in testa (237.600 persone), seguita da Francia (92.800), Spagna (74.200), Italia (72.300) e Polonia (69.600).

Italia e Francia e Spagna sono interessanti per cominciare una riflessione comparata, e sono tre paesi sui quali i giornalisti del progetto Pulse hanno potuto raccogliere testimonianze e dati. 

In Francia, secondo i dati della Commission de la Carte d’Identité des Journalistes Professionnels (Ccijp, che attribuisce ogni anno il tesserino di giornalista) nel 2023 i giornalisti professionisti erano 34.444: questo numero corrisponde quello delle tessere da giornalista rilasciate e/o rinnovate. 

In Italia, a gennaio 2024, i giornalisti  iscritti all'Ordine nazionale dei giornalisti erano 94.086 (di cui 26.086 cosiddetti “professionisti”, ovvero che esercitano in maniera continuata la professione e 68.000 “pubblicisti”, ovvero che esercitano in maniera non continuativa) secondo i dati dell’Ordine. 

Non esiste invece una lista ufficiale della professione in Spagna. Secondo i dati Eurostat (che però raccoglie più mestieri), nel 2023 il settore impiegava 74.200 persone. Il paese conta circa 49 milioni di abitanti. 

La Francia ha oggi circa 68 milioni di abitanti, l’Italia circa 58. L'Italia ha 3 volte il numero di giornalisti che ha la Francia. 

“Bisogna essere chiari: gli iscritti all’Ordine dei giornalisti sono poco meno di 100mila, ma non ci sono 100mila posti di lavoro per giornalisti in Italia. Anche questa situazione, per via della legge di mercato su domanda/offerta, sta impoverendo il settore”, dice Alessandra Costante della Federazione nazionale della Stampa italiana (Fnsi, il più grande sindacato giornalisti, che contava 16mila iscritti nel 2023). 

In Italia, 50 euro per un articolo

“Non solo il giornalismo in Italia è sempre più povero e più anziano, ma è anche più precario. La precarietà è il più grande bavaglio alla libertà e all'indipendenza dell'informazione e all'articolo 21 della Costituzione”, che li garantisce, dice Alessandra Costante. 

Il giornalismo in Italia soffre. Soffre di stress, soffre di precarietà e soffre, in conseguenza, anche in qualità.  L’inchiesta ad oggi più completa sull’argomento (558 partecipanti) è stata pubblicata su IrpiMedia nel 2023, a firma di Alice Facchini. “I fattori che vengono individuati come quelli maggiormente impattanti sul benessere psicologico sono in primis l’instabilità e la precarietà, seguito dai compensi troppo bassi, dal fatto di rimanere sempre connessi e reperibili, e dai ritmi frenetici”, racconta.  

Chi sono queste persone? “Il 46 per cento ha tra i 18 e i 35 anni, il 31 per cento è nella fascia 35-45, il 14 per cento nella fascia 45-55, il 6 per cento nella fascia 55-65 e solo il 2 per cento ha più di 65 anni”. Oltre la metà delle persone che ha risposto (il 65 per cento) si definisce “freelance”.   Dall’inchiesta di IrpiMedia risalta una questione che sembra banale: i "compensi troppo bassi sono considerati il fattore più impattante sul benessere psicologico della categoria”. 


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In Italia “sei giornalisti su dieci guadagnano meno di 35mila euro lordi l’anno” scrive La Via Libera (dati Ingp, Rapporto sulle dinamiche occupazionali nel settore giornalistico) e “quasi la metà dei giornalisti freelance – che spesso sono collaboratori precari o a partita iva – guadagnano meno di 5mila euro all’anno, e l’80 per cento non guadagna oltre 20mila euro”. 

Alessandra Costante (Fnsi) spiega che “esisteva un tariffario dell'Ordine con le indicazioni delle retribuzioni minime per coloro che svolgono la professione in forma autonoma. A partire dal 2007, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ne ha richiesto la rimozione. Con il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro sottoscritto da Fnsi e Fieg (Federazione italiana editori di giornalisti) nel 2014 è stato introdotto uno specifico accordo sul lavoro autonomo che fissa alcune garanzie minime, in termini sia economici che di tutele e diritti, per i giornalisti titolari di contratti di collaborazione coordinata e continuativa.”

Di fatto, i prezzi delle retribuzioni in Italia sono quelli che ogni testata decide di applicare. 

Lo spioncino del Freelance è un sito sul modello del francese Paye ta Pige, progetto pensato per portare trasparenza nel mondo della stampa. Lo spioncino del Freelance cerca di recensire quanto vengono pagati i giornalisti freelance in Italia. Francesco Guidotti, uno dei fondatori, racconta che “è un po’ complicato stabilire una media che rappresenti con efficacia tutto il settore basandosi sui nostri dati, raccogliamo collaborazioni eterogenee e a volte molto diverse tra loro. Una somma che viene segnalata spesso è quella di 50 euro lordi, che può essere corrisposta per articoli di approfondimento che possono richiedere diverse ore di lavoro. Ci sono anche notizie brevi pagate tra i 2 e i 10 euro lordi. Raramente vengono segnalati compensi da 200 o 600 euro lordi, però spesso si tratta di reportage o longform per i quali giornalisti o giornaliste devono spostarsi, studiare e lavorare per diversi giorni”.

Lo spioncino del Freelance, spiega Guidotti, si limita a “rendere trasparenti i compensi”. 

“Pensiamo che dovrebbe essere il sindacato a intervenire e in parte lo sta facendo, anche se sicuramente un movimento che dal basso reclami compensi più dignitosi aiuterebbe. Ci piacerebbe provare a organizzare qualcosa in questo senso, ma servono tempo ed energie, merce rara per i freelance. Intanto pensiamo che stia anche al singolo freelance negoziare, dire di no a tariffe umilianti, etc. e speriamo che rendere trasparenti i compensi possa dare uno strumento di consapevolezza aggiuntivo. Poi magari diranno che i giovani non hanno voglia di lavorare, ma almeno si capirà che c’è un problema”, dice. 

“Non ho trovato un media spagnolo che paghi più di 100 euro per un reportage”

In Spagna la situazione non sembra migliore rispetto all’Italia e le tariffe per i freelance sembrano simili: ci sono quotidiani nazionali che pagano tra i 35 e i 40 euro ad articolo, come mostra questa discussione su X

Tarifas en España

Esperanza* ha 36 anni e lavora come giornalista da undici: “Non ho trovato un media spagnolo che paghi più di 100 euro per un reportage, indipendentemente dal tempo che ci dedichi. La maggior parte paga tra i 50 e i 70 euro. Per esempio, nel 2016 ho seguito la rotta dei rifugiati nei Balcani e un grande media mi ha pagato 70 euro il reportage”. 

In passato, racconta Esperanza, “ho lavorato per sette anni alla [televisione privata] Cadena SER. Durante gli ultimi due anni, ho chiesto ai miei superiori di cambiare sezione, a causa del comportamento scorretto del mio capo (urla, commenti, derisioni). Tutto questo è successo in un ambiente in cui guadagnavo solo 600 euro al mese come falso autónomo. Lì era normale passare 10 anni o più come falso freelance, in attesa di un contratto regolare. Dato che non riuscivo a ottenere un trasferimento all'interno dell'azienda né a trovare il tempo per cercare lavoro altrove, ho finito per andarmene senza alcuna prospettiva”. 


“L'insicurezza lavorativa è la caratteristica principale dei lavoratori dei media in Spagna” – Ana Martínez, Comisiones Obreras


Lo stipendio medio di un giornalista in Spagna è di 22mila euro all'anno. I dati vengono dall’Ufficio di Statistica del Lavoro spagnolo. Un problema aggiuntivo è che molti giornalisti rientrano nella categoria di "falso autónomo", ovvero di partite Iva che vengono usate per coprire posti che sarebbero fissi. Questo statuto permette a tante testate di assumere, ma senza assumere. Secondo il Servizio Pubblico per l'Impiego (SEPE), tra settembre 2022 e 2023, c’è stato un aumento dal 6 al 14 per cento di questi falsi freelance rispetto al 2022. 

Su Cuardernos de Periodistas, giornale specializzato, Cristina Puerta scriveva, nel 2022, che in Spagna ci sono oltre 73.500 persone iscritte al regime dei lavoratori autonomi che lavorano come freelance. Puerta cita il rapporto dell'Associazione della Stampa di Madrid (Apm) secondo la quale  il 69 per cento dei giornalisti autonomi ha scelto questa opzione per necessità, non per scelta: “In Spagna, la tutela dei loro diritti e delle loro condizioni di lavoro o l'accesso alle prestazioni sociali all'interno di un quadro giuridico sono praticamente inesistenti, molto indietro rispetto alle misure normative di altri paesi europei, come la Francia”, scriveva Puerta. “Fino al 2022, i professionisti che esercitavano la libera professione dovevano registrarsi nella categoria ‘artigiani’ dell'imposta sulle attività economiche. Il 1° gennaio 2022 è finalmente entrata in vigore la voce 863 [...], che riconosce i giornalisti e i comunicatori autonomi nel censimento delle attività economiche dell'Agenzia delle Entrate”. 

“Si è cercato di regolamentare il problema dei giornalisti freelance, ma rimangono l'anello più debole. Molti arrivano alla loro prima esperienza lavorativa senza conoscere i propri diritti e senza strumenti per difendersi dagli abusi sul lavoro. Si approfitta della vocazione e dell'entusiasmo di questa professione”, dice Beatriz Lara, segretaria della sezione Stampa e Comunicazione della Confederazione nazionale dei lavoratori (Cnt)

Secondo Ana Martínez, del sindacato Comisiones Obreras (Ccoo): “L'insicurezza lavorativa è la caratteristica principale dei lavoratori dei media in Spagna. Dalla crisi economica del 2008, giornalisti, cameraman, fotografi e personale tecnico legato ai servizi di informazione hanno perso tra il 25 e il 30 per cento del potere d'acquisto: gli stipendi non sono aumentati allo stesso ritmo dell'inflazione”.

Una ricerca del 2016, La precariedad en el periodismo: una historia de largo recorrido racconta che “La precarietà della professione, che ha dato origine al termine ‘precariodismo’, ha portato a un crescente interesse nel mondo accademico per la situazione lavorativa dei giornalisti”.  Dalla stessa università, un altro studio spiega: "La precarietà che pervade il giornalismo spagnolo è un problema che va oltre la situazione particolare dei giornalisti che ne soffrono, poiché [...] influisce sulle routine professionali e, in ultima analisi, sulla qualità dell'informazione che i media forniscono alla società".

La Francia, un caso a parte?

In Francia l’Observatoire des métiers de la presse, che analizza l’evoluzione del mestiere, pubblica un resoconto sul reddito dei giornalisti, sulla base dei dati della CCIJP, l’organo che emette la carta da giornalista. Questi dati riguardano solo i titolari della tessera. Nel 2023 il 69,8 per cento dei giornalisti in Francia lavorava con un contratto a tempo indeterminato con uno stipendio mediano lordo di 3.650 euro, il 23 per cento in freelance (la pige) guadagnando 1.951 euro lordi et il 2,2 per cento in contratto a termine per 2.958 euro lordi. 

La remunerazione per i “freelance” francesi è regolamentata a 60 euro a cartella (ovvero 1.500 battute). Ogni media applica poi tariffe in maniera autonoma. 

Pauline, dell’associazione Profession : Pigiste (“Professione : freelance”) spiega che in Francia le “tariffe variano notevolmente. Ci sono dei minimi, ma non sempre vengono rispettati. A volte gli articoli vengono pagati a pezzo, ma se rapportati alla cartella, finiscono per essere pagati 20 o 25 euro a cartella. Sul sito Paye Ta Pige ho visto una tariffa di 18 euro a cartella, pagata come fattura e non come stipendio, come previsto dalla legge francese (il che significa che non solo la tariffa è molto bassa, ma il giornalista non contribuisce nemmeno all'assistenza sanitaria, alla disoccupazione, alla pensione, ecc.). Per quanto riguarda la fascia massima, a mia conoscenza, si aggira intorno ai 150 euro lordi a cartella. Forse altri offrono tariffe ancora più elevate. E questa fascia massima viene raramente applicata”.  In generale i casi di tariffe estremamente basse, benché esistenti, sono rari.

La pige è un sistema riservato ai giornalisti freelance in Francia. Di fatto è un “mini stipendio”, lo statuto è quello di dipendente, perché il committente paga anche i contributi sociali. È definito dalla legge Cressard (1974).

Una situazione europea?

Per Alessandra Costante (FNSI) la situazione in Italia è “sovrapponibile a quella degli altri paesi europei. Per oltre vent’anni, in tutto il mondo il web è cresciuto senza regole e questo ha provocato distorsioni anche nel mercato del lavoro e nell’informazione. Il paradosso è che, mentre ovunque c'è una sempre più massiccia richiesta di informazione, il giornalismo professionista è entrato in crisi, soppiantato talvolta dal ricorso al copia/incolla e dai creatori di contenuti che non rispondono alle regole deontologiche della professione giornalistica”.

Jana Rick è dottoranda e ricercatrice associata presso il Dipartimento di Media e Comunicazione dell'Università Ludwig Maximilian di Monaco. Ha lavorato a un progetto di ricerca finanziato dalla Fondazione tedesca per la ricerca (Dfg), Prekarisierung im Journalismus  (Precarizzazione nel giornalismo) realizzato dal 2019 al 2024 che ha coinvolto mille giornalisti in Germania. 

Secondo lo studio, il 43 per cento dei giornalisti percepisce la propria situazione lavorativa come precaria, tre su cinque riferiscono che le loro condizioni di lavoro sono peggiorate dalla pandemia di coronavirus e oltre la metà (58 per cento), pensa che le condizioni precarie minacciano la qualità del giornalismo. Ciononostante, oltre due terzi (69 per cento) degli intervistati sono generalmente soddisfatti della propria professione. Il sindacato tedesco dei giornalisti Deutsche Journalistinnen- und Journalisten-Union (dju) riferisce che circa due terzi dei suoi membri si identificano come giornalisti freelance.

“Alcuni di loro ammettono che la precarietà influisce sul loro lavoro: le minacce esistenziali possono avere conseguenze negative sulla creatività, la mancanza di tempo porta a ricerche meno approfondite. Le condizioni di lavoro precarie possono anche avere un impatto negativo sui temi scelti dai giornalisti, che tendono a preferire argomenti che richiedono meno tempo”, spiega Rick. 

La World Association of News Publishers (WAN-IFRA, organizzazione presente in circa 100 paesi e che conta oltre 18mila organi di stampa) ha pubblicato, nell’aprile del 2025, un sondaggio che racconta che il  60 per cento dei giornalisti intervistati ha vissuto un'esperienza di burn-out, mentre il  62 per cento è costretto a integrare il proprio reddito con altri tipi di lavoro per arrivare a fine mese. Il sondaggio si basa su circa 400 interviste in 33 paesi Ue, in 13 lingue, realizzato da Taktak Media/Display Europe

“Se l'industria dell'informazione continua la sua transizione verso un modello dominato dai freelance, dovremo investire molto di più per tutelare questi lavoratori", commenta Jeff Israely, direttore di Taktak. “L'ascesa del giornalismo freelance in Europa rappresenta un cambiamento strutturale nel settore dei media: la riduzione dei bilanci delle redazioni ha costretto i media a fare maggiore affidamento sui giornalisti indipendenti”.

* i nomi sono inventati

🤝 Questo articolo è stato realizzato nell'ambito del progetto PULSE, un'iniziativa europea a sostegno delle collaborazioni giornalistiche transfrontaliere. I dati non sono sempre coerenti o paragonabili per le situazioni diverse dei media che hanno accettato di partecipare, così come delle diverse situazioni nazionali. Va quindi inteso come la panoramica di un malessere generale diffuso nella professione in Europa, soprattutto tra i giornalisti freelance, e sollela la questione di una regolamentazione comune del loro status.
🙏 Ringrazio per il loro contributo (e la loro pazienza) Lola García-Ajofrín, Ana Somavilla (El Confidencial, Spagna), Harald Fidler (DER STANDARD, Austria), Dina Daskalopoulou (Efysn, Grecia), Krassen Nikolov (Mediapool, Bulgaria) e Petra Dvořáková (Deník Referendum, Repubblica Ceca).

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