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Il silenzio tombale dell’Europa sui droni armati

Mentre gli stati membri dell’Unione europea si affrettano ad armare i droni in dotazione, si fa sempre più urgente l’adozione di un quadro legale per proteggere le popolazioni dai “danni collaterali” provocati da queste nuove armi. Lo chiedono le ong che lavorano nel settore e, di rencente, anche il Parlamento europeo.

Pubblicato il 23 Settembre 2018 alle 20:16

La recente inaugurazione di una nuova base di droni della Cia in Niger ha riportato l’attenzione internazionale sul programma statunitense per gli omicidi mirati. L’inversione di marcia approntata da Donald Trump sulle politiche leggermente migliorate dal suo predecessore Barack Obama sulla trasparenza e la responsabilità dà ulteriori motivi di preoccupazione per i prossimi anni.

Con gli imminenti teatri di conflitto che appaiono all’orizzonte, è di fondamentale importanza che gli stati membri dell’Ue e la stessa Unione europea prendano una chiara posizione su queste politiche letali e respingano qualsiasi ulteriore tentativo di danneggiare i principi legali internazionali e la dignità umana da parte del programma sulle uccisioni con i droni.

Il fatto che l’Ue possa rivestire un ruolo importante è contenuto in una risoluzione adottata il 12 settembre dal Parlamento europeo, che contiene un appello al Consiglio dell’Unione per “assicurare che l’uso di droni armati rispetti gli obblighi previsti dalle leggi internazionali, incluso le leggi internazionali sui diritti umani e le leggi internazionali in ambito umanitario, e che siano in vigore efficaci norme vincolanti per gestire la fornitura di ogni forma di assistenza per le operazioni con droni letali”.

Si tratta certamente un appello di estrema importanza, dato che lo sviluppo e l’uso dei droni armati in Europa è in rapida espansione: la Francia sta armando il suo drone Reaper MQ-9, Paesi Bassi e Belgio hanno appena annunciato l’acquisto di droni dello stesso modello “armabili”, mentre la Germania sta riflettendo sulla possibile locazione del drone israeliano Heron TP. Nel frattempo, anche un consorzio europeo di produttori di armi sta cercando nuovi investimenti sulla difesa per sviluppare i propri droni militari.

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In mezzo a tutte queste intenzioni, non c’è ancora stato alcun concreto arretramento in merito al programma segreto statunitense sui droni, pesantemente criticato. L’amministrazione Obama aveva apportato piccoli cambiamenti per aumentare la trasparenza, mentre l’attuale presidente Donald Trump, ha abolito in modo preoccupante e rapido queste modifiche e approvato l’uso di droni armati in Yemen, Somalia e Pakistan.

È previsto che nuovi droni armati francesi e statunitensi si aggirino sulle pianure africane, con l’espansione della “Guerra al Terrore” nel Sahel, ma non si è riusciti a predisporre politiche e restrizioni chiare. Questo fallimento può rivelarsi fatale per gli abitanti dei luoghi in cui vengono sganciati i missili di questi droni, stando all’uso storico di queste armi da parte degli Stati Uniti, che ha provocato centinaia di vittime tra i civili, e molti altri feriti.

Perché dunque c’è bisogno di una forte voce europea? L’urgente necessità di sostenere un quadro legale solido e il rispetto dei diritti umani è al centro delle discussioni sui droni armati in Europa, al fine di promuovere i principi su cui si basa l’Unione europea.

Le operazioni in cui sono state impiegate forze letali telecomandate, che coincidevano con risposte intensificate di contro-terrorismo internazionale, hanno spianato la strada a pratiche micidiali, che rischiano di danneggiare le garanzie consolidate a tutela della vita e della dignità umana. Le popolazioni colpite dai droni armati chiedono giustizia e le loro grida di aiuto sono state generalmente accolte con silenzio dalla comunità internazionale, mentre il programma statunitense di uccisione mirata, al momento in espansione, è un cattivo esempio a riguardo.

L’Unione ha dichiarato che il contro-terrorismo e la sicurezza riceveranno più attenzione all’interno della sua politica estera, favorendo ad esempio la cooperazione con Stati in cui i gruppi armati sono attivi e tramite lo scambio di informazioni sui rifugiati che arrivano in Europa. Nel frattempo, alcuni stati membri come la Francia sono coinvolti in operazioni militari dell’Onu o simili per combattere i terroristi e i gruppi armati, che presto conosceranno l’uso dei droni armati. Bisogna anche chiarire che altri stati potrebbero aver incoraggiato queste pratiche, condividendo informazioni riservate o ospitando basi statunitensi in cui si svolgono attacchi coi droni.

Coi paesi europei sempre più concentrati sulle azioni di antiterrorismo, c’è un urgente bisogno di formulare una chiara interpretazione del diritto internazionale esistente che sostenga le norme consolidate sulla protezione del diritto alla vita e sulla limitazione dell’uso della forza. Questo significa garantire maggior trasparenza sulle operazioni militari svolte e aumentare la consapevolezza sulle informazioni condivise con terzi che potrebbero usare queste informazioni per omicidi mirati stragiudiziali.

Una maggior trasparenza rafforza la responsabilità nazionale riguardo l’uso della forza letale, necessaria per garantire la legittimità delle operazioni militari. In un mondo in cui la segretezza, le falsità e la disinformazione tendono a dominare l’agenda politica, gli stati membri dell’Ue dovrebbero battersi a favore dei principi democratici e liberali, basati sui diritti umani. In ultima istanza, mentre lo sviluppo della tecnologia militare è ritenuto necessario, incluso sui droni da combattimento e altri sistemi teleguidati, l’Ue dovrebbe assicurare che il controllo dell’esportazione di questi sistemi avvenga in modo adeguato, attraverso una seria analisi del rischio e limitazioni all’esportazione verso utilizzatori finali indesiderati.

Nonostante l’appello del Parlamento europeo a impegnarsi con la Commissione europea attraverso una seria risoluzione e a fornire una bozza di posizione comune sui droni armati, e gli ulteriori tentativi messi in atto dal partito dei Verdi per correlare i fondi per la difesa Ue con la messa a punto di un quadro legale, non è stato fatto alcun progresso significativo riguardo a limitazioni chiaramente articolate. Il risultato dello studio dell’Onu dell’anno scorso, finanziato da Germania e Paesi Bassi era un appello per una risoluzione Onu che dovrebbe portare ad “assegnare un mandato per lavorare al miglioramento della trasparenza, della responsabilità e della sorveglianza degli aeromobili a pilotaggio remoto (droni) armati in tutti gli aspetti”. Un processo internazionale di questa portata è infatti urgentemente necessario per gestire la guerra dei droni, dal momento che la pratica si muove molto più velocemente della legislazione.

Se l’Ue o i suoi stati membri puntano ad assumere il ruolo di leader in un mondo che ha evidentemente bisogno di essere guidato su questi temi, ora è il momento giusto. È il momento di ascoltare le comunità colpite dalla realtà della guerra dei droni. È il momento di segnare una linea rossa che limiti l’uso della forza letale in un’operazione militare mal definita su territorio straniero. È il momento di assumere una posizione di principio sulla protezione della vita e della dignità dell’essere umano di fronte al terrore, sia in patria che all’estero. È il momento di affrontare le sfide derivanti dallo sviluppo e dalla proliferazione di tecnologie militari teleguidate emergenti, che se vengono lasciate prive di sorveglianza rischiano di danneggiare la pace, la sicurezza la stabilità e i diritti umani.

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