“Dio mi ha benedetto con l’opportunità di diventare un figlio dell’America”, ha detto una volta Marco Rubio, attuale segretario di stato Usa. Quando gareggiava contro Donald Trump per la nomination repubblicana alle presidenziali del 2016, ha basato la sua campagna sulla storia dei suoi genitori: migranti economici cubani.
Qualche anno prima, quando era ancora un politico locale in Florida in cerca di consensi, Rubio aveva persino dichiarato (mentendo) che i suoi genitori fossero rifugiati fuggiti dal regime di Fidel Castro. Oggi Rubio è tra coloro che vogliono chiudere le porte degli Stati Uniti tanto ai rifugiati quanto ai migranti economici. Talvolta indicato come possibile futuro presidente, Rubio non sarebbe mai diventato un “figlio dell’America” se, al momento della sua nascita, fosse stato in vigore un decreto in stile Trump volto ad abolire il diritto di cittadinanza per nascita.
Un paradosso simile si riscontra nella figura di Priti Patel, ex ministra dell'interno britannica nel governo di Boris Johnson. Oltre a introdurre una serie di restrizioni sull’immigrazione, Patel ha spinto per un piano di deportazione dei richiedenti asilo in Rwanda; in un’intervista ha ammesso che, secondo la sua stessa legge, i genitori (immigrati di origini indiane dall’Uganda) forse non sarebbero stati ammessi nel Regno Unito.
Un avversario della migrazione ancora più agguerrito è Tomio Okamura, politico ceco di estrema destra di origine giapponese. Okamura è salito alla ribalta con inviti a bandire l’Islam, boicottare il kebab, far grufolare i maiali vicino alle moschee e deportare i rom in India. Tutto in nome della “difesa della civiltà occidentale”.
Il fatto che lui stesso dichiari di essere stato vittima di razzismo in più occasioni non ha frenato la sua retorica incendiaria. Okamura dice di essere stato bullizzato nella casa-famiglia ceca e che, da giovane, in Giappone non riusciva a trovare lavoro perché lo vedevano come un “meticcio”.
Poi c’è Geert Wilders (Partito della libertà, estrema destra), politico olandese famoso per le sue posizioni anti-immigrazione. Come ha ricordato su Twitter lo stesso fratello, la madre era nata nelle Indie orientali olandesi (oggi Indonesia) e la moglie di Geert è ungherese con radici turche.
In Germania, la populista di sinistra Sahra Wagenknecht è figlia di un’immigrata iraniana. A scuola, nella Ddr, veniva bullizzata per i suoi occhi scuri. Oggi invece si oppone all’immigrazione. A differenza degli altri, lo fa da una prospettiva di sinistra, ossia per tutelare non tanto la cultura tedesca quanto le risorse del welfare.
Pregiudizio e angoscia per lo stigma
Potrebbe sembrare ovvio, ma gli scienziati sociali (in particolare gli economisti) hanno iniziato solo di recente a studiare seriamente i sentimenti degli immigrati già insediati verso chi è arrivato più di recente. Come scrivono Aflatun Kaeser e Massimiliano Tani (nell’articolo “Do immigrants ever oppose immigration?” – "Gli immigrati si oppongono mai all'immigrazione?", pubblicato nel 2023 sull’European Journal of Political Economy), la questione ha cominciato ad attirare l'attenzione generale solo nel 2016. In quell’anno, alle elezioni presidenziali statunitensi, un numero sorprendente di latino‑americani ha votato per Trump, l’uomo deciso a costruire un muro sul confine con il Messico.
Le ricerche successive hanno mostrato che gli immigrati possono facilmente assimilare i sentimenti anti‑immigrati del contesto in cui si trovano. Inoltre, chi ha un livello socioeconomico più elevato può prendere le distanze dagli altri per paura di perdere lo status o semplicemente per distinguersi da un gruppo stigmatizzato.
Tensioni del genere emergono chiaramente nei paesi con una lunga storia di immigrazion. In Germania, tutto è cominciato dopo la Seconda guerra mondiale con l’arrivo di germanofoni dall’Europa orientale. Sfrattati dalle loro case per via della loro etnia tedesca, venivano chiamati “Polacken” (ovvero “polacchi” ma con una connotazione negativa come fossero “barbari orientali”). Successivamente, durante il “miracolo economico” degli anni Cinquanta e Sessanta, il governo della Germania Ovest introdusse i “gastarbeiter” (ovvero i cosiddetti “lavoratori ospiti”), in genere italiani, greci, turchi, spagnoli e jugoslavi. I “gastarbeiter” sarebbero dovuti tornare a casa una volta terminato il contratto, ma non lo fecero, suscitando il risentimento di molti, inclusi i “polacken”.
A loro volta, poiché lo status dei nuovi arrivati dipendeva dal lavoro, loro e i loro figli guardavano con sospetto i successivi flussi di rifugiati (provenienti dall’Europa orientale comunista, dalla Jugoslavia devastata dalla guerra, dalla Siria e infine dall’Ucraina) che spesso godevano di vari privilegi. Nel frattempo, la Germania ha accolto anche molti immigrati dalle ex repubbliche dell’Urss e, poco dopo, dai paesi che hanno aderito all’Ue.
Ho avuto modo di osservare queste tensioni a livello locale mentre preparavo un reportage sui polacchi che vivono a Berlino. Alcuni dei cosiddetti "migranti del movimento sociale polacco Solidarność” (dissidenti politici polacchi esiliati negli anni Ottanta) mi hanno confessato di sentirsi superiori rispetto a quei polacchi, “più tedeschi dei tedeschi” (a volte erano di etnia tedesca), che erano stati autorizzati a trasferirsi in Germania Ovest negli anni Settanta in cambio di un prestito agevolato al governo comunista di Edward Gierek.
A loro volta, entrambi i gruppi guardavano con disprezzo i polacchi arrivati a Ovest negli anni Ottanta in cerca di lavoro irregolare.
I migranti polacchi continuano a guardarsi con sospetto tra loro
La loro vergogna crebbe dopo la svolta politica: i berlinesi iniziarono ad associare i polacchi a bande criminali e ai truffatori del cosiddetto “Polenmarkt”, un mercato illegale vicino a Potsdamer Platz.
Oggi, a più di tre decenni di distanza, non c’è più traccia né della mafia polacca né del Polenmarkt, e quasi nessun polacco arriva in Germania “per il welfare”. Tuttavia, i migranti polacchi continuano a guardarsi con sospetto tra loro. In generale, un giovane professionista non vuole essere associato a un senzatetto, e bisogna dire che entrambi i gruppi sono ben rappresentati tra i polacchi a Berlino.
I politici tedeschi hanno cominciato a osservare queste dinamiche più da vicino, soprattutto da quando è diventato più facile ottenere la cittadinanza, e quindi il diritto di voto. Oggi, dopo soli cinque anni (o addirittura tre, in casi eccezionali) di residenza in Germania, si può ottenere la cittadinanza senza rinunciare all’altra. Negli ultimi anni l’Allianz für Deutschland (AfD), partito di estrema destra, ha cercato di conquistare nuovi cittadini di origine post‑sovietica e turca.
Uno studio del Centro tedesco per l’integrazione e la migrazione (DeZIM) mostra che gli sforzi dell’AfD stanno dando risultati: alle elezioni parlamentari di febbraio 2025 i cittadini provenienti dall’ex Urss avevano una probabilità più alta del 19,4 per cento di votare AfD rispetto ai votanti senza background migratorio. I tedeschi di origine turca, invece, erano il 9,4 per cento meno propensi rispetto ai tedeschi etnici: un aumento significativo rispetto al 2017, quando nessun turco dichiarava appoggio all’AfD in un sondaggio simile. Questi gruppi sono anche molto più propensi a dichiararsi favorevoli alle posizioni di Sahra Wagenknecht.
Ucraini in Polonia: tra solidarietà e ostilità
Nel 2025, è difficile immaginare la Polonia come qualcosa di diverso da un paese di immigrazione. Nella politica nazionale tuttavia non sono ancora apparsi ex immigrati si oppongono pubblicamente all'immigrazione. Due eccezioni marginali sono stati alcuni rappresentanti filo‑russi delle cosiddette “comunità di frontiera” che si sono candidati nel 2019 alle europee con il partito di estrema destra Konfederacija. Alle ultime elezioni legislative, solo cinque persone con background migratorio si sono candidate, nessuna delle quali di origine ucraina.
“In Polonia ci sono molti immigrati, ma quelli naturalizzati sono ancora troppo pochi per far sentire la loro voce”, spiega Olena Babakova, giornalista e studiosa di migrazioni. “Per ottenere la cittadinanza polacca senza legami di sangue o matrimoniali con cittadini polacchi bisogna risiedere nel paese per otto anni senza interruzioni significative e superare un difficile esame di lingua”.
Va detto che 50mila ucraini hanno ricevuto il passaporto polacco negli ultimi 15 anni. “Un altro problema è che la diaspora ucraina è poco integrata nella società e nella politica polacca”, aggiunge Babakova. “Molti migranti non sanno nemmeno chi sia il primo ministro, figuriamoci candidarsi alle elezioni”.
L’esperienza della Polonia come paese di immigrazione è relativamente recente, cominciata solo dopo il 2015 con l’arrivo di un numero significativo di lavoratori ucraini. “Questo rende prematuro parlare di dinamiche complesse tra gruppi migranti come accade, ad esempio, in Germania o Francia”, spiega Babakova. “Sulla base delle mie osservazioni, le tensioni più forti si manifestano all'interno della diaspora ucraina stessa. I migranti arrivati prima del 2015, spesso da regioni occidentali e di lingua ucraina, guardano con diffidenza i nuovi arrivati da zone di lingua russa. A loro volta i nuovi arrivati possono provare invidia per i privilegi concessi ai rifugiati giunti dopo il 2022: pieno accesso al mercato del lavoro, possibilità di avviare un'attività, assistenza sanitaria gratuita. Ci sono persone che vivono e pagano tasse in Polonia da dieci anni senza aver ottenuto questi benefici”.
Anche Grzegorz Demel, politologo dell’Accademia polacca delle Scienze, conferma che la storica divisione tra Ucraina occidentale e orientale si è acuita con la guerra. "Alcuni rifugiati dell’Ucraina meridionale ed orientale [in parte occupata dalla Russia] riferiscono che connazionali dell’Ucraina occidentale li accusano di essere responsabili del conflitto per via della lingua russa. La risposta non si fa attendere: 'E tu cosa ci fai qui, se la tua città è relativamente sicura? Fammi indovinare: sei venuto per prendere l'800-Plus [un programma di welfare per tutti i bambini in Polonia] e affittare a caro prezzo il tuo appartamento a chi viene da Cherson?'"
Le tensioni tra ucraini e migranti di altre nazionalità sono più difficili da rilevare. "Nel 2015, durante una manifestazione di estrema destra contro i rifugiati, vidi un gruppo con la bandiera ucraina", racconta Babakova. "Alla mia domanda se non si sentissero presi di mira dagli slogan anti-migranti, risposero che i veri migranti erano le persone di colore: loro, ucraini, erano arrivati legalmente per lavorare. Ci ho ripensato un anno dopo, quando ho visto i polacchi britannici alle manifestazioni per la Brexit”.
Babakova ricorda anche episodi di ostilità verso i bielorussi all'inizio della guerra: "Molti ucraini hanno detto chiaramente ai bielorussi che non erano benvenuti, perché venivano da un paese complice dell'invasione russa e non avevano protestato come noi a Maidan”.
A volte emergono pregiudizi verso migranti provenienti dal Caucaso o dall'Asia centrale, gruppi con legami storici con l'Unione Sovietica e, in certi casi, con l'epoca coloniale russa. "Tuttavia si tratta per lo più di episodi isolati che non generano vere tensioni", afferma Babakova. "Anche una campagna politica di diffamazione contro i georgiani non ha trovato eco significativa nell’opinione pubblica ucraina. Al massimo si sente dire: ‘I georgiani rovinano l’immagine dei migranti presso i polacchi’ “.
Perché questa moderazione? Alcuni ucraini si percepiscono come una "classe migrante superiore" in Polonia, ma sono consapevoli che per molti polacchi "migrante" significa automaticamente "ucraino". "Perciò, attaccare altri migranti non migliorerebbe lo status degli ucraini privilegiati e bianchi, anzi li esporrebbe allo stesso stigma", spiega Babakova.
Guardando al futuro, Babakova osserva che tra 10 o 15 anni i figli degli immigrati, cresciuti interamente nel sistema scolastico polacco, raggiungeranno l'età adulta. "Oggi è normale che un bambino dica dopo poche settimane a scuola: ‘In Polonia si parla polacco’. E le reazioni sono diverse: alcuni si assimilano e diventano nazionalisti radicali, altri si ribellano e affermano ‘non sarò mai come voi’, altri ancora sviluppano disagi psicologici dovuti al conflitto identitario. È difficile prevedere come voteranno da adulti”.
👉 L'articolo originale su Krytyka Polityczna
🤝 Questo articolo è pubblicato nell'ambito del progetto collaborativo Come Together
Questo articolo ti interessa?
È accessibile gratuitamente grazie al sostegno della nostra comunità di lettori e lettrici. Pubblicare e tradurre i nostri articoli costa. Per continuare a pubblicare notizie in modo indipendente abbiamo bisogno del tuo sostegno.
Perché gli eco-investitori si ritrovano a finanziare le “Big Oil”? A quali stratagemmi ricorre la finanza per raggiungere questo obiettivo? Come possono proteggersi i cittadini? Quale ruolo può svolgere la stampa? Ne abbiamo discusso con i nostri esperti Stefano Valentino e Giorgio Michalopoulos, che per Voxeurop analizzano i retroscena della finanza verde.
Vedi l'evento >
Partecipa alla discussione
Divento membro per tradurre i commenti e partecipare