Tjeerd Royaards - Voxeurop

Nelle colonie penali russe le detenute vogliono andare in  guerra 

Spinte dalla possibilità di un alleggerimento della pena, dall’estate del 2022 alcune prigioniere russe combattono in Ucraina. L’isolamento che le donne subiscono nelle colonie penali in Russia, in condizioni più pesanti rispetto ai prigionieri uomini, le rende un bersaglio privilegiato per la propaganda bellica del Cremlino.

Pubblicato il 25 Luglio 2024

Olga Romanova, fondatrice e direttrice dell’organizzazione Russia Behind Bars, spiega che nelle colonie penali russe femminili non si può accedere a internet, né fare telefonate. Isolate da tutto, le detenute non sanno nulla di quanto accade all’esterno, se non tramite la televisione pubblica o gli educatori dei penitenziari. Molte di esse vivono in questa condizione da più di dieci anni, e questo ne fa dei soggetti più manipolabili. 

Alcune delle donne recluse in Russia attendono con ansia i funzionari del Ministero della difesa per essere arruolate come volontarie. Qualora questi non si presentino, o nel caso in cui la loro mobilitazione venga posticipata, le prigioniere scrivono all’organizzazione di Romanova, che fornisce supporto legale e finanziario alle persone in carcere. Romanova riceve ogni giorno lettere dove le viene chiesto il metodo più rapido per farsi mandare al fronte. Alcune, per distinguersi dalle compagne, le scrivono persino in rima. 

La direttrice di Russia Behind Bars condanna l’invasione dell’Ucraina e sceglie di non aiutare le sue connazionali al fronte e coloro che vorrebbero andarci.

Le donne hanno iniziato a combattere nell’esercito nell’estate del 2022. Fino a febbraio 2023, l’arruolamento veniva effettuato sotto la direzione di Evgenij Prigožin, leader del Gruppo Wagner. Dopo la sua morte, il Ministero della Difesa ha preso il controllo del processo. Inizialmente venivano reclutati solo gli uomini, spinti dalla possibilità di ottenere la grazia presidenziale dopo sei mesi di servizio.

Tuttavia il primo ottobre 2023, quando è entrata in vigore una nuova legge, è stato deciso che i prigionieri devono restare al fronte fino al termine dei combattimenti e che avranno diritto solo alla libertà condizionale. Eppure Romanova, in un’intervista concessa all’emittente ucraina Freedom, conferma che l’offerta resta comunque allettante. A dicembre 2023 almeno 160 mila dei 400 mila detenuti russi erano partiti alla volta della guerra.

La differenza di condizioni tra le colonie femminili e maschili

L’arruolamento delle donne è iniziato a dicembre 2022. È stato mandato al fronte un primo gruppo di donne a cui poi ne sono seguiti altri. Olga Romanova prova a spiegare così la scelta delle detenute: “Gli uomini partono per la guerra sperando che gli venga concessa una grazia o la libertà condizionata […]. Non credono alla narrazione ufficiale, tantomeno alla retorica dell’opposizione. Invece le donne abboccano alla propaganda. Non si dirigono al fronte per le stesse motivazioni degli uomini, ma con l’obiettivo di morire per Putin”.

La dissonanza tra i due atteggiamenti è sinonimo di una disparità nelle condizioni di detenzione tra le colonie penali femminili e quelle maschili. Sebbene internet e i telefoni siano proibiti in entrambi i contesti, gli uomini riescono ad avere accesso a entrambi. Questo perché le prigioni femminili si attengono ai regolamenti ufficiali, mentre in quelle maschili regna una gerarchia carceraria severissima: i detenuti e le autorità lavorano in stretta sintonia gestendo, tra le altre competenze, l’accesso all’esterno delle carceri. 

Le strutture penitenziarie sono amministrate dal cosiddetto blatkomitet: un’assemblea composta dai criminali più rispettati, i quali hanno contatti diretti con il direttore della colonia penale. Si tratta di un gruppo ristretto che intrattiene rapporti con il mondo esterno e coordina le relazioni tra i detenuti. 

In questo modo, la distribuzione di telefoni si converte in un meccanismo che consente ai reclusi di tenersi aggiornati, in particolare al di fuori delle mura carcerarie.  

Zoja Kosmodem'janskaja

Uno dei principali motivi che spinge le detenute a partire per il fronte è emulare l’eroina Zoja Kosmodem'janskaja, una partigiana russa uccisa dai nazisti durante la cosiddetta “Grande guerra patriottica”, combattuta tra il 1941 e il 1945. Si tratta di un mito popolare. Nel 2021, il film Zoïa è stato proiettato in tutte le colonie penali russe. Narra la storia della giovane diciottenne che, successivamente all’invasione tedesca, combatte per le file nemiche. Catturata dai nazisti lontano da Mosca, Zoja viene prima torturata e poi impiccata. 

Tamara Eidelman vanta quarant’anni di esperienza nell’insegnamento e sul suo canale YouTube commenta il film Zoïa. “I registi della pellicola ci esortano a meravigliarci del modo in cui la ragazza si lega da sola la corda al collo piuttosto che provare empatia per l’adolescente torturata dai tedeschi”.  Ciò che il pubblico dimentica è che il generale sovietico ha mandato Kosmodem'janskaja e i suoi compagni in una missione suicida, a dimostrazione del suo ripudio per la vita umana.

Film di questo genere, così come altre produzioni sullo stesso tema, sono profusamente finanziate dal ministero della cultura. Prima con Vladimir Medinskij e ora con Olga Borisovna Ljubimova, il dicastero sostiene progetti che forgiano l’opinione pubblica glorificando gli eroi di guerra. I russi vengono rappresentati come vittime innocenti di un attacco, costrette a difendere la propria patria. Di fronte al pericolo, si riuniscono in nome del proprio leader e sacrificano la loro vita per lui. Si stabilisce così un parallelismo tra la “Grande guerra patriottica” e il conflitto in corso che convince i russi di essere le vittime di un attacco perpetrato dall’Ucraina e dalla Nato nel febbraio 2022.

Ritornando a Zoïa, il film, cinematograficamente parlando, è di pessima qualità: sceneggiatura primitiva, personaggi manichei e attori rigidi. “Noi, gente presumibilmente colta di San Pietroburgo e Mosca, abbiamo riso di questo film. Non ci eravamo resi conto che non si rivolgeva noi, ma a quelle donne [delle colonie penali]” ricorda Olga Romanova in un’intervista concessa a Farida Kurganbaleyeva. “Medinskij ha fatto un lavoro sublime: le detenute vogliono morire per la patria”. Come Zoja. 

Le combattenti volontarie vengono arruolate dalle regioni occupate di Donetsk e Lugansk, dalla Mordovia, dall’oblast’ di Lipeck o quello di Leningrado. 

I penitenziari femminili operano in completa autonomia: conoscere il numero delle detenute impiegate contro l’Ucraina è impossibile. Stando alle stime di Olga Romanova, a dicembre 2023 mille donne si trovavano in prima linea al fronte, un dato incompleto e approssimativo. Con molta probabilità, da allora se ne sono aggiunte altre. 

Allo stesso modo scarseggiano informazioni sulle attività al fronte di queste donne, che si ribattezzano “le lupe”. I profili più richiesti sono le infermiere e le cuoche, però la maggior parte delle volontarie non ha ricevuto una formazione adeguata. Dopo un mese di addestramento, le detenute vengono incorporate nelle truppe d’assalto o in divisioni separate, anche se saranno impegnate a fianco degli uomini. I funzionari del Ministero della difesa reclutano qualsiasi volontaria, a discapito del loro stato di salute, della loro condizione fisica e dell’età. Neanche avere la tubercolosi o l’HIV è contemplato come una restrizione all’arruolamento. 

A ciò si aggiunge il fatto che le famiglie di queste volontarie raramente ricevono notizie delle loro congiunte in guerra. Spesso ciò di cui si viene al corrente viene fornito dai soldati ucraini che intercettano la presenza di donne nelle trincee nemiche. 

Negli ultimi tempi, la presenza di prigioniere al fronte è diminuita. D’altronde, è un’impresa anche solo trovare dei comandanti in grado di dirigere i battaglioni. Frustrate da tale inversione, le detenute sono esasperate, così come le loro madri che, in preda allo sconforto, tentano di aiutarle scrivendo all’ong Russia Behind Bars.

In un’intervista, Olga Romanova legge una di queste lettere alla giornalista Irina Ouzlova: “Mia figlia è stata condannata a otto anni di reclusione per traffico di droga. Vuole andare in guerra. Io non so che fare e a chi rivolgermi. Si trova a Novorossijsk, ma stiamo cercando di trasferirla a Lipeck (da dove partono le detenute dirette al fronte). Aiutateci, questa giovane donna vuole ridare un senso alla sua vita e rimediare al suo errore, datele un’opportunità”

👉 Articolo originale su Krytyka Polityczna

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