“Mettiamo le cose in chiaro: hanno rubato le nostre terre”. Henrik Blind, 43 anni, politico sámi del Partito dei Verdi svedese, ci dedica un'ora della sua intensa mattinata del lunedì per parlare del neocolonialismo in Lapponia, regione a cavallo tra Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia dove vive l’unico popolo indigeno d’Europa, i sámi.
I sámi da tempo immemorabile vivono e sfruttano le vaste aree del nord della Fennoscandia per la pesca, la caccia e l'allevamento delle renne, elementi che sono una parte essenziale della loro identità. Dopo la nascita dello Stato svedese nel Medioevo, hanno cominciato a pagare le tasse per la terra che possedevano. La situazione cambiò nel 1673, quando la corona svedese emanò un decreto che incoraggiava gli agricoltori a stabilirsi nel nord del Paese, percepito come una regione selvaggia e disabitata. Da quel momento, i sámi persero gradualmente i loro diritti fondiari.

"I politici chiamano ancora Sápmi ‘vildmark’ (natura selvaggia), termine usato anche nell'industria del turismo. Pertanto, tutti si sono abituati a definire la nostra terra come tale, anziché come un paesaggio culturale", spiega May-Britt Öhman, ricercatrice sámi presso il Centro di studi multidisciplinari sul razzismo dell'Università di Uppsala.

"Queste convinzioni sono il risultato del razzismo biologico dell'inizio del Ventesimo secolo, che sosteneva che i sámi fossero troppo primitivi per prendersi cura della loro terra. Da qui l'idea che la terra dovrebbe essere utilizzata da chi sa gestirla al meglio".
Queste idee sono ancora radicate. La colonizzazione del nord continua, dicono i sámi e i loro sostenitori, solo che oggi ha assunto una sfumatura diversa, una sfumatura verde. "Le aziende svedesi e straniere stanno facendo come le autorità svedesi in passato: si appropriano della terra con il pretesto della 'transizione verde’ o energetica. Ma la logica rimane la stessa! Il nord è selvaggio, non ci vive nessuno, quindi si possono facilmente sviluppare nuovi progetti", sostiene Blind. Negli ultimi anni Blind si è battuto contro l'apertura di una miniera di ferro a cielo aperto nella regione di Kallak, a 40 km da Jokkmokk, dove vive e lavora. Il 22 marzo il governo svedese ha dato il via libera alla società britannica Beowulf Mining, nonostante le proteste.
I diritti fondiari perduti dei sámi restano un tema molto dibattuto in Svezia. La Commissione per la verità, che ha iniziato a indagare sugli abusi commessi dallo Stato svedese nei confronti della popolazione indigena nel novembre del 2021, si occuperà anche di questo tema.
Il nord ricco e “disabitato”
Il nord della Svezia è ricco delle cosiddette materie prime critiche, fondamentali per la transizione energetica. I rari metalli terrosi, il litio, il cobalto, il nichel e la grafite sono necessari per produrre batterie (soprattutto per i veicoli elettrici) e turbine eoliche. I "terreni non edificati" e i finanziamenti del Green Deal europeo stanno attirando "megaprogetti industriali verdi" come la gigafactory di batterie agli ioni di litio a Skellefteå, ha scritto Richard Orange lo scorso novembre nel Guardian. Il giornalista britannico che vive in Svezia paragona l'attuale corsa ai minerali critici alla corsa all'oro di Dubai o del Klondike nel Diciannovesimo secolo.
Nonostante le forti proteste contro i nuovi progetti di estrazione mineraria - ad esempio a Nunasvaara, dove è stata trovata la grafite pi…