I chiari vincitori delle elezioni europee in Romania sono stati il Partito liberale nazionale (10 seggi) e il gruppo del Partito popolare europeo (14 seggi in tutto, uno in meno rispetto al 2014) a cui è affiliato. Il Partito socialdemocratico (Psd) ha ottenuto solo la metà dei voti ottenuti alle elezioni parlamentari del 2016 (22 per cento). Questo fa seguito al suo tentativo di modificare la legislazione anti-corruzione in modo da evitare accuse penali contro il suo leader, Liviu Dragnea.
La sconfitta era prevista, ma la sua portata è alquanto sorprendente, dando al partito solo otto seggi, lo stesso numero di Alliance 2020, membro di Renew Europe. Pro Romania, un nuovo partito fondato dall'ex primo ministro Victor Ponta e affiliato ai Socialisti e democratici europei, ha ricevuto due mandati, così come il partito del Movimento Popolare guidato dall'ex presidente Traian Băsescu e l'Alleanza democratica degli ungheresi in Romania, entrambi parte del Ppe. Dato che in Romania non c'è un partito ecologista, non c'è stata l'ondata verde. Mentre i risultati finali hanno ampiamente confermato i sondaggi pre-elettorali, non era stato previsto l'aumento dell'affluenza dal 32 per cento nel 2014 al 49,2 per cento.
In difesa dello stato di diritto e di una magistratura indipendente
Questo aumento è stato stimolato da un referendum sui piani del PSsd per il sistema giudiziario e si è tenuto lo stesso giorno delle elezioni europee. Indetto dal presidente rumeno Klaus Iohannis, chiedeva ai cittadini se sostengono i divieti di amnistia e grazia nei casi di corruzione e sull'uso da parte del governo di decreti d'emergenza sul sistema giudiziario (un settore di cui i socialdemocratici avevano abusato in precedenza).
Per quanto possa sembrare complicato il risultato è stato chiaro: oltre l'85 per cento degli elettori ha respinto i piani dei socialdemocratici. Mentre il presidente stesso potrebbe considerare la sua iniziativa come un successo personale, il risultato è anche la prova che i cittadini rumeni sono disposti a difendere lo stato di diritto e un sistema giudiziario indipendente, che il Psd ha cercato di subordinare, come ha fatto Viktor Orbán in Ungheria.
Il giorno dopo le elezioni europee, il presidente del Psd Liviu Dragnea è tornato in tribunale per l'ultimo appello nel suo processo riguardante l'assunzione fraudolenta di due dipendenti del partito. La Corte suprema lo ha condannato a tre anni e sei mesi di carcere. La decisione è definitiva.
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