Alle nove di sera di una domenica di gennaio, l'ospedale Evangelismos di Atene inizia il servizio di pronto soccorso. Soltanto i lampeggianti blu delle sirene delle ambulanze spezzano il buio, mentre i pazienti accorrono nel piazzale, a piedi, in taxi o con mezzi propri.
Davanti all'ospedale, il personale paramedico prepara le barelle, e sembra riuscire a tenere la situazione sotto controllo malgrado il caos: si fanno strada tra la folla, verso la sala d’attesa, che straborda al punto che i malati vanno a sistemarsi come possono nei corridoi adiacenti, diventati estensioni della sala principale. Sono in piedi, su barelle o su sedie a rotelle. “Questa è la Grecia nel 2025”, sono le parole di una donna sulla sessantina che stringe la mano del marito, disteso e pallido in volto.
Il dottor Giorgos Ferentinos è il cardiologo di turno presso l'unità di terapia intensiva dell'ospedale. Mentre cammina tra i corridoi, una donna lo ferma: “Dov'è la stanza per la risonanza magnetica?”. Le indica dove andare. Successivamente, spiega a Voxeurop: “La carenza di personale porta i pazienti a rivolgersi al primo camice che vedono”. Il dottor Ferentinos indossa un camice bordeaux. A qualche metro da lui, altri membri del personale hanno vestiti blu, verdi, bianchi… "Non sono i colori che corrispondono alle nostre funzioni mediche, ma l'ospedale non ci fornisce le uniformi, quindi ce le compriamo da soli".
Per il cardiologo, che è anche presidente del sindacato dei lavoratori dell'ospedale, la situazione è indicativa: "La direzione ha rifiutato le nostre richieste di fornire camici, perché preferisce spendere il budget in altri modi...".
Da un po’ di tempo, l’Evangelismos, il più grande polo ospedaliero della Grecia e dei Balcani, fa il possibile per ridurre il costo dei salari. Pur contando 3.500 dipendenti, ha deciso di esternalizzare una serie di funzioni. “È stata adottata una logica di privatizzazione”, spiega Ferentinos: “Il 1° gennaio sono stati licenziati 200 addetti alle pulizie, assunti direttamente dall’ospedale. Percepivano 840 euro al mese. Ora ci si affida a una società esterna, che incassa 2.400 euro per ogni lavoratore che però guadagna solo 610 euro. Se in precedenza la spesa interna ammontava a quattro milioni di euro all’anno, ora è salita a sei milioni”.
Per il dottor Ferentinos si tratta di una gestione folle e, aggiunge, “rispetto al 2012, l’ospedale conta 1.100 lavoratori in meno. Nel frattempo, però, le necessità sono aumentate: ad esempio, è raddoppiato il numero di letti in terapia intensiva”.
La crisi del 2008 e le misure di austerità che ne sono derivate hanno comportato una notevole riduzione dei posti letto in tutta l’Ue. Dati parziali Eurostat rivelano che nel 2019 solo quattro paesi disponevano di un numero di posti superiore a quello di dieci anni prima: Bulgaria, Irlanda, Malta e Portogallo. La Grecia non è stata risparmiata dai tagli: nel 2009 aveva 54.704 posti letto disponibili, mentre nel 2019 il numero era sceso a 44.817.
Secondo i sindacati, negli ospedali mancano circa 6.000 medici. Giorgos Yioulos, direttore di Adedy, l’Istituto di ricerca del sindacato dei funzionari pubblici, afferma: “Prima della crisi, solo il 6-8 per cento del personale sanitario era assunto con un contratto temporaneo. Ora la percentuale si aggira intorno al 30 per cento. Un ulteriore modo di interrompere la continuità del servizio offerto dal sistema sanitario nazionale”. Anche il numero di infermieri e infermiere è notevolmente diminuito a seguito della crisi economica del 2008. Secondo dati parziali Eurostat, nel 2010 se ne contavano 38.422 in attività, 9 anni dopo il numero è sceso a 36.251.
Al contempo, la maggioranza dei greci si dice preoccupata per la privatizzazione del sistema ospedaliero e sanitario. Ferentinos spiega: “In ospedale, ormai, i medici possono addirittura visitare i pazienti con lo statuto privato durante il pomeriggio...”. Eppure, ci tiene a sottolineare, i turni del personale sanitario sono già molto impegnativi: otto ore al giorno, cinque giorni alla settimana, senza contare i turni di guardia e gli straordinari. “A volte facciamo turni di 24 ore consecutive, portando la nostra settimana lavorativa ad una media di 70 ore”, aggiunge.
Il costo del deterioramento del sistema sanitario
Secondo la Confederazione dei sindacati dei funzionari pubblici, la spesa pubblica per la sanità rappresenta ancora solo il 5 per cento del Pil, rispetto a una media del 7,5 per cento nei paesi dell’euro zona. Un ulteriore indicatore della privatizzazione del servizio pubblico è la carenza di infermiere e infermieri, che vengono rimpiazzati da assistenti di cura, i cui servizi, però, restano proibitivi per molti pazienti.
Al primo piano dell’ospedale, un gruppo di donne è in coda fuori da un ufficio. Sono assistenti di cura che cercano pazienti. I familiari sono costretti a rivolgersi a queste figure quando non riescono ad alternarsi al capezzale. Il costo? 80 euro a turno, diurno o notturno, per aiutare i degenti a nutrirsi, lavarsi o per somministrare loro cure.
I greci stanno pagando a caro prezzo il deterioramento del loro sistema sanitario. Secondo Eurostat, nel 2023 il Pil pro capite della Grecia era pari al 67 per cento della media europea. Questo dato colloca la penisola ellenica al 26° posto tra i 27 stati membri; solo la Bulgaria ha fatto peggio.
Ad Argo, nel Peloponneso, la situazione non è affatto migliore: Meloni Kostiopoulos ha 27 anni e ha scelto di tornare nella sua regione natale. Da qualche mese lavora come chirurgo ortopedico nell’ospedale locale. Per lui è sostanzialmente impossibile far fronte alle emergenze. “Ci sono molti posti di lavoro vacanti. Nella mia specializzazione, su tre posti disponibili, solo uno è occupato. In medicina generale la situazione è persino più grave e, di conseguenza, quando l’ospedale è di turno per le emergenze, in alternanza con l’ospedale di Nauplia a una quindicina di chilometri di distanza, siamo costretti a prendere in carico pazienti che non rienstrano nella nostra specializzazione”, afferma il giovane medico.
Inoltre, secondo Kostiopoulos, la carenza di personale ha un impatto anche sulla salute dei pazienti: “Più aspettano, più la loro condizione generale peggiora e più rischiano di manifestare altre patologie. E la mancanza di personale è un problema che riguarda tutto lo staff sanitario: infermieri, paramedici, ecc. Il risultato è un sovraccarico generale dell’ospedale”.
Date le condizioni, pensa di trasferirsi all’estero, “dove gli stipendi sono decisamente migliori”, afferma. “Qui ricevo uno stipendio di base di 1.268 euro netti come specializzando al primo anno, per sette ore di lavoro, cinque giorni a settimana. A questo, si aggiungono 820 euro per cinque turni di guardia pomeridiani e un giorno non lavorativo al mese”.
Per garantire sempre la presenza di un medico di guardia in ospedale, fa “turni extra che vengono retribuiti con un ritardo di tre mesi, se vengono retribuiti!”. Questa situazione costringe molti giovani medici a prendere in considerazione l’idea di andare a lavorare all’estero. Secondo quanto riporta Amnesty International, quasi 20.000 giovani medici hanno lasciato il paese tra il 2010 e il 2020.
Sopra il tracollo del sistema sanitario greco aleggia ancora lo spettro della crisi del 2008. Tra il 2010 e il 2014, il Pil del paese è crollato del 25 per cento. L’esplosione del deficit, la perdita di fiducia da parte dei mercati e la minaccia di insolvenza avevano spinto la Grecia a chiedere aiuto alle istituzioni finanziarie internazionali, che, in cambio, hanno imposto drastiche riforme strutturali. Queste ultime hanno avuto ripercussioni profonde sul settore sanitario, che ha subìto tagli di bilancio estremamente pesanti. Anni dopo, le conseguenze sull’accesso alle cure e sulla loro qualità sono ancora ben visibili.
Traduzione a cura di Vittoria Brandi, Laura Cesa, Giulia De Iuliis, Alice Delpanno, Noemi Galli, Chiara Lazzari, Lara Dafne Melo Wollinger, Sofia Passaretti, Moema Pigna, Giulio Zagami della Facoltà di traduzione e interpretariato (Unità di italiano) dell'Università di Ginevra.

In collaborazione con European Data Journalism Network
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