L’immobilismo invecchia

L'Ue è in crisi, ma i suoi dirigenti sembrano prigionieri dell'agenda mediatica e incapaci di pensare a lungo termine. Per fermare il declino del continente bisogna invertire questa tendenza.

Pubblicato il 30 Agosto 2010 alle 15:06

L'influenza dell'Europa è in declino. Lo abbiamo constatato in occasione del vertice di Copenaghen sul clima, dove il desiderio europeo di arrivare a degli accordi vincolanti sulla diminuzione dei gas a effetto serra non è stato soddisfatto. I problemi sono diventati ancora più evidenti in occasione della crisi finanziaria.

La decisione di aiutare i paesi a rischio è stata presa troppo tardi, e per metterla in pratica si è dovuto ricorrere al Fondo monetario internazionale (Fmi). Lo stesso è accaduto con l'adozione del sistema di sorveglianza economica. Tutte queste misure sono state prese troppo tardi, mentre serve una vera unione politica per costringere paesi come la Grecia ad adottare un comportamento corretto.

La mancanza di dinamismo dell'Europa è la conseguenza della mancanza di dinamismo a livello nazionale. In Ungheria la crisi della politica indebolisce tutto quello che rappresenta l'Europa. All'inizio del 2010, in piena crisi finanziaria, il partito di destra Fidesz ha conquistato una maggioranza di due terzi in parlamento, che gli permette di modificare la costituzione a suo piacimento.

È un'anticamera della dittatura, soprattutto perché il risultato delle elezioni testimonia il rifiuto della politica, e lascia campo libero alle idee più estreme, come quelle del partito di estrema destra Jobbik che attribuisce ogni colpa agli ebrei e agli zingari. È la variante estrema di un disagio politico che si fa sentire in quasi tutti gli stati membri dell'Ue e che impedisce una politica costruttiva.

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Curiosamente, l'Europa sembra rassegnata di fronte a questo declino. Questo può spiegarsi con il successo del processo di integrazione europea propriamente detto. Un processo che ha portato ricchezza e sicurezza, ma ha anche reso la gente meno consapevole del proprio benessere. Tutto quello che minaccia questo paradiso crea malcontento e porta a chiedere "meno Europa" e a cercare dei capri espiatori: gli ebrei, gli zingari, i musulmani o i "ricchi".

Obiettivi mancati

Tutto ciò, sommato all'assenza di un dinamismo politico nazionale, impedisce agli stati membri di rispettare promesse fondamentali come gli obiettivi di Lisbona 2000. L'Europa non è diventata l'economia fondata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo. E neppure il nuovo piano Europa 2020 dovrebbe riuscire in questo intento.

Un'altra spiegazione è l'estrema velocità di circolazione delle informazioni: i politici passano da una campagna mediatica all'altra, e questo impedisce qualunque dibattito approfondito e non permette la riflessione necessaria a soluzioni di lunga portata. Inoltre gli stessi leader spesso mancano di conoscenze e di intelligenza politica. Di conseguenza per loro diventa difficile spiegare la necessità di misure politiche contestate.

Prendiamo l'esempio dell'invecchiamento della popolazione. Oggi nell'Ue vi sono ancora quattro lavoratori attivi per un pensionato, nel 2040 ve ne saranno solo due. Per compensare questo invecchiamento demografico servono gli immigrati. Secondo Eurostat entro il 2050 entreranno nell'Ue 40 milioni di immigrati. Questo permetterebbe di compensare in parte gli effetti della scarsa natalità e dell'aumento della speranza di vita. I politici, invece, vogliono frenare l'immigrazione. Ma senza immigrati il declino dell'Europa si accelererà.

Speriamo che la crisi finanziaria faccia capire ai politici che è ora di invertire questa tendenza. Per fare questo devono trasformarsi in leader capaci di lavorare insieme e mobilitare la capacità di innovazione degli europei, per adattare l'Ue ai tempi che cambiano. (traduzione di Andrea De Ritis)

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