Una bomba a orologeria nel Baltico

Dopo la Seconda guerra mondiale e la caduta dell’Unione sovietica migliaia di tonnellate di armi chimiche sono state smaltite in mare. I pericoli sono enormi, ma bonificare i fondali è un’impresa difficilissima.

Pubblicato il 26 Marzo 2013 alle 12:19

Nel 2009 l’opinione pubblica svedese rimase sconvolta da un documentario che rivelava che i sovietici avevano affondato armi chimiche nel Mar Baltico fino al 1992. Alcune riprese effettuate con telecamere nascoste mostravano un’operazione di questo tipo: si vedeva chiaramente l’esercito sovietico gettare direttamente in mare bidoni pieni di gas tossici e materiali radioattivi.

A indignare gli svedesi non fu tanto l’atto in sé, quanto il fatto, rivelato in un primo tempo da inchieste giornalistiche e poi confermato da intelligence dell’esercito, che alcuni membri del governo svedese già da dieci anni sapevano dello scarico di sostanze nei pressi dell’isola di Gotland e non avevano fatto niente per impedirlo.

Agli inizi degli anni novanta i russi dovettero decidere che fare degli enormi arsenali di armi chimiche accumulati nelle ex basi militari sovietiche di Lettonia ed Estonia. La più grande scorta di agenti chimici letali era nascosta nel porto lettone di Liepāja. I russi non avevano soldi sufficienti per trasferirli o smaltirli in altro modo, e le preoccupazioni ambientalistiche e legate alla sicurezza di polacchi o svedesi a quel tempo erano sicuramente tra gli ultimi pensieri dei generali dell’esercito sovietico. Per questo motivo decisero di inabissare l’intero arsenale nel Mar Baltico.

I risultati non si sono fatti attendere a lungo. A partire dalla metà degli anni novanta, tra i pescatori svedesi che lavoravano tra le isole di Bornholm e Gotland aumentò in maniera considerevole l’incidenza dei tumori ai polmoni e alla pelle. Alcune forme sono tipiche dell’esposizione all’iprite, un liquido incolore che ha un leggero odore, simile a quello dell’aglio o del rafano. Può restare chiuso nei bidoni per decenni, fuoriuscendo in piccole quantità nell’ambiente e provocando conseguenze terribili. Alla fine i contenitori dell’esercito si romperanno del tutto, rilasciando nel Mar Baltico una quantità enorme di agenti letali.

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Alla conferenza di pace di Potsdam del 1945 si decise di smaltire qualcosa come 267mila tonnellate di armi chimiche. Il modo più economico per farlo era gettare l’intero arsenale nel Mar Baltico, per lo più nel bacino di Bornholm, che scende fino a cento metri sotto il livello del mare, e nella Depressione di Gotland, che raggiunge una profondità di 459 metri.

Complessivamente, in un’area di circa 2,800 chilometri quadrati intorno all’isola di Bornholm i russi scaricarono qualcosa come 400mila tonnellate di bidoni di ogni genere di agenti chimici, contenitori pieni di adamsite, iprite, fosgene, tabun, sali di cianuro e acido prussico. Nel 1945 nello stretto di Danimarca i britannici versarono 69mila tonnellate di munizioni per artiglieria caricate a tabun e cinquemila tonnellate di bombe di tabun e fosfogene. L’anno seguente gli americani affondarono 42 navi con 130mila munizioni tedesche cariche di agenti chimici. La costa tedesca fu nuovamente utilizzata come una discarica quando all’inizio degli anni Cinquanta le truppe sovietiche e della Germania Est vi fecero affondare seimila tonnellate di agenti chimici. Come nel caso della costa polacca, il pericolo maggiore proviene dall’enorme discarica sovietica a sud di Gotland.

I paesi baltici hanno un piano qualsiasi per bonificare l’arsenale di armi chimiche sott’acqua? Nulla lo fa pensare, né esistono del resto politiche chiare su come ripulire li fondali marini da questo terribile mix di sostanze tossiche letali. Per fortuna si sta iniziando a parlare sempre più di questo grande problema. Nel novembre 2010 le esplorazioni finanziate dall’Ue nei fondali del mar Baltico hanno cercato di valutare la condizione dei siti discarica e capire come neutralizzare gli arsenali chimici e scongiurare un disastro ecologico.

La Polonia sta guidando un progetto internazionale denominato Chemsea al quale prendono parte 11 istituti di ricerca di Polonia, Svezia, Finlandia, Lituania e Germania. Entro la fine di quest’anno si prevede un rapporto redatto da Helcom Muni, un gruppo di esperti specializzato nella bonifica di agenti chimici. Ma anche i più esperti nelle forze armate non sono assolutamente in grado di prevedere che cosa accadrebbe con esattezza se le sostanze chimiche fuoriuscissero rapidamente dai contenitori ormai corrosi. È opinione comune che i bidoni d’acciaio utilizzati per immagazzinare gli agenti chimici utilizzati in guerra si corroderanno lentamente e che le eventuali perdite consisterebbero in quantità minime di sostanze tossiche, che sarebbero sottoposte pertanto a un processo relativamente rapido di idrolisi.

Come Chernobyl

Gli scienziati tengono a sottolineare che essendo più pesanti dell’acqua, le sostanze tossiche fuoriuscite si depositerebbero sui fondali marini. Oltretutto, il mar Baltico non è un’area interessata da forti fenomeni sismici e questo precluderebbe ulteriori danni. Insomma, pare che non vi sia motivo di allarmarsi. Soltanto il progetto del gasdotto russo-tedesco Nord Stream Baltic ha innescato accesi dibattiti sulla possibilità di un disastro ecologico a livello locale, ma di enorme gravità.

Tuttavia alcune fonti della marina polacca affermano che il rischio maggiore non è il gasdotto, e neppure le discariche di sostanze chimiche. Spesso dimentichiamo che il Mar Baltico è utilizzato anche per smaltire qualsiasi tipo di arma convenzionale, incluse le munizioni pesanti, le bombe aeree, le mine navali e i proiettili d’artiglieria. Se qualcosa dovesse esplodere, si innescherebbe una reazione a catena che provocherebbe sulle spiagge del Baltico conseguenze tremende come la catastrofe di Chernobyl.

Fino a quando gli stati baltici non avranno varato una politica coordinata per bonificare i fondali, passeggiare lungo le spiagge resterà uno sport teoricamente letale e il mar Baltico resterà un mare tossico.

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