
Olha Mukha è una filosofa e manager culturale ucraina. È curatrice ed esperta di comunicazione, studi sulla memoria e diritti umani. Ha cofondato e dirige il programma dell'Associazione ucraina per gli studi culturali di Lviv, nonché direttrice dei dipartimenti istruzione e informazione del Museo memoriale del territorio del terrore in Ucraina.
Krytyka Polityczna: La Russia è un paese coloniale nel senso occidentale del termine?
Olha Mukha: Per molto tempo l'Occidente si è rifiutato di riconoscere il carattere coloniale e imperiale della Russia, concentrandosi sulla propria storia. Questa cecità permesso lo sviluppo delle ambizioni imperiali della Russia contemporanea. Non si tratta, però, di colonialismo nel senso tradizionale in cui lo intende l'Occidente.
La conquista di territori d'oltremare da parte dell’Occidente aveva come obiettivo principale lo sfruttamento economico. La Russia, invece, ha sempre annesso i territori vicini, forzandone l'assimilazione culturale.
Considerava le nazioni conquistate come affini a sé, come fratelli, con il ritornello “siete sempre stati nostri”. E continua a farlo ancora oggi. I paesi occidentali, dal canto loro, hanno abbandonato la forma armata della colonizzazione. Hanno accettato la loro storia di colonizzatori e da allora si sono impegnati a favorire l'accettazione dell'alterità. In Russia, persino i liberali sono contrari.
Può fare qualche esempio?
All'inizio della guerra su larga scala , una persona russa ha proposto all'organizzazione internazionale in cui lavoravo di stampare un volume di poesie russe contro la guerra. Ho chiesto se avrebbe incluso le voci delle minoranze che vivono in Russia, come i buriati, gli jakuti o i ciuvasci. Sinceramente perplessa, mi ha risposto che queste minoranze non producono poesia.
E lei che cosa ha ribattuto?
Che questo è un tipico esempio di imperialismo culturale russo. Le minoranze in Russia hanno una ricca tradizione letteraria e trascurarla non è solo una svista, ma anche una riproposizione di modelli di pensiero coloniali che negano la soggettività delle minoranze etniche. Per i russi bianchi è comodo mandare i buriati a combattere in Ucraina per ritrarli come crudeli assassini. È molto più difficile vederli come parte integrante dell'arazzo multiculturale russo. Ho posto come condizione che le poesie delle minoranze fossero incluse in un'antologia contro la guerra, ma il libro alla fine non è mai stato realizzato.
L'Ucraina ha subito molti atti di colonialismo russo e sovietico, uno su tutti l'Holodomor del 1931-1932 (noto anche come carestia ucraina). Ma in Unione Sovietica la posizione dell'Ucraina era piuttosto forte perché i russi consideravano Ucraina e Bielorussia dei “fratelli minori”. Questo significa che anche l'Ucraina era un paese colonizzatore, responsabile dei crimini del regime comunista?
È vero che la posizione dell’Ucraina all'interno delle strutture dell'Urss era relativamente forte: avevamo sviluppato l'industria e l'agricoltura e la Repubblica socialista sovietica Ucraina era un membro fondatore dell'Onu. È possibile, quindi, sostenere che l'Ucraina faceva parte del sistema coloniale sovietico, soprattutto per la presenza di ucraini tra i vertici dei cacicchi sovietici. Tuttavia, bisogna ricordare che all'epoca l'Ucraina non aveva una vera e propria sovranità né autonomia e molti ucraini si sono opposti alla sovietizzazione.
Oggi l'Ucraina sta facendo i conti con il suo passato sovietico. Non si tratta di una questione semplice, anche per ragioni morali. Possiamo scoprire pagine scomode della nostra storia ma, a differenza dei russi, abbiamo il coraggio di affrontarle. La Russia ha fatto propria, acriticamente, l'intera eredità dell'Unione Sovietica. Nella narrazione russa, non ci sono inventori georgiani o kazaki, ma solo sovietici, ed essere sovietici significa essere russkiy (in russo “russkiy” significa “di etnia russa” [N.d.R.]).
“Riflettere sulla propria storia è difficile. È più facile cambiare i nomi delle strade e abbattere i monumenti”
In che misura il crollo dell'Unione Sovietica ha influenzato il dibattito ucraino sul colonialismo russo?
All'inizio è stato praticamente ininfluente. Per gli intellettuali, anche quelli dell'Ucraina occidentale, era chiaro. Quando ho iniziato il mio dottorato a Lviv negli anni Novanta, sapevo benissimo che se volevo ottenere qualcosa in campo scientifico, dovevo pubblicare su riviste di Mosca o di San Pietroburgo. E dovevo pubblicare in russo, naturalmente, e questo era ancora più facile per me perché avevo letto le traduzioni russe dei filosofi di tutto il mondo.
Quando parlavo, invece, passavo liberamente dal russo all'ucraino e al polacco. La situazione è cambiata nel 2014, dopo la rivoluzione di Maidan e lo scoppio della guerra nel Donbass. Molte persone del mio settore sono passate all'ucraino, anche se il mondo degli affari, per esempio, ha continuato a parlare russo per lungo tempo. È stato anche il momento in cui è iniziato il dibattito sulla decolonizzazione.
Dopo il 2014 si è parlato ancora di “decomunistizzazione”.
Riflettere sulla propria storia e riscriverla è un compito difficile: è molto più facile cambiare i nomi delle strade e abbattere i monumenti. Al Museo del territorio del terrore, uno dei posti in cui lavoro, abbiamo discusso a lungo su cosa fare di questi memoriali. Abbiamo iniziato a raccoglierli, perché alcuni sono opere d'arte e tutti sono frammenti storici che meritano di essere studiati. Il soldato sovietico era ostaggio della cultura russa? L'artista della propaganda è stato sfruttato dal sistema? È giusto giudicare le scelte fatte da chi viveva sotto il comunismo? Per incoraggiare queste riflessioni, è necessaria una politica della memoria, che richiede tempo e denaro. Il lungo e doloroso percorso di autocritica non è popolare dal punto di vista politico.
Detto questo, dopo il 2014 l'Ucraina ha preso alcune decisioni importanti che si possono ascrivere a un processo di “decolonizzazione”. Ha stabilito che i film devono essere doppiati in ucraino e ha bloccato molti canali televisivi russi, nonché il popolare social network Vkontakte.
Devo ammettere che quando ho visto il mio primo film doppiato in ucraino – il secondo capitolo di Pirati dei Caraibi – mi ci sono voluti circa dieci minuti per abituarmi. Il blocco di Vkontakte, invece, è stato un cambiamento importante. Per prima cosa, non siamo stati più bersagliati dal flusso costante di cultura pop russa; non solo, abbiamo perso l'accesso a un Internet in cui si poteva piratare qualsiasi cosa e il concetto di copyright era inesistente. Sono rimasta davvero sorpresa dalla facilità con cui le persone si sono adattate.
A quel punto l'Ucraina ha cominciato a guardare all'Europa. Temevo che saremmo semplicemente passati dal russo all'inglese e che avremmo scambiato i codici culturali russi con quelli americani. Non abbiamo avuto il tempo di conoscere meglio la nostra storia, che in gran parte non è ancora stata raccontata. Quando ho iniziato a lavorare al Museo del territorio del terrore, il direttore ci ha incoraggiato ad approfondire la nostra storia familiare. Ho scoperto che mia nonna, morta qualche anno prima, era stata in prigione, nell'edificio accanto al nostro museo, cosa di cui non aveva mai parlato.
Non abbiamo avuto la possibilità di riflettere su queste scoperte, di trovare le parole giuste per parlarne, di vedere le sfumature di grigio in ciò che sembrava solo bianco o nero. Non c'è stato alcun dibattito in merito. Poi è scoppiata una guerra su larga scala e ci siamo trovati in una situazione molto difficile rispetto alla nostra identità.
Non credo che nulla abbia rafforzato e reso popolare l'identità ucraina quanto lo scoppio di una guerra su larga scala. Oggi pochi ucraini hanno dubbi su chi siamo “noi” e chi sono “loro”.
In effetti, l'identità nazionale ucraina si è significativamente rafforzata e diffusa per effetto della minaccia esterna della guerra. Tuttavia, il processo di formazione dell'identità, sia individuale che collettiva, è complesso e anche intimo. Richiede tempo e spazio ed è difficile da portare avanti quando si è sempre sotto osservazione e sottoposti a una pressione costante. Da un lato, l'Occidente si aspetta che gli ucraini incarnino il ruolo di vittime: impotenti, grati per qualsiasi aiuto e senza richieste da avanzare. Dall'altro, ci si aspetta che siano eroi: forti, saldi e pronti a fare sacrifici. Vi abbiamo dato i carri armati, ora andate a produrre un blockbuster di guerra hollywoodiano!
Gli ucraini si destreggiano tra queste aspettative cercando di capire chi sono e chi saranno negli anni a venire. Questo compito è ulteriormente complicato dai commenti e dai giudizi esterni, secondo i quali ci stiamo comportando male nei confronti dei russi o non stiamo morendo come si deve.
“L‘Occidente si aspetta che gli ucraini incarnino il ruolo di vittime: impotenti, grati per qualsiasi aiuto e senza richieste da avanzare. Dall‘altro, ci si aspetta che siano eroi: forti, saldi e pronti a fare sacrifici”
Sta alludendo a una resistenza alla “cancellazione” della cultura russa da parte dell’Ucraina?
Non la chiamerei cancellazione. Da un lato, è un boicottaggio temporaneo per dimostrare ai russi che non possono giustificare l'aggressione contro altre nazioni o negare le differenze. Che non possono usare il loro potere per diffondere disinformazione o rimanere in silenzio dopo aver commesso crimini di guerra.
Dall'altra parte, è il desiderio di far capire al mondo che la famosa “grande cultura russa” è profondamente intrisa di un pensiero imperialista. Si pensi, ad esempio, a Hadji Murad di Tolstoj, un racconto lungo che ritrae i popoli del Caucaso secondo una prospettiva orientalista. Oppure Memorie dalla casa dei morti di Dostoevskij, che perpetua un'immagine stereotipata e negativa dei polacchi.
È anche una questione di rappresentazione corretta, poiché il mondo guarda ancora l'Ucraina attraverso il prisma russo. Nel Museo di Anna Frank ad Amsterdam, su una targa c’è scritto che i russi hanno liberato Auschwitz. Non i sovietici, né – per essere più precisi – gli ucraini e i bielorussi, ma i russi. Abbiamo sollevato la questione con il direttore del museo, che ci ha spiegato che i visitatori, per lo più giovani, non hanno familiarità con il termine “sovietico”. Allo stesso modo, il russo domina ancora gli studi di slavistica in tutto il mondo, mentre i corsi di ucraino, polacco o ceco sono molto rari.
Dopo quasi tre anni di guerra totale, la parola “decolonizzazione” è entrata nel dibattito pubblico ucraino. C'è una maggiore consapevolezza dei crimini russi e sovietici. Ma cosa succederà al termine della guerra? Come si evolverà la politica ucraina della memoria? Magari ci sarà uno sviluppo del pensiero critico e della capacità di cogliere le sfumature di grigio della storia. Ma sarà possibile dopo l'esperienza in bianco e nero della guerra?
Sarà un processo complesso e delicato. L'Ucraina dovrà rielaborare criticamente non solo il periodo sovietico, ma anche quelli precedenti, quando era sotto l'influenza di altri paesi (compresa la Polonia). Imparare a pensare in modo critico e a vedere le sfumature di grigio sarà difficile. Non tutti saranno in grado di farlo, ma è indispensabile provarci. Inoltre, è necessario investire nell'insegnamento della storia e nella ricerca indipendente su vari aspetti della storia ucraina, compresi quelli difficili e controversi, come i massacri in Volinia. Nel nostro museo ci stiamo già attrezzando per creare uno spazio di dialogo con il mondo intero, ma prima di tutto tra di noi.
Sarà possibile farlo dopo la guerra? Non sarà facile. La guerra avrà un'influenza duratura sulla società ucraina. Lo so fin troppo bene. Ma non dobbiamo lasciare che la guerra domini la nostra percezione della storia. Abbiamo l'opportunità di essere d’esempio come paese che ha vissuto il trauma della guerra e dell'occupazione, ma è stato in grado di interpretarlo con un approccio maturo e ricco di sfumature.
È un'impresa immane, ma spero davvero che saremo all'altezza della sfida. Per questo, però, dobbiamo prima sopravvivere.
👉 Articolo originale su Krytyka Polityczna
🤝 Questo articolo è stato pubblicato nell'ambito del progetto collaborativo Come Together.
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