Ifigenia, Giona e il sacrificio della Grecia

Mentre il primo ministro greco Antonis Samaras intraprende un tour in Europa per chiedere un alleggerimento delle misure di salvataggio previste per la Grecia, l’editorialista Nikos Konstandaras rievoca gli antichi miti per spiegare che non si salverà l’euro gettando Atene in mare.

Pubblicato il 21 Agosto 2012 alle 16:15

Numerosi esponenti politici stranieri, economisti e osservatori vari hanno sollevato la questione della possibile uscita della Grecia dalla zona euro (e forse, addirittura, dall’Unione europea), al punto tale che di questo prevalentemente si parla in tutti i dibattiti che riguardano il futuro del nostro paese.

Gli incontri che il primo ministro Antonis Samaras dovrà avere questa settimana con Angela Merkel, François Hollande e Jean-Claude Juncker non faranno eccezione alla regola. Se vogliamo evitare di parlare direttamente del “sacrificio” della Grecia, occorre tuttavia tener conto di come ciascuna delle parti prospetta l’idea dell’uscita dalla zona euro del nostro paese e le sue possibili conseguenze.

È palese, come in ben altri casi, che i greci e lo zoccolo duro dei nostri salvatori di fondi, e soprattutto alcuni politici ed economisti tedeschi, danno prova di una differenza culturale da questo punto di vista. I greci parlano del sacrificio di Ifigenia come di qualcosa che permetterebbe ai partner di alzare le vele verso la loro salvezza, anche se edificherebbero il loro futuro su fondamenta di ingiustizia. Gli “stranieri”, dal canto loro, per lo più sembrano considerare la Grecia nello stesso modo in cui l’equipaggio e i passeggeri osservarono Giona prima di decidere di scaraventarlo fuori bordo, per salvarsi da una terribile tempesta.

Noi greci abbiamo la propensione a vedere la dimensione tragica degli avvenimenti, pur mantenendo un comportamento passivo. Il concetto di sacrificio è equiparato al sacrificio dell’innocente a beneficio di tutti: la vittima non ha implicazioni né responsabilità alcuna al di là del solo fatto di esistere. I nostri partner calvinisti, invece, percepiscono lo sforzo collettivo come la ragione stessa del contributo di ciascun membro: i ruoli non sono predefiniti, come nel mondo della tragedia, ma sono attribuiti sulla base di ciascuno sforzo individuale.

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Nel nostro mondo vittima è colui che per una ragione indipendente dalle proprie responsabilità si annienta per servire gli oscuri interessi altrui; quanto alla visione invece dei nostri “pragmatici” partner, tutti sono giudicati esclusivamente per il contributo dato alla collettività.

Qual è dunque il risultato del sacrificio di Ifigenia e di Giona? E che cosa accadrà dopo l’eventuale espulsione della Grecia dalla zona euro o da qualsiasi altra istituzione europea? Il sacrificio di Ifigenia è diventato un simbolo dell’ingiustizia e della crudeltà dei molti: lei ha macchiato di sangue innocente la spedizione contro Troia e ha fatto condannare a morte il capo dopo il suo rientro.

L’avventura di Giona - salvato non appena Dio gli invia una balena affinché sia inghiottito, sopravviva nel suo ventre, e sia deposto a riva tre giorni dopo - è invece il simbolo dell’onnipotenza divina (per gli ebrei, i cristiani e i musulmani) e dell’incapacità degli uomini di sfuggire alla volontà dell’Onnipotente (come ha tentato di fare Giona, sottraendosi a una missione a lui affidata).

Esistono due versioni sulla fine di Ifigenia. In base alla prima ella muore sull’altare; per la seconda è trasportata per intervento degli dei in un paese straniero, a Tabriz, dove vive in mezzo ai barbari. Questo è più o meno quanto attende anche noi, qualora uscissimo dall’euro.

Purtroppo per noi, la storia di Giona dimostra che i passeggeri fecero bene a gettarlo oltre il parapetto: tutto a un tratto il mare si placò, furono soccorsi da altri, e infine Dio mantenne in vita il profeta reticente a ubbidire ai suoi ordini. Forse è questo ciò che dicono anche coloro che affermano di non essere disperati alla prospettiva dell’uscita della Grecia dalla zona euro, ritenendo che sarebbe grazie alla sua morte sull’altare che all’improvviso la crisi finirebbe e tutto andrebbe per il meglio.

I miti influenzano le nostre percezioni e la semplificazione aiuta spesso a considerare con altri occhi i complessi problemi moderni. Basta soltanto prendere nota delle differenze rispetto alla realtà.

Oggi dobbiamo tener conto dei costi di un’eventuale uscita della Grecia dalla zona euro – per la Grecia e per i nostri partner e per chi salva i nostri fondi con i bailout. Finché ci lamenteremo di essere noi le vittime designate – una sorta di moderna Ifigenia – non alleggeriremo il peso della responsabilità di evitare il nostro sacrificio.

Coloro che auspicano che la Grecia sia “scaraventata in mare” devono sapere che non sarà salvata dalla volontà divina, che la crisi non avrà fine, che il mondo intero saprà che su questa nave si sacrifica la gente. Andremo ad allargare il numero dei mostri, ma non per salvare chiunque si professerà profeta, bensì per divorare gli altri membri dell’equipaggio. Fino a quando non saranno tutti scomparsi.

Diplomazia

La via crucis di Antonis Samaras

La settimana di intensa attività diplomatica del primo ministro greco Antonis Samaras – il 22 agosto incontrerà ad Atene il presidente dell’eurogruppo Jean-Claude Juncker; il 24 sarà a Berlino per parlare con la cancelliera Angela Merkel, e il giorno successivo dovrà recarsi a Parigi per incontrare il presidente François Hollande — per chiedere un alleggerimento del piano di austerity imposto alla Grecia inizia sotto i cattivi auspici, scrive To Vima:

Non passa giorno senza che si senta un responsabile tedesco farci la predica, […] metterci ancora in guardia dal fatto che fino a quando non avremo onorato interamente i nostri obblighi, la strada per uscire dall’euro resta aperta. […] Ma non vedono, non capiscono che questo atteggiamento aggressivo non solo non è di aiuto alla Grecia, ma che anzi alimenta un clima di tensione sociale e politica che esacerba i problemi invece di risolverli? I dirigenti europei – e i tedeschi in primis – devono capire che […] il prezzo del crollo dell’euro non sarà doloroso soltanto per i paesi del sud dell’Europa, ma anche per il ricco nord.

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