Spesso, a proposito degli articoli che pubblico sulla migrazione, mi viene detto: “Non è un punto di vista obiettivo”. È vero: vi basterà leggerne un paio per farvi, immagino, un’idea delle mie opinioni in merito.
Quindi, per essere il più trasparente possibile, vorrei approfittare di questa rassegna stampa per spiegarvi perché ho scelto di mettere in evidenza proprio questi articoli e che cosa ci dicono del dibattito in corso sulla migrazione in Europa in generale, e in alcuni paesi in particolare.
Un precedente pericoloso
In Europa stiamo assistendo a un’offensiva generalizzata contro i diritti umani: in nessun paese questa tendenza è così evidente come in Polonia. Il 12 ottobre scorso, Donald Tusk (PO, centro-destra) ha annunciato l’intenzione del paese di sospendere temporaneamente il diritto d’asilo sul proprio territorio per “combattere l’immigrazione irregolare” lungo il confine orientale.
Una decisione che lascia interdetti, visto il profilo di “centrista moderato” del primo ministro polacco: “La decisione di Tusk è sintomatica del comportamento dei partiti centristi di oggi: il desiderio di inasprire le restrizioni sull’asilo non si esaurisce mai, anche se i numeri fanno registrare cali drastici […] o sono già molto bassi, come succede in Polonia”, scrive Christian Jakob, su Die Tageszeitung. La critica non si ferma qui: “A poco serve sperare nella Commissione europea, che dovrebbe impedire violazioni così palesi degli standard europei. In fatto di migrazione e asilo, in passato ha tollerato – salvo poche eccezioni – qualunque iniziativa degli stati membri per tenere lontani i rifugiati”.
In una lunga analisi di Krytyka Polityczna, Paulina Siegién propone una spiegazione per questo cambio di rotta del governo polacco: “Non ho alcun dubbio sul fatto che dietro l’ossessione di Tusk per la migrazione e la guerra si nasconda la disperazione politica di un uomo a capo di un governo inerte, incapace non solo di introdurre riforme importanti, ma anche privato di una visione, fosse anche solo timida, per lo sviluppo della Polonia”.
È il motivo per il quale, secondo lei, il governo Tusk, a un anno dalle elezioni che l’hanno visto salire al potere, continua a ribadire la necessità di “riprendere il controllo”, facendo leva su temi universali come la sicurezza e la migrazione.
Siegién, ricorda che la stragrande maggioranza delle domande di protezione internazionale registrate in Polonia nel 2024 sono di ucraini e bielorussi, e punta il dito anche sui danni collaterali delle misure polacche: “In che modo [il governo] pensa che la sospensione del diritto d’asilo cambierà le cose al confine fra Polonia e Bielorussia e la situazione migratoria in Polonia nel suo complesso, dato che la maggioranza dei migranti che vengono nel nostro paese lo fanno legalmente […] con dei visti di studio o lavoro?”. Per finire, Siegién mette in dubbio l’obiettivo dichiarato di frenare i tentativi di destabilizzazione provenienti da Minsk. “In che modo la sospensione del diritto d’asilo costringerà Lukašėnka a bloccare la rotta migratoria […], se nessuna delle politiche repressive applicate al confine ha finora avvicinato la Polonia a questo obiettivo?”, si chiede.
L’articolo di Christian Jakob ricorda giustamente che alcune delle più severe politiche migratorie sono state partorite da rispettabilissimi partiti “centristi”, un dato di fatto che dovrebbe spingerci a riconsiderare la natura e l’origine delle linee rosse che tracciamo in politica. La lunga analisi di Paulina Siegién propone invece un punto di vista nazionale e si focalizza su argomenti poco noti fuori dalla Polonia, stabilendo in particolare un legame fra la migrazione e la crescente importanza del ruolo dell’esercito nel paese.
L’importanza della complessità
Se è giusto preoccuparsi per il mancato rispetto, oggi sempre più diffuso, dei diritti umani, non ci si preoccupa abbastanza degli aspetti tecnici e legali delle politiche migratorie europee. L’accordo siglato fra Italia e Albania ne è un buon esempio.
L’intesa fra i due stati, che prevede l’invio dei richiedenti asilo in Italia in centri di detenzione albanesi in attesa che la loro domanda venga esaminata dalle autorità italiane, ha subito una battuta d’arresto il 18 ottobre. Il tribunale di Roma non ha convalidato i decreti di trattenimento dei primi migranti arrivati in Albania il 16 ottobre, disponendo il loro rientro d’urgenza in Italia, e provocando la collera dell’esecutivo italiano che ha tentato di rappezzare in extremis il cosiddetto “decreto legge Albania” per rendere il protocollo operativo.
Questi fatti hanno stimolato una necessaria discussione sulla fattibilità legale di questo genere di politiche. In un’analisi su Internazionale, Annalisa Camilli elenca i (numerosi) problemi dell’accordo. Citando il giurista Vassallo Paleologo, ricorda che “i rimpatri dall’Albania verso i paesi di origine, attuati con il sostegno delle forze di polizia albanesi, si potrebbero risolvere così, dopo trattenimenti arbitrari, in respingimenti collettivi”, contrariamente a quanto sancisce la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Per Paleologo si ravvisa anche una violazione del divieto di respingimento previsto dalla Convenzione di Ginevra e dalle convenzioni internazionali sul diritto del mare. Oltre a essere in contrasto con dei testi internazionali, in Italia viene contestata anche la legalità del progetto, soprattutto rispetto alla Costituzione. La decisione dei giudici romani ne è solo l’ultima dimostrazione in ordine di tempo.
In un articolo per la rivista Gli Asini, Giovanni Vale espone le perplessità dei giuristi albanesi: “Alcuni analisti accusano il governo di aver abusato, con questo accordo, del principio di extraterritorialità, solitamente applicato a contesti circoscritti come le rappresentanze diplomatiche, ‘abitate’ da funzionari di stato”, sottolinea Vale, che ricorda come migliaia di persone devono essere ospitate nei centri previsti dall’accordo,con tutti i rischi in materia di sicurezza che questo implica.
“Inoltre, la sentenza della Corte secondo cui nelle strutture saranno applicate entrambe le giurisdizioni, italiana e albanese, ha lasciato perplessi molti giuristi”, sostiene il giornalista. “Di fatto, Italia e Albania hanno legislazioni diverse in materia di diritto civile, penale, lavoro e famiglia. Quale prevarrà in caso di conflitti?”.
Dal mio punto di vista, questi due articoli colgono un punto fondamentale (e troppo spesso trascurato) della critica a questo tipo di accordi migratori: l’importanza dei testi giuridici, che non vengono solo branditi di tanto in tanto in difesa dei diritti umani, ma che definiscono e limitano il comportamento di uno stato all’interno e all’esterno dei suoi confini.
Quando si parla di politiche migratorie, tralasciare questa complessità – affrontando, per esempio, un solo aspetto della polemica – porta a sbattere la testa contro un muro. In tal senso, l’analisi di Giovanni Vale è importante perché descrive ampiamente le debolezze dell’accordo fra Meloni e Rama e la reazione delle istituzioni albanesi, un dettaglio ampiamente ignorato nei nostri media.
Ignorare la complessità della migrazione, cancellare l’importanza dei testi di legge fondamentali e tollerare i discorsi allarmisti significa alimentare un dibattito pubblico disumanizzante, monotono e meschino. Di fronte alla crescita dell’estrema destra e alla banalizzazione delle sue idee da parte dei partiti mainstream, è essenziale aprirsi a nuove prospettive e rifiutare la semplificazione a oltranza.
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