Idee Dopo le elezioni in Polonia e Ungheria
Caricature di Jaroslaw Kaczyński e Viktor Orbán.

Il tramonto degli illiberali?

Nonostante i partiti al potere abbiano consolidato la propria posizione dominante sia in Ungheria che in Polonia, le elezioni di domenica 13 ottobre scorso raccontano una cosa diversa: i regimi di Jaroslaw Kaczyński e Viktor Orbán si stanno collocando sulla difensiva.

Pubblicato il 25 Ottobre 2019 alle 13:10
infozentrale | Wikimedia  | Caricature di Jaroslaw Kaczyński e Viktor Orbán.

Dopo nove anni di consolidamento del potere da parte del partito di governo Fidesz, i partiti di opposizione ungheresi si sono uniti dietro un unico candidato che è riuscito a sconfiggere) lo storico sindaco in carica nella capitale.

Nonostante il fatto che Fidesz abbia abusato di tutto il suo potere istituzionale e informale per ostacolare il successo dell'opposizione, Istanbul è arrivata a Budapest [l’opposizione prende la città più importante al partito che domina il paese): non solo il ruolo di sindaco è stato conquistato da Gergely Karácsony, il candidato comune, ma l’opposizione è stata in grado di assicurarsi anche una maggioranza all’interno del consiglio cittadino di Budapest.

La cooperazione strategica tra i partiti di opposizione è stata ovviamente premiata dagli elettori, ma si è fusa con l’"effetto farfalla" dello scandalo a base di sesso, droga e corruzione a Győr, scoppiato verso la fine della campagna elettorale. (Alcuni video che ritraggono il sindaco della città, Zsolt Borkai, in carica con Fidez dal 2006, sono stati caricati sulla piattaforma on line PornHub, ndr).

Anche se è ancora troppo presto per misurare l'effettivo impatto di questo scandalo sul voto, questo potrebbe comunque avere avuto un effetto galvanizzante, dato che la comunicazione di Fidesz, normalmente ben funzionante, è praticamente collassata appena prima delle elezioni: il il divario tra zone urbane e rurali è ora ancora più flagrante perché i piccoli centri sono rimasti sotto il controllo del partito di Governo.

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Strategie differenti

Nel frattempo, in Polonia il partito Legge e Giustizia (PiS) si è assicurato la maggioranza nel Sejm (la camera dei deputati polacca) ottenendo 235 seggi su 460, esattamente come nel 2015. Tuttavia, ora mancano ufficialmente tre seggi per ottenere una maggioranza in Senato. Jarosław Kaczyński e molti membri del partito sembrano delusi, perché contavano su oltre 260 seggi, cosa che avrebbe consentito un rimpasto di governo e, soprattutto, la costruzione di una potenziale coalizione tecnica per cambiare la Costituzione.

Sulla riforma costituzionale cambiano, quindi, le carte in tavola per il PiS, e questo a causa di due motivi principali. In primo luogo, in contrasto con Fidesz, partito estremamente centralizzato, il governo polacco è composto da tre diversi blocchi: il PiS, sotto la guida del primo ministro Mateusz Morawiecki, il partito Solidarietà Polonia, guidato dall’attuale ministro della giustizia Zbigniew Ziobro, e il partito Alleanza, il cui capo è il ministro della scienza Jarosław Gowin.

Dato che i partner di coalizione del PiS hanno ottenuto quasi gli stessi voti, il partito resta sul filo del rasoio, privo di una direzione precisa riguardo alla futura leadership. Il tutto condito con faide interne: qualsiasi scintilla, come gli scandali raccontati dalla stampa nei mesi precedenti le elezioni o un nuovo affaire, potrebbe cambiare le dinamiche interne al governo. I due uomini forti della nuova generazione, Morawiecki e Ziobro, non mancano inoltre di mostrare la volontà di eliminarsi a vicenda.

Un secondo problema per il PiS è la maggioranza in Senato, che avrà importanti conseguenze per la sua capacità di affrettare la discussione delle proposte di legge in Parlamento; il partito potrebbe comunque provare ad attrarre a sé alcuni senatori. Anche se il fatto di avere una maggioranza in Senato non consente comunque di bloccare il processo legislativo del Sejm, l’opposizione può rallentare gli sforzi di trasformazione del sistema voluti dal PiS.

A prescindere dalla sua importanza simbolica nel completare la maggioranza di governo, il Senato può nominare due membri del Consiglio nazionale polacco della magistratura; possiede anche dei rappresentanti nel Consiglio della politica monetaria o nel Consiglio nazionale della radio e della televisione, oltre ad avere potere decisionale per quanto concerne i referendum. Ma oltre a tutto questo, il compito più importante in capo al Senato è l’approvazione degli emendamenti costituzionali.

Cosa succederà in Ungheria?

Ciò che abbiamo imparato finora è che entrare in una modalità meno combattiva non è nella natura di questi regimi. Anche se Viktor Orbán subito dopo le elezioni ha sottolineato che il governo dovrà cooperare con Budapest e le altre città passate all’opposizione, il tono era già cambiato il lunedì mattina successivo alle elezioni.

Oltre ad aver iniziato a incolpare gli stranieri che vivono a Budapest e che hanno votato contro di loro, i portavoce e i rappresentanti del governo sostengono che nella capitale è il "patriottismo” ad essere stato sconfitto. Inoltre, il governo ungherese potrebbe rivedere la costituzione per l'ottava volta, il che significherebbe per il paese una trasformazione in un regime ancor più centralizzato e autoritario.

Nell'attuale struttura di potere, caratterizzato da un coordinamento verticale e basata su una struttura gerarchica del sistema di comando, da János Kornai, esistono pochissime istituzioni o gruppi dominanti in grado di porre un veto sulle risoluzioni governative senza l’approvazione di Orbán.
Un’ulteriore centralizzazione darebbe anche più spazio alla fioritura di un capitalismo clientelare. Rispetto al classico caso di stato oligarchico che possiamo riscontrare in Repubblica Ceca, questa è una “conquista di uno Stato” in maniera inversa, in cui un'amministrazione molto solida e centralizzata coopera deliberatamente con gli ambienti imprenditoriali per plasmare un sistema corrotto complesso e sistematico, sempre più dipendente da Orbán e dalla sua famiglia.

Vi è soprattutto un rischio elevato in quei settori in cui lo Stato può intervenire direttamente attraverso imposte speciali, o indirettamente attraverso le norme e appalti pubblici come l’informazione e i media, l’energia, il settore bancario o del commercio al dettaglio.

Continua la corsa elettorale in Polonia

Jarosław Kaczyński, il leader di fatto della Polonia, è stato ancora più schietto, quando ha dichiarato che il paese deve continuare a cambiare, e ciò potrebbe significare ulteriori e sistemiche limitazioni verso il potere giudiziario e i mezzi d’informazione.

Durante la campagna elettorale, il PiS ha proposto una legge per fondare un nuovo organismo di auto-regolamentazione dedicato agli organi di stampa, che disporrebbe di una potenza sufficiente per limitare il giornalismo indipendente. L’intenzione è anche di sospendere l'immunità parlamentare, per fare in modo che i parlamentari polacchi possano essere arrestati su richiesta del procuratore generale, l’attuale ministro della giustizia Zbigniew Ziobro.

Ma la cosa più importante è che il PiS completerà la sua "riforma giudiziaria" e riorganizzerà i tribunali, superando così quello che Kaczyński definisce "l'ultimo ostacolo". In aprile 2020 sarà designato il nuovo presidente della Corte suprema e, con una nuova legge già in vigore, il Parlamento eleggerà una nuova commissione elettorale. In sede europea, il dibattito sullo stato di diritto in Polonia diventerà sempre più attuale, ma allo stesso tempo, il PiS sarà estremamente esposto fino al maggio 2020, quando sono previste le prossime elezioni presidenziali.

La costituzione polacca prevede un peculiare equilibrio del potere legislativo tra l'ufficio di presidenza e il Parlamento. Il diritto di veto del Presidente su qualsiasi legge adottata dal Sejm può essere annullato con solo il 60 per cento dei voti dei presenti in aula.

A meno che il PiS non cambi la propria strategia, il partito si impegnerà a far sì che l'elettorato centrista assicuri la rielezione di Andrzej Duda, attualmente in carica. Ma potrebbe anche spostarsi verso destra per conquistare più di un milione di voti di Konfederacja, una versione polacca del Tea Party con una forte preferenza per il Cremlino, che ha guadagnato quasi il 7 per cento, soprattutto tra gli elettori giovani.

A quel punto, a prescindere dal risultato di maggio, il PiS potrebbe velocizzare l’approvazione delle leggi più controverse prima di perdere il controllo.
Le elezioni di maggio 2020 saranno in ogni caso determinanti per il futuro del governo. Se il candidato dell’opposizione vincesse le elezioni presidenziali, diventerebbe estremamente difficile governare tramite decreti, come era abituato a fare il PiS. Non ci sarebbe più spazio per gli ambiziosi piani legislativi, così come per l’ampio margine di manovra nel far passare nuove leggi.

Perché gli illiberali continuano a godere del sostegno degli elettori?

Sebbene le premesse sociali siano differenti, possiamo individuare somiglianze che spianano la strada a Fidesz e PiS nel minare la democrazia in entrambi i paesi.
In primo luogo, l'Ungheria e la Polonia hanno svolto il loro ruolo da pionieri per l'Occidente: un basso livello di fiducia interpersonale, un basso livello di capitale sociale e la mancanza di fiducia nelle istituzioni democratiche ha fornito un contesto favorevole al fiorire di tendenze antidemocratiche.

La profondità del consolidamento democratico è stata messa a dura prova, soprattutto in quanto l’erosione della fiducia verso le istituzioni democratiche si è compiuta prima di una serie di crisi scoppiate nell'Unione europea. Nel 2007, un sondaggio svolto da Gallup aveva già evidenziato che questi paesi erano più scettici riguardo allo stato della democrazia: solo circa un terzo degli intervistati si fidava del processo democratico.

Un altro fattore determinante è stata la perdita di credibilità dei partiti di sinistra di fronte alla classe operaia, soprattutto nelle città in cui molti di questi elettori hanno avvertito la sensazione di essere stati lasciati indietro.

Questo ha fornito due vantaggi pratici fondamentali a PiS e Fidesz: la destra nazionalista poteva colmare il divario e cavalcare l'onda di insoddisfazione riguardo alla transizione democratica. È così che si è rapidamente sviluppata la visione di Orbán e Kaczyński di costruire "un nuovo tipo di democrazia" per "correggere la transizione".

Come molti populisti in altri paesi, la centralizzazione del potere va a braccetto con la generosa redistribuzione, amministrata in maniera centralizzata, del sostegno finanziario per tutti i settori chiave dell'elettorato. Anche se i paesi dell’Europa centrale hanno assistito per diversi anni a una fase di boom economico, prima o poi questa congiuntura positiva cessa.
Nel frattempo, i tagli fiscali o i vantaggi sociali che dovevano affrontare un vero declino demografico non hanno portato alcun effetto in termini di nuove nascite. Ma se il governo si propone lui stesso come benefattore, riprende corpo la cultura paternalistica, e di conseguenza, non desta alcun interesse la necessaria modernizzazione dei servizi pubblici, come istruzione o sanità.
Inoltre, non dobbiamo sottovalutare il significato di una grave crisi: i cittadini sono più propensi a tollerare o addirittura a sostenere misure autoritarie durante la presunta "crisi della sicurezza", quando temono per la propria incolumità.

Ricordate dopo l’11 settembre o Pearl Harbor? Per PiS e Fidesz, è stata la crisi della migrazione, nonostante nella loro retorica fosse radicato un alto livello di xenofobia anche prima che il numero di rifugiati aumentasse rapidamente, dal 2015. È stato sufficiente grazie alla TV, diffondere messaggi in questo senso, in modo tale da sfruttare le preoccupazioni dei cittadini e giustificare la presa del potere.

Sia Orbán, sia Kaczyński hanno guadagnato consensi grazie all'allarmismo su immigrati e comunità Lgbtq, sostenendo che solo i loro partiti sarebbero stati in grado di difendere la nazione.
Al contrario, le forze democratiche dovrebbero promuovere la reattività e l'inclusione per raggiungere una riconciliazione e rafforzare una cultura politica più consensuale.

Regime ibrido

Le elezioni che si svolgono nei regimi autoritari sono interessanti, ma per ragioni sbagliate. La partita tra le forze politiche in campo non è equa e i risultati sono penosamente prevedibili; così l'attenzione si sposta sulle ingerenze esterne e su altri aspetti che minano le possibilità dell'opposizione, mentre aumentano la centralizzazione del potere.

Questo meccanismo è in diretta contraddizione con la democrazia, che da un punto di vista elettorale è progettata come mezzi pacifico per raggiungere il potere.
Tuttavia, quando vediamo gli i trucchetti utilizzati dal governo contro un’opposizione che funziona relativamente bene, allora è chiaro che abbiamo di fronte un regime competitivo autoritario, una delle numerose tipologie di regime ibrido.

Nell’ambito delle scienze politiche, l’espressione “regime competitivo autoritario” (“competitive authoritarian regime”) si applica all’Ungheria, dove il partito di governo Fidesz ha vinto tutte le elezioni degli ultimi 9 anni, e dove gli osservatori Ocse descrivono chiaramente il processo elettorale come libero, ma scorretto.

Non c’è ancora accordo riguardo al fatto che il termine possa essere applicabile in Polonia, dove il partito Legge e Giustizia ha consolidato il proprio potere dal 2015, ma il processo elettorale resta libero , nonostante il terreno politico non sia equo dato che il governo domina la scena sui mezzi d’informazione pubblici, come sottolineato dal rapporto della commissione elettorale dell'Osce.

Tuttavia, dal 13 ottobre, le opposizioni in Ungheria e in Polonia hanno alcuni buoni motivi per permettersi un cauto ottimismo: uno dei maggiori vantaggi dei regimi ibridi competitivi e autoritari è che finché continuano a essere indette elezioni, l’opposizione ha ancora l’opportunità di sconfiggere i partiti dominanti tramite il processo elettorale.

Come ha spiegato Larry Diamond, uno dei più famosi ricercatori nell’ambito dei regimi ibridi, una vittoria dell’opposizione non è impossibile in questo tipo di regimi, ma è necessario mantenere un livello di mobilitazione dell’opposizione, di unità, di abilità e, anche, di eroismo di quanto sarebbe normalmente richiesto per vincere in un paese democratico.

Le forze democratiche non dovrebbero lasciare a questi regimi corrotti e clientelari la strada spianata per indebolire ulteriormente la democrazia. Gli elettori in Ungheria hanno inviato un primo segnale forte chiedendo di migliorare la qualità di governo: quindi, l'opposizione dovranno soddisfare le aspettative, anche smascherando il maggior numero di abusi possibile.

Per l'opposizione, i recenti sviluppi politici in Ungheria, così come in Polonia hanno confermato che, a lungo termine, vale la pena mettere da parte le differenze ideologiche e gli interessi finanziari e unire le forze a sostegno di candidati forti.

Questo articolo fa parte del progetto #DemocraCE di Visegrad Insight.

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