Attualità L’Europa di fronte all’immigrazione (3/5)
Abbasso l’Europa e gli immigrati. “In fondo ci somigliano”

Londra sbatte la porta in faccia al mondo

Con le sue recenti misure xenofobe il governo cerca di inseguire i nazionalisti sul loro terreno. Ma a lungo termine l’abbandono del tradizionale liberalismo britannico avrà conseguenze disastrose.

Pubblicato il 13 Agosto 2013 alle 11:27
Abbasso l’Europa e gli immigrati. “In fondo ci somigliano”

Fermate il mondo, il Regno Unito vuole scendere. Le Olimpiadi del 2012 sono state una gloriosa celebrazione della diversità. Londra si è presentata come un hub globale senzha rivali. Gli eroi dei giochi olimpici – come Mo Farah e Jessica Ennis – hanno testimoniato una nuova e più ampia visione di britannicità. Ma questo era allora.

A distanza di un anno, le politiche nazionali riecheggiano il rumore di porte sbattute. Il messaggio indirizzato agli stranieri è semplice in modo deprimente: state alla larga. I conservatori di David Cameron promettono di indire un referendum che potrebbe portare il Regno Unito a interrompere ogni rapporto con l’Europa. C’è stato un tempo in cui questi scettici Tory si sono trovati di fronte a una scelta: rinunciare all’Europa e guardare al mondo intero. Oggi non è più così. Ormai si erigono barricate contro tutti quanti: turisti, studenti, uomini d’affari sono tutti considerati aspiranti clandestini.

L’altro giorno l’Home Office, il dipartimento responsabile per i controlli alle frontiere, ha dato un primo segnale dell’esecrabile populismo che ispira la politica di governo. Alcuni camion con grandi pannelli pubblicitari sono stati parcheggiati in aree etnicamente diverse di Londra. Il messaggio? Gli immigrati clandestini devono “tornare a casa loro o rischiano l’arresto”. I Libdem, il partito facente parte della coalizione di Cameron, ha protestato definendo l’iniziativa era stupida e offensiva. L’ufficio del primo ministro ha rilanciato dicendo che la campagna potrebbe essere estesa a tutta la nazione.

L’Home Office ha anche in programma di chiedere ai visitatori provenienti da paesi “ad alto rischio” di pagare una cauzione di tremila sterline per entrare nel Regno Unito allo scopo, così si dice, di scongiurare “soggiorni prolungati oltre la scadenza” ed eventualmente recuperare le spese dell’assistenza sanitaria qualora i visitatori ne avessero bisogno. I paesi ai quali è rivolta questa misura sono India, Nigeria, Kenya, Pakistan, Sri Lanka e Bangladesh. Non si può fare a meno di notare che le nazioni prevalentemente “bianche” come Stati Uniti, Canada e Nuova Zelanda ne sono esenti.

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Per ciò che riguarda i paesi più vicini, il governo promette di limitare l’accesso dei romeni e bulgari: i cittadini di questi paesi Ue otterranno la libertà di spostamento nell’Unione l’anno prossimo, quando le restrizioni provvisorie saranno tolte. I tabloid britannici sono già pieni di storie tremende sulle orde dei “turisti dei benefit”, e conta poco o niente che i migranti hanno molte meno probabilità di essere aiutati dal welfare rispetto ai britannici.

Il governo sta recitando rivolto alla tribuna dei populisti. [[Il primo ministro ha ormai abbandonato l’idea della “grande società” di cui aveva fatto il suo cavallo di battaglia]]. I nazionalisti del partito per l’indipendenza del Regno Unito hanno preso in contropiede i Tory da destra. La stagnazione economica e l’austerità fiscale hanno alimentato i risentimenti dell’opinione pubblica. Un tempo Cameron chiamava i sostenitori dell’Ukip “closet racists”, mentre ora li corteggia.

Il clima di paranoia è alimentato da gruppi di pressione come Migration Watch Uk. Sir Andrew Green, ex diplomatico a capo dell’organizzazione, sventola uno studio dal quale risulta che entro la seconda metà del secolo i “britannici bianchi” (parole testuali di Sir Andrew) potrebbero essere in minoranza.

Alcuni di noi si stanno chiedendo: e allora? Quando Farah e Ennis – uno somalo, l’altra di ascendenze caraibiche – sono stati acclamati, pareva legittimo dare per scontato che il Regno Unito si fosse lasciato alle spalle il colore della pelle come simbolo dell’identità nazionale. Non ricordo che qualcuno si sia lamentato del fatto che erano “britannici di colore” quando hanno ricevuto le loro medaglie d’oro. Ahimè, purtroppo questi trionfi non fanno breccia nella xenofobia da saloon di alcune contee inglesi.

Fuori controllo

Il Regno Unito ha bisogno di una politica intelligente e proficua al riguardo dell’immigrazione. La gente vuole che il sistema sia irreprensibile, efficiente e non laceri indebitamente le comunità locali. L’ultimo governo laburista ha sottostimato in maniera tragica il numero degli arrivi dagli ex stati comunisti dopo la loro adesione all’Ue. La politica delle porte aperte abbinata al lassismo dell’amministrazione ha dato vita alla percezione diffusa che l’immigrazione sia andata fuori controllo.

Per l’attuale governo, tuttavia, i gesti populisti sono diventati una forma di distrazione dal suo stesso fallimento. Ed è di gran lunga più facile addossare la colpa agli immigrati per il fatto che occupano posti di lavoro che affrontare i fallimenti di un sistema formativo interno che sforna così tanti giovani privi di motivazione e di vere qualifiche.

Soltanto l’altro giorno una commissione parlamentare ha detto che le cifre ufficiali sull’immigrazione sono ottenute “tirando a indovinare”. Non c’è granché di cui stupirsi, tenuto conto che i visitatori in partenza non sono soggetti a controlli di passaporto o di visto. Da queste congetture risulta che l’immigrazione netta è vistosamente calata. E probabilmente è vero. Ma l’evidente calo è avvenuto in buona parte in reazione alle misure repressive prese nei confronti di molti studenti d’oltreoceano. Alcune nazioni come Canada, Stati Uniti e Australia non contano gli studenti tra gli immigrati permanenti perché per ovvie ragioni per lo più ritornano a casa. Nel frattempo, il sistema dei visti nel Regno Unito è disorganizzato, i controlli all’aeroporto londinese di Heathrow vanno per tentativi e 300mila casi di asilo e di immigrazione restano irrisolti.

L’obiettivo ufficiale di ridurre l’immigrazione netta a poche decine di migliaia è caratterizzato da molte contraddizioni: dà per scontato che il numero degli immigrati provenienti dal Brasile e dagli Stati Uniti debba aumentare e scendere in relazione al numero dei britannici che decidono di andare in pensione nell’assolata Spagna. Se gli idraulici polacchi torneranno a casa, il Regno Unito dovrebbe accogliere più ingegneri indiani e viceversa.

Dietro a questi calcoli insensati si nasconde un pericolo ancora maggiore. Un tempo il Regno Unito era il paladino dei sistemi internazionali liberali aperti. Adesso si ridefinisce invece agli occhi del mondo come un vittima piena di rancore. La decisione di uscire dall’Europa e di proibire l’ingresso agli immigrati testimonia un crollo della fiducia nazionale. Senza contare che le conseguenze economiche sarebbero catastrofiche. Perché mai un imprenditore di Cina, India o Brasile con idee di destra, tanto per fare un esempio, dovrebbe investire in un paese che gli nega l’accesso all’Ue e ritiene i suoi compatrioti ospiti sgraditi? Può anche darsi che il Regno Unito decida di gettarsi fuori, ma il mondo continuerà a girare.

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