Il 13 ottobre 1859 Multatuli scriveva a sua moglie: "Amore mio, ho terminato il mio libro, finalmente l'ho terminato". Centocinquant'anni più tardi celebriamo l'opera più importante della letteratura olandese [in cui un funzionario olandese racconta l'oppressione del popolo di Giava nelle piantagioni di caffé delle Indie olandesi].
Rileggere Max Havelaar è come fare un viaggio in un paese visitato durante la giovinezza, i cui tratti più importanti sono rimasti impressi nella memoria ma i dettagli sono sfumati. È un libro che non ha bisogno di una lettura lineare: brulica di cambi di prospettiva, di storie incastrate una nell'altra, di concatenazioni impreviste e altre acrobazie letterarie quasi senza precedenti. È ormai diventato una parte tanto importante del patrimonio culturale che lo conosciamo anche senza averlo letto. È un romanzo i cui passaggi chiave sono diventati dei classici, estrapolati dal loro contesto fin dallo stupefacente debutto con una piccola pièce teatrale in cui lo scrittore espone le sue dolenze e si rivolge direttamente al re d'Olanda ["Oltre trenta milioni di vostri sudditi sono maltrattati e sfruttati in vostro nome"]. E in mezzo il discorso dei capi di Lebak, il racconto del tagliatore di pietre giapponese, la commovente storia di Saidjah e Adinda.
L'aspetto avanguardistico del romanzo non sta nel linguaggio, né nelle poesie che Multatuli ha inserito qua e là. È la struttura del romanzo, o meglio la sua mancanza di struttura, che continua a stupisce il lettore contemporaneo. È la storia di Max Havelaar, funzionario coloniale olandese, raccontata dal sacerdote tedesco "Stern", che trascrive gli esercizi letterari di un certo "Sjaalman", i cui appunti sono stati trovati in mano a "Batavus Droogstoppel", un meschino piccolo borghese. Si è costantemente presi in contropiede: chi è che determina la prospettiva?
Fallimento politico, successo letterario
È logico che all'epoca il libro non abbia centrato il suo obiettivo, che era di scuotere l'opinione pubblica sull'oppressione dei giavanesi da parte dei coloni olandesi. L'autore si rivolgeva a una sorta di lettore ideale, capace d'interpretare tutte le trappole, l'ironia, il gioco tra finzione e realtà, per cogliere il messaggio essenziale. Ma anche ai nostri giorni, un lettore esperto della letteratura moderna e postmoderna a volte non sa che cosa pensare.
Non stupisce dunque che Eduard Douwes Dekker [vero nome di Multatuli] sia stato più convincente nella lotta contro gli abusi che non il suo alter ego letterario Max Havelaar. Quest'ultimo ha qualcosa del semidio e del messia, mentre nella vita reale Dekker agiva in modo assai più umano.
Max Havelaar, che doveva servire da stimolo per un mondo migliore, è diventato invece grande letteratura. Ed è questa la ragione per cui possiamo assaporarlo ancora oggi.