Attualità Dopo la Cop24

Qual è il ruolo dell’Europa nella lotta al riscaldamento globale?

Se la conferenza sul clima di Katowice ha finalmente dato vita a un protocollo per l’esecuzione dell’accordo di Parigi che mira a limitare i cambiamenti climatici, i dirigenti europei si sono fatti notare per la loro assenza. L'analisi dell'inviato speciale di VoxEurop alla Cop24.

Pubblicato il 7 Gennaio 2019 alle 09:17

Il padiglione più grande nella sala E delle delegazioni nazionali alla Cop24 era quello dell’Unione europea. Quelli dell’Austria, del Benelux, della Francia, della Germania, della Polonia e del Regno Unito, tutti paesi membri dell’Ue, erano, invece, i più vistosi.

È evidente che l’Europa detiene un ruolo chiave nella lotta contro i cambiamenti climatici. A partire dal 2008, l’Ue ha intrapreso in questo senso azioni importanti in materia: gli obiettivi “20-20-20” (20 per cento in meno di emissioni di gas a effetto serra, 20 per cento in più di energie rinnovabili e 20 per cento in più di efficacia energetica) entro il 2020.

Gli Stati Uniti, al contrario, stanno andando in una direzione opposta da quando Donald Trump, le cui posizioni scettiche sul clima sono note, ha conquistato la Casa Bianca. Il Canada, nonostante gli annunci altisonanti del primo ministro Justin Trudeau in occasione del suo insediamento, non sembra intenzionato ad abbandonare il progetto di oleodotto KeyStone XL, per il raffinamento delle sabbie bituminose.

I paesi emergenti e in via di sviluppo non possono porsi come promotori di questa trasformazione, essendo stati per troppo tempo vittime delle ineguaglianze climatiche; inoltre il loro impatto carbonio per abitante resta di gran lunga inferiore rispetto a quello dei paesi occidentali. D’altronde, il nuovo presidente brasiliano Jair Bolsonaro sta seguendo l’esempio di Trump, rimettendo in discussione la fondatezza della lotta contro il riscaldamento climatico. La delegazione brasiliana ha addirittura minacciato di far saltare l’accordo finale della Cop24. La Cina, malgrado le velleità di accompagnamento del movimento mondiale per il clima, di fatto cerca di far portare il peso ad altri mentre la Turchia temporeggia epretende di essere classificata tra i paesi in via di sviluppo per beneficiare degli aiuti elargiti alla conferenza.

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Servizio minimo per la Cop24

La Cop24 ha certamente dato vita a un compromesso storico sull’attuazione dell’Accordo di Parigi. Ma le Ong lanciano l’allarme, ricordando che questi sforzi non ci permetteranno di limitare il riscaldamento a 3,2°C entro il 2100, mentre il progetto Giec prevede una soglia a 1,5°C per evitare uno scenario catastrofico.

All’entrata del complesso costruito in occasione della conferenza sul clima, il Climate Action Network presentava le malefatte degli uni e degli altri, conferendo ai “peggiori alunni climatici” dei Fossili del giorno che ricordano la grafica di Jurassic Park. Ce n’era per tutti: i paesi del Golfo, per la loro testarda volontà di voler sfruttare il petrolio; l’Australia, che vuole proseguire con l’esplorazione dei suoi giacimenti di carbone; e pure i paesi europei come Svizzera, Germania o il paese ospitante, la Polonia.

Quest’ultima ha d’altronde mostrato una certa goffaggine riguardo alla comunicazione: l’impatto ambientale del menù della mensa era impressionante. Lo stand della città di Katowice era fatto anche di carbone e nessuno si era degnato di spiegare che rappresentava il passato. Questo potrebbe provocare confusione, tanto più che il presidente Andrzej Duda, in occasione dell’inaugurazione del summit, si era vantato delle notevoli riserve di carbone della Polonia, un combustibile tanto economico quanto nefasto per il riscaldamento climatico.

Per quanto abbia certamente edulcorato alcune questioni che fanno discutere, al governo polacco va comunque dato il merito di aver adottato il Rulebook di Katowice che costituirà una guida concreta per i governi nei prossimi anni.

Ma dove erano i dirigenti europei?

Altro aspetto critico: i “grandi” non erano presenti alla conferenza. È vero che i campioni imbattuti della lotta contro i cambiamenti climatici erano tutti presenti come d’abitudine: l’ex governatore della California Arnold Schwarzenegger, l’ex vicepresidente statunitense Al Gore, il segretario della Cop21 Laurent Fabius oppure António Guterres, segretario generale dell’Onu, sotto la cui egida si è svolta la conferenza. Tuttavia alcuni dirigenti hanno dato forfait all’ultimo minuto e il summit è stato chiaramente carente di pezzi forti della politica europea.

Nonostante gli annunci delle ultime settimane, Angela Merkel ed Emmanuel Macron non si sono presentati, anche se quest’ultimo si è sempre posto come paladino del clima. Il presidente francese è rimasto in patria per gestire la questione dei “gilet gialli”: ha dovuto rinunciare alla tassa sui carburanti e questo è stato unduro colpo alla riduzione delle emissioni francesi di gas serra. Questa rinuncia risulta terribilmente sintomatica dello sgretolamento delle buone intenzioni europee degli ultimi anni.

La benedizione passa dall’Europa

Tuttavia, è proprio dall’Europa che deve partire la lotta per salvare il Pianeta. Magari non dai singoli paesi europei, ma dall’Ue nel suo complesso: gli sforzi di uno stato non hanno alcun senso se non sono sostenuti dagli sforzi degli altri. Bruxelles è già l’antipatica alla quale i politici nazionali attribuiscono tutti i mali (imposte, deficit limitato al 3 per cento, frontiere incontrollabili), dunque non è nella migliore posizione. Gli obblighi restrittivi imposti all’economia per lottare contro il riscaldamento climatico devono quindi essere fissati a livello continentale. Attualmente ci sono troppe divergenze tra Danimarca e Svezia da una parte e Polonia e Bulgaria dall’altra in quest’ambito.

Inoltre, l’Ue deve usare gli strumenti diplomatici in suo possesso per mettere pressione sui suoi partner nella lotta contro il riscaldamento climatico. Incominciando dagli Stati Uniti, che esportano verso l’Europa anche se le imprese americane non sono tenute a rispettare le stesse norme in tema ambientale, e ciò costituisce uno strappo alla concorrenza.

Non è certo un caso se tre delle ultime quattro conferenze si sono svolte sul suolo europeo: il nostro continente ha a cuore la protezione dell’ambiente. Bisogna evitare che le speranze e l’euforia suscitata dalla Cop21 vengano seppellite, occultate da altre preoccupazioni contingenti come il terrorismo o la crisi dei migranti.

Sarebbe già il caso che l’Ue lavori per preparare i responsabili politici in vista della Cop25 in Cile: si tratterebbe di un segnale forte per mostrare l’attenzione del Vecchio Continente nella lotta ai cambiamenti climatici.

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