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L’insostenibile leggerezza dell’essere freelance: viaggio nelle precarietà del giornalismo europeo 

Tariffe selvagge, tutele inesistenti, futuro incerto: quali sono le condizioni di lavoro dei giornalisti indipendenti europei? Intrappolati nell’invisibilità, per sopravvivere devono tenere ritmi così serrati che spesso non hanno il tempo per domandarselo. Testimonianze da Bulgaria, Polonia, Repubblica Ceca, Croazia, Grecia e Albania.

Pubblicato il 4 Settembre 2025

Tra i 70 e i 200 euro in Bulgaria, tra i 200 e i 250 in Croazia, chi tra i 25 e i 125 in Polonia, tra i 50 e i 130 in Italia, attorno ai 100 in Albania: paese che vai, tariffa che trovi. 

Queste somme sono la minima e la massima retribuzione che un giornalista freelance può sperare di guadagnare per un articolo: non si tratta di dati ufficiali, ma di numeri che arrivano dal lavoro dei giornalisti del progetto Pulse (la prima parte di questo lavoro è stata pubblicata qui). Come emerso, se in Francia esiste, per esempio, un tariffario, nella maggior parte dei paesi europei la situazione è lasciata al mercato, alle testate, al buono (o cattivo) senso delle redazioni: lavoratori e lavoratrici in balìa di un mercato al ribasso e sregolato, senza nessuna somma minima fissata che renda lecito rifiutare compensi troppo bassi e proibisca alle testate di proporli. 

Descrivendo la situazione dei freelance in Repubblica Ceca, Petra Dvořáková di Deník Referendum racconta che “non esistono dati sulla media dei salari”, ciononostante,  “l'83 per cento ritiene insufficiente il proprio stipendio. Un altro grande problema è rappresentato dai giornalisti ‘falsi autonomi’ del settore, che sono registrati come lavoratori autonomi, ma lavorano quotidianamente per un unico datore di lavoro”.  

Lo stipendio medio nel paese è di circa 1611 euro lordi al mese: “La maggior parte dei giornalisti che conosco guadagna meno”. Inoltre, aggiunge, “le tariffe dei freelance per articolo sono insostenibili – tra i 40 e i 200 euro per un articolo – anche se si tratta di un reportage che richiede una settimana di lavoro”.

E l’assistenza legale? “Le poche volte che l'ho ricevuta, è stato da alcuni grandi media e solo all’ultimo stadio, dopo aver inviato testo, fotografie o contenuto multimediale” spiega Martin*, giornalista 32enne specializzato in dinamiche migratorie e diritti umani che aggiunge: “è ovvio che l’organizzazione lo fa per salvare la propria reputazione più che per salvaguardare il freelancer”.

Poco pagati, molto motivati 

“Il giornalismo è ben lungi dall'essere una professione ben retribuita e non esistono canali consolidati per finanziare inchieste indipendenti o reportage sul campo. Ecco perché i social network sono invasi dai podcast: è molto più facile inondare il pubblico con narrazioni finanziate da fonti anonime che informarlo in modo approfondito”, commenta la giornalista bulgara Emilia Milcheva. 

Dopo 30 anni di esperienza in diversi quotidiani nazionali anche come caporedattrice, Milcheva da cinque lavora come freelance, scrivendo regolarmente per Deutsche Welle, Euractiv e altre testate bulgare. L’idea che si è fatta è che “i media raramente si sentono obbligati a rendere pubbliche le loro politiche editoriali. Quel che accade è che molte testate operano come aziende private e i giornalisti freelance devono spesso conformarsi alle esigenze degli inserzionisti e agli interessi dei proprietari”. Quanto al sostegno in caso di azioni legali, Milcheva ne conferma l’assenza, sottolineando che “così non solo si pongono i freelance in una posizione vulnerabile, ma si fa anche aumentare l'incertezza generale, minando la fiducia del pubblico nei media”. 

​Lo stipendio di un giornalista che lavora per un quotidiano o un sito di informazione a Sofia è compreso tra 750 e 1.000 euro al mese, quello dei giornalisti televisivi tra i 1.250 e i 2.500 euro. ​In alcuni casi può raggiungere i 3.000-5.000 euro al mese per i giornalisti più esperti che ricoprono posizioni dirigenziali, ​ma si tratta di casi molto, ma molto, rari, spiega Krassen Nikolov,​ di Mediapool​. 

Inoltre, aggiunge, gli stipendi dei giornalisti a Sofia sono inferiori allo stipendio medio della città, che è di 1.150 euro e continua ad aumentare. Questo rende il giornalismo poco attraente per i giovani a causa dell'elevato carico di lavoro, delle responsabilità e dei rischi della professione, accompagnato da una retribuzione bassa.​ Quest’ultima va ad aggiungersi ala mancanza di sindacati e di un senso di comunità giornalistica,  influenzando notevolmente il senso di insicurezza dei giornalisti bulgari, conclude Nikolov


“Diamo voce a chi non ce l’ha ma ci dimentichiamo di noi stessi quando invece dovremmo unire le forze e lottare per i nostri diritti”, Anna*


Sotirios Triantafyllou, presidente presidente della Federazione panellenica dei sindacati dei giornalisti e docente universitario, spiega a Efsyn: “Il giornalismo è stato duramente colpito dalla crisi economica, che ha portato a tagli salariali e perdite di posti di lavoro. Sebbene oggi la disoccupazione sia diminuita gli stipendi rimangono bassi e non esistono contratti collettivi nei media privati”. La Grecia poi è particolarmente colpita dagli attacchi ai giornalisti: “Una delle principali questioni che i giornalisti devono affrontare è quella delle SLAPP (azioni legali intimidatorie e vessatorie), e permangono preoccupazioni per la sicurezza dei giornalisti nell'esercizio delle loro funzioni, compresi casi di omicidio (per esempio quelli di Sokratis Giolias e di Giōrgos Karaivaz)”.

Falsi freelance  e freelance ibridi 

Come vivere di giornalismo freelance? Per tanti, abbandonare non è un’opzione. C’è chi si barcamena, come raccontava Sara*, tra singole proposte e borse, incassando tanti no e qualche sì. C’è chi fa anche “altro”, ovvero aggiunge al giornalismo altre attività, in parallelo. Miteva*, freelance in Croazia, produce documentari audio, tiene lezioni in una facoltà di giornalismo e guida programmi di educazione ai media, collabora con team giornalistici internazionali, e lavora con scienziati, artisti, attivisti, organizzazioni internazionali. “Se scrivessi solamente, sarebbe difficile guadagnarsi da vivere” spiega. Anche per Martin* “è assolutamente necessario integrare con altre entrate”: lui e molti suoi colleghi sono “costretti a fare lavori saltuari in ristoranti, bar, caffè, oppure come addetto al front desk clienti in ostelli, hotel, o come chef, camerieri, o persino come musicisti o artisti”. 


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In Albania, Joni* spiega che ci sono giornalisti che lavorano "nel campo della comunicazione, nella traduzione, che fanno progetti con ong, o produzione di contenuto per media stranieri”. Anna*, reporter in Polonia, racconta di aver chiesto aiuto ai genitori “quando guadagnavo circa 215 euro per un mese di lavoro full time, il mio affitto era di 250 euro e non riuscivo a farne un altro contemporaneamente”.  

Anche in Bulgaria, Albania e Grecia, i freelance fanno sempre anche altro, a quanto riferiscono i professionisti intervistati, e non c’è nessuno che li conta e sa come riuscirci, non essendoci alcuna definizione univoca e condivisa del loro status e men che meno un’associazione o un registro. 

Contarsi, il primo passo per contare

Queste ambiguità, questi confini così poco definiti, lasciano spazio a rapporti di lavoro altrettanto sfocati: si è freelance solo alla fine del mese quando si emette una fattura (sempre la stessa, sempre verso gli stessi clienti): di fatto si hanno doveri, oneri e ritmi di un lavoratore assunto, ma non i benefici. “Tutto avviene senza contratto e senza assicurazione – precisa Joni – e rende ancora più impossibile sostenersi esclusivamente con il giornalismo da freelance in Albania”.  Abituati a navigare in una vulnerabilità evidente ma incommensurabile, i tanti freelance europei guardano al futuro con incertezza. 

Secondo Vesela*, freelance ventisettenne bulgara specializzata in data journalism, “la democratizzazione dei contenuti potrebbe promettere un grande futuro, ma dipende da come i direttori e le persone che occupano posizioni di potere guardano ai freelancer”. Martin* vede il futuro nero, per sé e per i colleghi “senza un lavoro o un’attività parallela” e vorrebbe organizzazioni dedicate per ogni città o ogni paese che “aiutino a regolare gli standard di pagamento, la valorizzazione del lavoro e il rispetto per i contributi”. 

“Diamo voce a chi non ce l’ha ma ci dimentichiamo di noi stessi quando invece dovremmo unire le forze e lottare per i nostri diritti” ribadisce Anna*, guardando con timore e pessimismo all’intelligenza artificiale. “Ci sostituirà, come anche i canali commerciali su TikTok e Instagram”.  

Joni mette sul tavolo anche il tema del pluralismo e della qualità dell’informazione: “In Albania sono minacciate, ma il crescente interesse dei media internazionali e delle piattaforme indipendenti potrebbe portare a contratti formali, pagamenti decenti e al rispetto per il diritto d’autore”. 

Nessuna di queste tre conditio sine qua non esiste, nemmeno in Croazia dove Miteva* chiede “tariffe standardizzate come ci sono per i traduttori, per non doverle negoziare da zero ogni volta, accontentandosi di cifre miseramente basse”. 

Secondo la giornalista croata, una soluzione potrebbe essere includere i freelance nel sistema dei lavoratori pubblici, come alcuni artisti indipendenti che hanno i loro contributi sanitari e pensionistici pagati dallo stato. “Invece il giornalismo non è riconosciuto come bene pubblico” sottolinea. 

Il fisico Lord Kelvin (1824-1907) durante la rivoluzione industriale diceva “solo ciò che si misura si può migliorare”. Sempre più freelance stanno dicendo la stessa cosa ora: faranno la loro rivoluzione? Forse, sempre che non siano troppo occupati a garantirsi la sopravvivenza. Come dice Miteva*, infatti, “a volte si rischia di non avere tempo per difendere i propri diritti”. 

*I nomi sono inventati

🤝 Questo articolo è stato realizzato nell'ambito dei Thematic Network di PULSE, un'iniziativa europea a sostegno delle collaborazioni giornalistiche transfrontaliere. Hanno collaborato Dina Daskalopoulou (Efysn, Grecia), Krassen Nikolov (Mediapool,  Bulgaria) e Petra Dvořáková (Deník Referendum, Repubblica Ceca). 
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