Affermazione da verificare: durante il dibattito sul regolamento Ue sul ripristino della natura (cha fa parte del Green Deal europeo), avvenuto all’inizio del 2024, l’eurodeputato olandese Bert-Jan Ruissen, membro del partito dei conservatori e riformisti europei (Ecr, estrema destra) ha affermato che “troppi terreni erano stati riservati al ripristino della natura”. Come altri esponenti della destra, ha sostenuto che le politiche di protezione della natura minacciano la stabilità economica.
Contesto: il regolamento sul ripristino della natura rappresenta un pilastro del Green Deal europeo, il piano Ue volto a contrastare la perdita di biodiversità e ad attenuare le conseguenze del cambiamento climatico. Inizialmente, prevedeva il ripristino di almeno il 30 per cento delle terre e dei mari dell’Ue considerati degradati, con il divieto di ulteriori danni agli ecosistemi.
La Commissione ha presentato la proposta nel 2022, fissando un obiettivo del 20 per cento entro il 2030 e il ripristino completo degli ecosistemi degradati entro il 2050. Non solo l’estrema destra si è opposta al provvedimento: anche il Partito popolare europeo (Ppe, conservatore), anticipando un possibile spostamento del consenso politico, ha sollevato timori su politiche ambientali ritenute dannose per agricoltori, approvvigionamento alimentare e stabilità economica. Con l’avvicinarsi delle elezioni peuropee del 2024 e il conseguente inasprimento del dibattito, dichiarazioni come quella di Ruissen sono diventate cavalli di battaglia della destra, nel tentativo di screditare il Green Deal e conquistare consensi.
Nel 2019 le elezioni europee avevano espresso un'assemblea relativamente progressista, con i Verdi in una posizione di rilievo, grazie anche alla spinta di movimenti come Fridays for future. Ma nel 2024 molti candidati c’è un’inversione di tendenza. Il deputato europeo di estrema destra olandese Bert-Jan Ruissen e i suoi colleghi hanno avviato una serie di azioni volte, se non a smantellare il Green Deal, almeno a rallentarne il ritmo. Il pretesto? Rappresenterebbe una minaccia per la giustizia sociale e la stabilità economica.
In questo dibattito, la destra e l'estrema destra giocano la carta del “realismo”: poiché la transizione verde è costosa e rischia di lasciare indietro i cittadini i cui posti di lavoro e l'intera vita dipendono ancora dai metodi di produzione tradizionali, deve essere rivista e resa più “pragmatica”.
Per Marlene Mortler, ex eurodeputata del Ppe e autrice di un rapporto sulla sicurezza alimentare, “il Green Deal non deve mettere a repentaglio la sicurezza alimentare”. Secondo Mortler la difesa della natura comporta un potenziale rischio, quello di rendere “inutilizzabili” i terreni a causa delle misure di protezione.
Chiedendo il rifiuto totale della proposta della Commissione, il leader del Ppe Manfred Weber ha dichiarato nel 2023 che questa legge “sfida le autorità locali e regionali a fare l'impossibile: invertire 70 anni di cambiamenti nella natura in circa 25 anni”.
Cosa contiene il testo
Gli oppositori alla legge hanno affermato che vaste aree di terreno agricolo sarebbero state rinaturalizzate. In realtà, il testo non espropria i terreni agricoli, poiché dà priorità agli ecosistemi degradati e riconosce esplicitamente la necessità di bilanciare la conservazione e l'attività economica. Il testo comprende anche meccanismi di flessibilità che garantiscono che gli sforzi di ripristino siano compatibili con la produzione alimentare e i mezzi di sussistenza rurali.
Sebbene gli oppositori della legge abbiano reso difficile l'iter legislativo, è stato possibile raggiungere un accordo. Il testo è stato firmato nel giugno 2024, poco prima delle elezioni europee.
Il testo obbligherà gli stati membri dell'Ue a ripristinare almeno il 20 per cento dei tipi di habitat coperti dal disegno di legge entro il 2030, dando priorità ai siti protetti nell'ambito della rete Natura 2000 esistente. I Ventisette hanno ora tempo fino al 1° settembre 2026 per presentare alla Commissione i loro progetti di piani nazionali di ripristino.
L'affermazione di Ruissen, non supportata da prove scientifiche o dati disponibili, era il mezzo ideale per rovinare la reputazione del Green Deal. L'elaborazione delle politiche nel 2025 sta ancora pagando il prezzo di questa retorica, come è diventato evidente durante le proteste degli agricoltori che hanno toccato tutta Europa.
“Man mano che le proteste si diffondevano, le lobby agricole e la destra conservatrice hanno iniziato a strumentalizzare queste proteste”, spiega l'organizzazione ambientalista Terra!.
Con un certo successo: nel 2024, diversi testi legislativi europei sono stati vittime di queste preoccupazioni. Per esempio, la politica agricola comune (PAC) è stata modificata per consentire agli agricoltori di ricevere sovvenzioni europee anche se non rispettano le norme agricole e ambientali dell'Unione.
Il Parlamento europeo ha respinto il testo di una proposta volta a limitare l'uso dei pesticidi. Il regolamento sui prodotti derivati dalla deforestazione è stato rinviato, a seguito delle pressioni dei partiti conservatori.
Le emissioni dell'agricoltura intensiva non sono state equiparate alle emissioni industriali negli obiettivi climatici dell'Ue per il 2040. La strategia “Farm to Fork”, la componente agroalimentare del mandato precedente, dovrebbe essere dichiarata clinicamente morta.
Politiche agricole neoliberiste
Un esame più approfondito delle proteste degli agricoltori, spesso presentate come una reazione diretta alle politiche del Green Deal, rivela che le loro preoccupazioni principali sono altrove.
Ad esempio, l'accordo commerciale tra l'Ue e il Mercosur potrebbe consentire a prodotti agricoli meno costosi provenienti dall'America Latina di entrare nel mercato europeo. Una preoccupazione sottolineata dal movimento La Via Campesina, che nel 2024 ha ricordato che gli agricoltori erano stanchi “di passare la vita a lavorare senza sosta senza mai ottenere un reddito dignitoso”.
Contrariamente alle affermazioni secondo cui la protezione del suolo danneggia la stabilità economica, la ricerca dimostra, se ce ne fosse bisogno, che la mancata ripristino degli ecosistemi degradati comporta un rischio finanziario molto più elevato
“Siamo arrivati a questo punto dopo decenni di politiche agricole neoliberiste e accordi di libero scambio. Negli ultimi anni i costi di produzione hanno continuato ad aumentare, mentre i prezzi pagati agli agricoltori sono rimasti stagnanti o addirittura diminuiti”, precisa La Via Campesina. “Dagli anni Ottanta, le diverse normative che garantivano prezzi equi agli agricoltori europei sono state smantellate. L'Ue ha puntato tutto sugli accordi di libero scambio, che hanno messo in concorrenza tutti gli agricoltori del mondo, spingendoli a produrre al prezzo più basso possibile, a scapito dei loro redditi e del loro indebitamento. La produzione ecologica ha enormi vantaggi per la salute e il pianeta, ma costa di più agli agricoltori, quindi per realizzare la transizione agroecologica è necessario proteggere i mercati agricoli. Purtroppo, non siamo stati ascoltati”.
Cosa dicono i dati
Contrariamente alle affermazioni secondo cui la protezione del suolo danneggia la stabilità economica, la ricerca dimostra, se ce ne fosse bisogno, che la mancata ripristino degli ecosistemi degradati comporta un rischio finanziario molto più elevato.
Il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc) sottolinea che il degrado degli ecosistemi minaccia direttamente la produttività agricola e la sicurezza alimentare: “Il cambiamento climatico osservato sta già influenzando la sicurezza alimentare a causa dell'aumento delle temperature, della modifica dei regimi delle precipitazioni e dell'aumento della frequenza di alcuni eventi estremi”. E aggiunge che “la sicurezza alimentare sarà sempre più influenzata dai cambiamenti climatici”.
Inoltre, prosegue l'Ipcc, “circa il 21-37 per cento delle emissioni totali di gas serra è attribuibile al sistema alimentare”.
L'attuale sistema alimentare è spesso dato per scontato. Tuttavia, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao) stima che entro il 2050 sarà necessario produrre circa il 50 per cento in più di cibo per sfamare la popolazione mondiale in crescita. “Questo comporterebbe un aumento significativo delle emissioni di gas serra e altre conseguenze ambientali, tra cui la perdita di biodiversità”, afferma l'Ipcc.
Con due miliardi di abitanti in più sul pianeta Terra, non possiamo semplicemente permetterci di continuare a vivere come abbiamo fatto finora. Non si tratta solo di distribuire lo spazio in modo diverso. Solo forme di agricoltura nuove e sostenibili possono rispondere ai problemi che l'agricoltura industriale ha creato negli ultimi decenni.
“La combinazione di azioni a livello dell'offerta, come una produzione, un trasporto e una trasformazione efficienti, e di interventi a livello della domanda, come la modifica delle scelte alimentari e la riduzione delle perdite e degli sprechi, consente di ridurre le emissioni di gas serra e migliorare la resilienza del sistema alimentare”, afferma inoltre l'Ipcc.
La società di consulenza PwC stima che oltre il 50 per cento del Pil mondiale è minacciato dalla perdita di biodiversità. La protezione della natura è quindi un imperativo economico, non un ostacolo. Secondo il World Resources Institute (Wri), gli investimenti nel ripristino della natura hanno inoltre un impatto economico sostanziale e creano posti di lavoro.
Se da un lato è necessaria una visione in materia di politica ambientale, dall'altro è innegabilmente difficile proporla in un periodo segnato da guerre e paura. Altre misure climatiche incontrano una forte resistenza, in nome dello status quo.
Non è un caso che la retorica alla base dell'offensiva contro la legge sul ripristino della natura si ritrovi nel regresso delle politiche energetiche.
Mentre la direttiva europea sulle energie rinnovabili ha innalzato la quota di consumo di energia rinnovabile dell'Ue al 42,5 per cento entro il 2030, con un supplemento indicativo del 2,5 che consentirebbe all'Unione di raggiungere il 45 per cento, alcuni commentatori hanno espresso preoccupazione per il fatto che anche la produzione agricola fosse in pericolo, poiché le energie rinnovabili sono in concorrenza con i terreni disponibili.
Uno studio dell'Ufficio europeo dell'ambiente e un rapporto pubblicato dall'associazione europea per l'energia Eurelectric affermano che la biodiversità e le reti elettriche possono coesistere senza compromettere la natura o la produzione alimentare.
Di fronte all'aumento dei rischi climatici, gli scienziati non considerano il ripristino della natura un lusso, ma una necessità. La conservazione e il ripristino degli ecosistemi non costituiscono una minaccia per la stabilità economica, ma piuttosto una protezione contro un futuro collasso.

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