Sono tempi difficili per i giornalisti. Marginalizzati dall’esplosione dei social media, accusati di complicità con le élite invise ai populisti, imitati da bot e talvolta eliminati in quanto testimoni scomodi – almeno 42 (a seconda della fonte) sono stati uccisi nel 2024 – i giornalisti faticano sempre di più a veder riconosciuto il loro ruolo, che malgrado tutto rimane essenziale per le nostre società.
La Fondazione per il Giornalismo canadese (CJF) insieme a un gruppo di giornalisti guidati da Maria Ressa, giornalista filippino-americana, co-premio Nobel per la pace e direttrice del media investigativo Rappler, e da Branko Brkic, ex direttore del quotidiano investigativo sudafricano Daily Maverick, hanno lanciato la campagna World News Day che si celebra il 28 settembre, proprio per riportare questo ruolo al centro del dibattito pubblico e riflettere sulla sua importanza.
Di seguito alcuni estratti delle riflessioni di un gruppo di giornalisti che, insieme a Ressa e Brkic, hanno condiviso con Voxeurop. Si tratta di “un’iniziativa globale volta a richiamare l'attenzione sul ruolo che i giornalisti svolgono nella diffusione di informazioni affidabili, al servizio dei cittadini e della democrazia”, spiega Kathy English, presidente della CJF. “Il giornalismo non è infallibile. In un mondo polarizzato, sono troppe le persone che non riescono a concordare su cosa sia un fatto, affermando che la verità sia morta”, osserva. “Diventa ancora più importante, quindi, che i giornalisti responsabili e i cittadini comprendano cosa significhi un’informazione affidabile e basata su prove. Non si tratta solo di diffondere e consumare informazioni, ma di dare alle persone gli strumenti necessari per conoscere i fatti di cui hanno bisogno per orientarsi nel mondo”.
“Questo messaggio non potrebbe essere più urgente e opportuno. In un mondo in cui la disinformazione dilaga e sempre più spesso la finzione diventa realtà, la scelta della verità è più importante – e difficile – che mai”, continua English. “Per i cittadini significa distinguere tra informazioni vere, voci e falsità mascherate da fatti, una sfida resa ancor più complessa nell’era dei contenuti generati dall’IA e di attori malintenzionati che cercano di seminare discordia attraverso la diffusione di notizie false. Per i giornalisti implica un maggiore impegno a rispettare il nostro principio cardine: servire i cittadini portando loro la ‘verità’, sulla base di fatti verificati. […] Come indicato nel Digital News Report (2024) del Reuters Institute for the Study of Journalism dell'Università di Oxford, ‘in tutto il mondo, la maggior parte delle persone dubita della maggior parte delle informazioni e nella maggior parte dei casi’”.
Nel suo intervento, Marcelo Rech, presidente dell'Associazione dei giornali brasiliani, afferma che “la stampa non è la soluzione a tutti i dilemmi della nostra epoca, ma provate a immaginare un mondo senza”.
Rech continua: “Chi distinguerebbe tra fatti e dicerie? Come fidarsi di un contenuto o di un’istituzione se non esiste una garanzia di credibilità, assicurata da una copertura giornalistica seria e indipendente? Chi denuncerebbe l’emergere di una nuova truffa cibernetica che costa alle persone i loro risparmi? Chi indagherebbe sulla corruzione e altri crimini quando i servizi statali sono lenti o negligenti? Chi si occuperebbe dei danni causati dalle Big Tech e dei rischi che i social network pongono per la nostra stabilità emotiva, politica ed economica? Infine, chi denuncerebbe il potere degli autocrati corrotti e la minaccia che rappresentano per le democrazie?”
E conclude: “Chi fa giornalismo indipendente non è immune dai problemi, a partire dalla sostenibilità stessa dell’attività. Fatta qualche eccezione, la grande maggioranza dei media sopravvive grazie a un modello di business che soffre dell’asimmetria normativa rispetto alle piattaforme digitali. Poiché si basano sulla fiducia, questi media, contrariamente alle Big Tech, non possono sopravvivere rinunciando all’etica o relativizzando i concetti di verità e responsabilità riguardo alla diffusione dei contenuti”. Per questo motivo, Rech propone che queste (le Big Tech) versino un “contributo” per il giornalismo professionale, “allo scopo di eliminare parte dell’inquinamento sociale che minaccia la salute mentale e la stabilità del pianeta”, un po’ come una tassa per sul carbone, insomma.
“Tutti gli occhi sono puntati sulle elezioni, sugli eventi principali e sui grandi cambiamenti”, nota la giornalista egiziana Fatemah Farag. Per la fondatrice e direttrice di Welad ElBalad Media, la democrazia si costruisce soprattutto a livello locale, “grazie allo sforzo di giornalisti impegnati che lavorano ogni giorno per offrire informazioni alle loro comunità”.
“Non è un lavoro facile”, dice: “Costruire, gestire e sostenere un giornalismo locale di servizio pubblico, capace di svolgere un ruolo essenziale nel sostenere la società, è spesso un compito ingrato. In tutto il mondo i fondi per la stampa sono diminuiti, mentre l’attività giornalistica è minacciata dalle grandi aziende tecnologiche, i posti di lavoro sono stati tagliati, la qualità è stata compromessa, le risorse sono frammentate e il valore del giornalismo è costantemente messo in discussione. […] Sembra che le persone che vogliamo servire siano sempre più disilluse a causa delle campagne di informazione e disinformazione e che la sfiducia e il rifiuto del pubblico siano realtà quotidiane. Abbiamo vissuto in prima persona i pericoli che la perdita di media indipendenti, soprattutto a livello locale, rappresenta per la democrazia. Ormai sappiamo che la sopravvivenza di media diversificati e competenti è la chiave di volta della ricerca di umanità e libertà. […] Gli esempi di coloro che hanno colto l'importanza di questo momento sono numerosi: per alcuni si tratta di media gestiti direttamente da giornalisti, per altri di tipografie e prodotti, per molti dell'impegno comunitario – e questo è solo una parte di ciò che viene fatto”.
“Non sorprende più che il ‘giornalismo dei fatti’ venga stigmatizzato come copertura, complice dell'ordine stabilito, né che le imprese che lo praticano siano talvolta costrette a scegliere da che parte stare, rinunciando a una neutralità che, ovviamente, non può che essere artificiale”, denuncia infine Fabrice Fries, amministratrice delegata dell’agenzia France-Presse (AFP). “La polarizzazione mina la legittimità di queste imprese e il peggio è che questo processo di delegittimazione ha già prodotto degli effetti innegabili”.
Il calo della fiducia nei media associato ai tagli dei posti di lavoro nelle redazioni; “la trasformazione, attraverso l’intelligenza artificiale dei motori di ricerca in motori di risposta che ‘disintermediano’ i media; l’inquinamento dell’ecosistema mediatico da parte di siti di ‘notizie un tanto al chilo’ generati dall’IA; le campagne di destabilizzazione; gli annunci di soppressione di account a centinaia di migliaia da parte delle piattaforme e la disinformazione diventata massiccia, quotidiana” non sorprendono affatto, afferma. “Ciò che sorprende, piuttosto, è che tutto ciò non susciti più reazioni”.
E conclude: “Spesso, a emergere dalle testimonianze dei giornalisti che hanno attraversato tutte queste difficoltà, è quanto si sentano soli e disarmati”.
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Perché gli eco-investitori si ritrovano a finanziare le “Big Oil”? A quali stratagemmi ricorre la finanza per raggiungere questo obiettivo? Come possono proteggersi i cittadini? Quale ruolo può svolgere la stampa? Ne abbiamo discusso con i nostri esperti Stefano Valentino e Giorgio Michalopoulos, che per Voxeurop analizzano i retroscena della finanza verde.
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