Navi italiane, romene e turche al largo della Libia nel corso dell'operazione Nato "Unified protector", giugno 2011.

L’Europa vince la sua prima guerra

La campagna in Libia ha dimostrato che il vecchio continente è in grado di gestire un'operazione militare di vasta portata anche senza la guida degli Stati Uniti. Ma ha anche messo in luce diverse lacune strutturali e di coordinamento.

Pubblicato il 24 Agosto 2011 alle 13:44
Navi italiane, romene e turche al largo della Libia nel corso dell'operazione Nato "Unified protector", giugno 2011.

Il successo di una guerra non si giudica soltanto col parametro degli obiettivi militari e politici conseguiti o meno. Nei suoi eventi e risvolti, nel fumo della battaglia e tra il rombo dei cannoni, la guerra serve anche a mettere alla prova i rapporti di forza tra le potenze, svela agli eserciti i loro punti di forza e le loro debolezze, influisce sulle relazioni diplomatiche dei paesi che vi partecipano. Da questo punto di vista, la campagna libica ha davvero molto da insegnare.

Il primo insegnamento è che gli obiettivi alquanto ambiziosi dell’intervento militare sono stati raggiunti con mezzi relativamente modesti, ovvero senza l’invio di truppe di terra, a eccezione delle forze speciali e dei consulenti militari. Una fonte della Nato ha fatto notare che “un’operazione militare limitata a due fronti, quello aereo e quello marittimo, può avere un impatto sufficiente a influenzare i rapporti di forza sul terreno”. E questa, sin dall’inizio, è stata la scommessa di Nicolas Sarkozy. “L’esito della guerra dimostra che le scelte militari e diplomatiche di Parigi erano motivate. Una simile campagna aerea, condotta senza l’aiuto concreto e determinante degli Stati Uniti, doveva necessariamente puntare sulla durata”, commenta Arnaud Danjean, che presiede la sottocommissione della Difesa del Parlamento europeo.

Secondo insegnamento: contrariamente a ciò che in un primo tempo paventava la Francia, l’intervento della Nato – l’organizzazione militare nella quale gli Stati Uniti rivestono un ruolo leader – è stato accettato politicamente dagli stati della regione, e tra essi molti – Qatar, Emirati arabi uniti, Marocco e Giordania – hanno dato un contributo diretto.

Sul piano diplomatico, l’intervento in Libia ha confermato una tendenza che dall’altra parte dell’Atlantico si va affermando da qualche tempo: la graduale cancellazione degli interessi americani sull’Europa. Pur mantenendo la loro influenza nella catena di comando e mettendo a disposizione degli alleati i loro aerei da rifornimento, i loro droni e i loro strumenti di sorveglianza e intelligence, gli americani hanno messo fine alla partecipazione dei loro bombardieri alquanto rapidamente. “Gli Stati Uniti non vogliono e non possono più farsi carico di tutti i problemi di sicurezza del pianeta. I loro interessi strategici ormai sono rivolti verso l’Oriente. Questa tendenza non farà che rafforzarsi. Gli americani desiderano partner solidi, affidabili, capaci di rilevare il loro ruolo nelle iniziative in Europa”, prosegue Arnaud Danjean.

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La campagna libica ha dimostrato che l’Europa, guidata da due paesi leader, è capace di condurre un intervento militare di vasta portata. Questa dimostrazione lascia presagire che in futuro potrebbero esserci altre operazioni dell’Unione europea. Francia e Gran Bretagna, che un anno fa hanno unificato le loro difese, nei cieli libici hanno rafforzato la loro alleanza, confermando così di essere ottimi partner militari. “La coordinazione delle operazioni con Londra è stata perfetta, dall’inizio alla fine”, conferma un responsabile della Nato.

Il QG europeo non decolla

La campagna in ogni caso ha messo in evidenza anche le lacune europee: l’Unione non avrebbe potuto fare a meno dell’aiuto americano, a meno di disporre di un proprio centro di comando delle operazioni. Parigi e Varsavia hanno cercato di riportare in vita l’idea del famoso quartier generale europeo. Ma questo sforzo si è arenato contro il secco rifiuto dei britannici. Frenata dalle reticenze di Londra, intralciata dal veto di Berlino, l’Europa della difesa non è riuscita a decollare sui cieli della Libia.

Da un punto di vista strettamente militare, la campagna aerea in Libia è stata caratterizzata dalle eccellenti performance del caccia multiruolo Rafale [costruito dal gruppo Dassault, proprietario di Le Figaro] e degli elicotteri d’attacco. Il tutto senza spiacevoli conseguenze o quasi, grazie a “regolamentazioni molto rigide, a una rigorosa procedura di convalida degli obiettivi e alla mobilitazione di importanti capacità d’intelligence”, spiegano alla Nato.

Infine, la campagna libica ha fornito importanti insegnamenti sulle capacità effettive dell’esercito francese e ha messo in evidenza le carenze degli aerei da rifornimento, dei droni e dei missili antiradar, alle quali è assolutamente necessario sopperire quanto prima, per poter intervenire un giorno – se mai ce ne sarà bisogno – senza l’aiuto degli americani.

Ciò che la guerra libica ci ha insegnato sarà d’aiuto per conquistare la pace? Danjean lo auspica: “Le capacità diplomatiche acquisite dalla Francia, le conquiste pazientemente perseguite durante la campagna aerea costituiscono un’esperienza importante, un asset che dovrà consentire alla Francia di rivestire un ruolo risolutivo perché la transizione abbia successo”. (traduzione di Anna Bissanti)

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