Kiev, 2024. Angelina Kariakina (a sinistra) e una guardia di sicurezza davanti a un ospedale colpito da un razzo russo. | Foto: ©The Reckoning Project 2024_Lina and security guard at a Kyiv hospital hit by a rocket_screenshot of movie

Documentare i crimini di guerra russi: “Forse il nostro lavoro contribuirà a definire un nuovo quadro per la giustizia mondiale”

Nel mezzo dell’aggressione russa, i giornalisti ucraini mettono a rischio la vita per documentare i crimini di guerra russi, raccolgono e archiviano le testimonianze dei sopravvissuti, per costruire la memoria per il futuro, nonostante la violenza segni irrimediabilmente le loro vite. Testimonianze.

Pubblicato il 27 Giugno 2025
2024_Lina and security guard at a Kyiv hospital hit by a rocket_screenshot of movie Kiev, 2024. Angelina Kariakina (a sinistra) e una guardia di sicurezza davanti a un ospedale colpito da un razzo russo. | Foto: ©The Reckoning Project

INell’autunno del 2022, dopo la liberazione della regione di Kharkiv, la poetessa e scrittrice ucraina Victoria Amelina ha visitato il villaggio di Kapytolivka, vicino a Izjum (oblast’ di Kharkiv, Ucraina dell’est). Lì ha riportato alla luce il diario di Volodymyr Vakulenko, autore di libri per bambini ucciso dalle forze di occupazione, il cui corpo venne poi ritrovato in una pineta trasformata in fossa comune. Vakulenko era riuscito a seppellire nel giardino i suoi appunti scritti a mano.

“Il messaggio di Volodymyr è stato portato in salvo, anche se il giorno dopo ho rischiato di calpestare una mina antiuomo”, ha scritto Amelina nella prefazione al libro di Vakulenko. Solo qualche giorno dopo la presentazione del libro a un festival letterario a Kiev, Victoria Amelina è partita per un’altra missione nell’est dell’Ucraina. Stava cenando in un ristorante a Kramators’k con una delegazione di colombiani quando un missile russo ha colpito l’edificio. Non ha calpestato una mina, ma è stata uccisa da un’altra arma russa. Aveva 37 anni.

Per tre anni ho lavorato per documentare i crimini di guerra per The Reckoning Project, un’iniziativa promossa da giornalisti, avvocati e analisti. Sono sempre stata interessata al modo in cui i miei colleghi riflettono sul proprio lavoro, alle loro intuizioni derivanti dalla collaborazione con i testimoni, e alle riflessioni sulla cura di sé e sul lavoro sul trauma.

Il libro incompiuto di Amelina Guardando le donne guardare la guerra (Guanda, 2025) è stato pubblicato in inglese, italiano e francese. L’idea che le vite delle persone coinvolte nella documentazione di questa guerra siano intrecciate con gli eventi stessi del conflitto mi turbava. Continuavo a chiedermi cosa desse loro la forza di continuare a lavorare in queste condizioni, la stessa domanda che, spesso, i documentaristi fanno ai testimoni dei crimini di guerra: cosa ha dato loro la forza di superare quel calvario?

 “È così che i russi obbligano la popolazione ad arrendersi”

Angelina Kariakina ricorda una conversazione avuta durante il Public Interest Journalism Lab (PIJL), i primi giorni dell’invasione su larga scala da parte della Russia. Qual era la cosa migliore che potevano fare come giornalisti in quella situazione? “Documenteremo i crimini di guerra”, disse Nataliya Gumenyuk, amica e collega di Angelina, con la quale aveva co-fondato The Lab. PIJL, come ong ucraina, ha fondato il The Reckoning Project insieme a una giornalista americana, Janine di Giovanni, e a uno scrittore britannico, Peter Pomerantsev.

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Angelina Kariakina (a destra) mentre riprende l'evacuazione dei civili da Severodonetsk, nella regione di Luhansk, nel marzo 2022. | Foto: ©Andrii Bashtovyi

Lo scopo era di documentare i crimini di guerra con metodo e di far conoscere al pubblico le storie dei sopravvissuti attraverso reportage, film e altri contenuti. Tutto ciò per promuovere la giustizia, sia in tribunale che tra l’opinione pubblica.

In quel periodo, Angelina era anche produttrice di Suspilne, l’emittente radiotelevisiva ucraina. La sua casa, vicino a Kiev, era stata occupata per più di un mese, fino a quando le truppe russe si ritirarono dall’Ucraina settentrionale. Il foro di un proiettile sul muro della sua stanza era una delle prove che i soldati russi erano stati proprio lì.

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Angelina Kariakina raccoglie la testimonianza di un anziano in un rifugio nella regione di Zaporizzhya, marzo 2022. | Foto: Nataliya Gumenyuk

Angelina si è impegnata a documentare le atrocità nella regione di Kiev, si è recata a Bucha per vedere con i propri occhi i corpi dei civili uccisi per strada e per ascoltare le testimonianze dei sopravvissuti. Aver visto e ascoltato tutto ciò le ha permesso di smontare la propaganda russa nei suoi interventi sui media stranieri.

In quella stessa primavera, oltre alla regione di Kiev appena liberata, anche la città di Mariupol’ era al centro delle notizie quotidiane. Le bombe russe la stavano distruggendo giorno dopo giorno e i civili erano intrappolati nel mezzo dell’inferno. Tra le notizie più terribili provenienti da Mariupol’ vi fu l’attacco russo all’ospedale ostetrico, raccontato nel documentario 20 Days in Mariupol, vincitore dell’Oscar.

Angelina ha cominciato a raccogliere le testimonianze di coloro che stavano abbandonando la città.In quel periodo scoprì di essere incinta.

“Era come se qualcuno mi desse uno schiaffo”, disse descrivendo ciò che provava quando leggeva delle ferite o della morte di qualcuno. “Volevo arrivare alla radice di questa pratica. Questo è ciò che mi guidava, non l’emotività”, disse. Per affrontare tutto questo si è concentrata sulla ricerca degli attacchi russi contro ospedali e reparti maternità, non solo in Ucraina, ma anche nei precedenti conflitti condotti dalla Russia, in Cecenia e in Siria.

Intervistando i sopravvissuti ai bombardamenti ospedalieri a Groznyj e Aleppo, Angelina cercava di capire se si trattasse di una tattica deliberata e, in tal caso, quale fosse lo scopo.

“Era chiaramente deliberata. Le persone possono sopravvivere in una città assediata anche senza avere molti servizi a disposizione. Ma se non vi è un ospedale, non è possibile, quindi i residenti scappano. È così che i russi obbligano la popolazione ad arrendersi”. 

“È stato il lavoro a tirarmi fuori da tutto questo”

Oleh Baturin si è unito a un gruppo di documentaristi dei crimini di guerra dopo che lui stesso era stato rapito e detenuto nel marzo 2022.

Prima dell’invasione, Baturin lavorava come corrispondente locale nella regione di Kherson da oltre 20 anni. Quando la Russia ha annesso la Crimea e occupato parti dell’Ucraina dell’est, Baturin si è recato nella penisola per raccontare ciò che stava accadendo e ha lavorato sull’abbattimento del volo MH17 della Malaysia Airlines da parte delle forze filorusse. 

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Oleh Baturin davanti al tribunale del distretto Suvorovsky di Odessa, nel gennaio 2024. | Foto: ©Maksym Savchenko

Il suo ruolo di giornalista investigativo lo ha reso un bersaglio per le forze di occupazione. In ogni città e in ogni villaggio conquistati, le forze russe seguivano un piano definito, con lo scopo di eliminare o portare dalla propria parte i leader del luogo, gli attivisti e i giornalisti.

Nel marzo 2022, Baturin ha ricevuto una chiamata da un lontano conoscente che gli chiedeva di incontrarsi. E’ uscito da casa sua a Kachovka dicendo a sua moglie che se non fosse tornato entro 20 minuti, voleva dire che qualcosa era andato storto.

La brutta sensazione aveva un fondamento: sulla strada, un gruppo di uomini armati e in uniformi militari e passamontagna lo hanno catturato, picchiato e minacciato: “Possiamo condannarti all’esecuzione”, questo è quello che ricorda oggi, in vista di un film sulla persecuzione dei giornalisti nei territori occupati.

Baturin ha passato una settimana in cella:“Non scriverai nient’altro”, gli hanno intimato.  Successivamente Baturin è stato liberato, probabilmente a causa della conoscenza del suo rapimento e del fatto che il sistema di repressione nei nuovi territori occupati non fosse ancora ben organizzato. Baturin e la moglie ci hanno messo tre giorni per attraversare 33 posti di blocco posizionati dall’esercito russo lungo le strade.

Un mese dopo la sua liberazione, Baturin si è unito al team di The Reckoning Project e ha cominciato a documentare i crimini di guerra commessi nella sua regione d’origine. “Questo lavoro mi ha aiutato a rimettere in ordine i pensieri dopo la detenzione, mi ha liberato la mente”, dice oggi.

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Oleh Baturin testimonia al tribunale del distretto Suvorovsky di Odessa, nel gennaio 2024. | Foto: ©Maksym Savchenko

Da quando una parte della regione di Kherson è stata liberata nell’autunno del 2022, Baturin si reca regolarmente sul posto per intervistare i testimoni di crimini di guerra. La sua profonda conoscenza del contesto locale gli consente di ottenere ciò che per gli estranei sarebbe impossibile. I sindaci, le autorità locali e gli agricoltori del posto condividono con lui storie che non si sentono ancora pronti a rendere pubbliche. Le affidano a Baturin affinché le pubblichi quando sarà il momento, ossia quando sarà sicuro per i loro familiari che vivono ancora nei territori occupati.

“È importante che la storia delle persone venga ascoltata, che rimanga nella memoria collettiva e che venga pubblicata al momento giusto. I sopravvissuti vogliono che si sappia cosa hanno vissuto”, spiega.

Come figura pubblica, Baturin ha continuato a fare interviste. Nel 2023 è diventato un testimone fondamentale per l’indagine sul rapimento di un cittadino statunitense dalla sua casa nella regione di Kherson. L’uomo è stato torturato e detenuto illegalmente da quattro militari affiliati alla Russia. Da allora, gli Stati Uniti hanno deciso di ritirarsi dal gruppo incaricato di indagare sui crimini di guerra russi in Ucraina.

Un “manuale di sopravvivenza alla prigionia russa”

Oltre al valore storico delle testimonianze, queste hanno anche un’importanza molto concreta. I pubblici ministeri ucraini seguono le pubblicazioni di Baturin basate sulle deposizioni dei testimoni, e questi testi potrebbero portare all’apertura di indagini per potenziali criminali di guerra.

E c’è un valore ancora più urgente nel suo lavoro: aiuta i familiari delle persone scomparse a scoprire dove si trovano. Spesso, quando parla con qualcuno della propria detenzione, Baturin viene a conoscenza di un’altra persona scomparsa e può trasmettere queste informazioni cruciali ai parenti. Per alcune famiglie, potrebbe essere l’unico modo per sapere cosa è accaduto o dove i russi tengono prigioniere le persone.


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Le parole di Baturin sono un eco delle riflessioni di Angelina sui testimoni. 

“Ho amici che erano stati prigionieri dei russi già nel 2014. E all’improvviso mi sono resa conto che le nostre conversazioni in cucina erano diventate una sorta di manuale di sopravvivenza, un modo per condividere esperienze su come sopravvivere alla prigionia russa”, racconta, aggiungendo di aver capito di voler trasmettere queste conoscenze alle prossime generazioni.

Conclude: “Lo so, sembra assurdo”, ma non lo è così tanto se si guarda la storia dell’Ucraina. La somiglianza con i dissidenti e i prigionieri politici dell’epoca sovietica è evidente. L’idea di un manuale di sopravvivenza non appare più così assurda.

Questo parallelismo con la sopravvivenza alle atrocità del 20esimo secolo appare in una conversazione con un’altra collega, Ghanna Mamonova. Gran parte del suo lavoro come documentarista di crimini di guerra consiste nel raccogliere le testimonianze delle detenzioni illegali e delle torture avvenute nella regione occupata di Kherson.

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Ghanna Mamonova durante le riprese del progetto documentario Grande esplosione d'acqua alla diga di Kakhovka, nel 2023. | Foto: ©Anna Tsygyma

Ghanna ha sottolineato che la sua missione non è cominciata nel 2022, e neanche nel 2014 quando i russi hanno invaso Lugansk, la sua città natale, nell’est dell’Ucraina. Già nei primi anni Duemila, quando studiava giornalismo, aveva registrato delle interviste con i sopravvissuti di Holodomor, la grande carestia architettata dal regime stalinista negli anni trenta del Novecento con lo scopo di schiacciare la produzione agricola ucraina. Le persone che intervistava erano ultraottantenni. 

Un’idea senza limiti

Un consiglio dato ai giornalisti per evitare l’esaurimento è quello di separare la vita lavorativa da quella privata. Non portare il lavoro a casa, o almeno tieni il computer fuori dalla camera da letto. Non è così semplice.

Nel luglio del 2024, la Russia ha lanciato un altro grande attacco su Kiev. I missili hanno colpito l’ospedale pediatrico Okhmatdyt, distruggendolo parzialmente, e una clinica di medicina della riproduzione in un altro quartiere della capitale. Il padre di Angelina aveva un ufficio proprio in quella clinica. Quando è arrivata sulla scena dell’attacco, ha visto un enorme cratere. È stato un miracolo che sia sopravvissuto.

Nei mesi seguenti, Angelina ha dovuto mettere in pratica tutte le conoscenze acquisite sul trauma per aiutare suo padre che in un giorno aveva perso diversi colleghi.

“Com’è possibile che l’attimo prima siano qui a pranzare, e un attimo dopo non ci siano più?”, continuava a ripetere. Angelina racconta che, nonostante i suoi sforzi per aiutarlo mettendo a frutto le sue conoscenze di primo soccorso psicologico, il modo migliore per riportare un po’ di gioia nella vita dei suoi genitori è stato il tempo trascorso con il nipote.

I ricercatori dei crimini di guerra danno risposte diverse su come prendersi cura di sé stessi. La prima regola è continuare a fare il proprio lavoro. La seconda è tenere sempre a mente l’obiettivo. 

Documentiamo le testimonianze per i tribunali che stanno già operando in Ucraina e all’estero. Per esempio, nell’aprile 2024, un uomo ucraino torturato nei territori occupati ha presentato una denuncia penale alla magistratura federale argentina con l’aiuto del team di The Reckoning Project. L’Argentina è uno dei paesi che può applicare il principio della giurisdizione universale, che consente di perseguire crimini internazionali commessi in qualsiasi parte del mondo. Anche altri paesi hanno avviato inchieste simili, e la Corte penale internazionale ha emesso mandati di arresto nei confronti di Putin e di diversi altri russi.

Ma i tribunali non sono l’unico obiettivo, e la giustizia non avviene solo al loro interno. Infatti, un’altra dimensione della giustizia prevede la diffusione delle storie dei sopravvissuti attraverso i media, i documentari o i teatri. La memorializzazione di quegli eventi e le esperienze di coloro che sono sopravvissuti sono un altro modo per conservare queste testimonianze nella memoria e nella storia.

Questa visione dell’obiettivo è stata ben formulata da Viktoriia Balytska, un’altra giornalista che si occupa di crimini di guerra, in particolare di casi di rapimenti, torture e attacchi con droni contro i civili: “Ci sono cose che dobbiamo fare senza pensare troppo al futuro. Forse il nostro lavoro contribuirà a definire un nuovo quadro di giustizia nel mondo. In ogni caso, dobbiamo portarlo avanti con una prospettiva a lungo termine. Potrebbe trattarsi di un futuro che ancora non riusciamo a prevedere”, ha affermato.

Documentare come risposta alla violenza di massa

Guardando le donne guardare la guerra di Victoria Amelina è un libro sulle donne impegnate a documentare le aggressioni e i crimini di guerra russi. Permette al lettore di sbirciare dietro le quinte e scoprire cosa pensano e provano coloro che portano alla luce la verità sui crimini di guerra commessi dalla Russia. Il libro è stato completato da una redazione editoriale, poiché Amelina è riuscita a scrivere solo circa il 60 per cento del manoscritto.

Il premio Orwell assegnato postumo a Victoria Amelina

Il 25 giugno Guardando le donne guardare la guerra ha ricevuto il premio Orwell per la scrittura politica. “Questo è un memoir su una guerra non ancora terminata, il che avrebbe potuto indebolirne l’impatto. Invece, dal primo all’ultimo capitolo, la potenza dell’immagine delle donne che guardano la guerra è implacabile e necessaria”, ha dichiarato la giuria.
Il premio Orwell assegnato postumo a Victoria Amelina

Un tribunale ucraino ha condannato all’ergastolo un uomo che aveva passato ai russi informazioni sul ristorante di Kramators’k in cui stavano cenando Amelina e il gruppo dalla Colombia. Inoltre, il tribunale ha condannato in contumacia anche i due uomini che avevano rapito e torturato Baturin, accusandoli di aver violato le leggi della guerra e il diritto internazionale umanitario.

Nei territori occupati dell’Ucraina avvengono atrocità tutti i giorni e i missili, i droni e le bombe rovinano le vite delle persone e le infrastrutture in tutto il paese. I cosiddetti colloqui di pace sono accompagnati dagli attacchi più sanguinosi nelle città ucraine, come l’attacco notturno a Kiev del 24 aprile che ha causato la morte di dodici persone o quello a Sumy, una settimana prima di Pasqua, con un bilancio di 35 vittime.

Restare impegnati diventa più difficile senza il sostegno necessario, ma per Ghanna Mamonova questo diventa ancora più evidente nei momenti in cui alcuni politici si smarriscono, chiamando pace ciò che è chiaramente una guerra. 

Come fa notare Oleh Baturin, questo cambiamento nel discorso internazionale sulla responsabilità della Russia lo colpisce emotivamente, ma osserva anche un cambiamento nell’atteggiamento dei testimoni: “Oggi incontro persone che sono scoraggiate dal parlare, che non vedono più un senso nel testimoniare”. Questo non significa affatto che abbiano paura o che vogliano dimenticare, sottolinea Baturin.

I testimoni e i sopravvissuti dei crimini di guerra pretendono ancora giustizia e i giornalisti continuano a documentare quei crimini, tenendo a mente un obiettivo più ampio. Come dicono loro stessi, queste testimonianze devono essere raccolte e preservate, a prescindere da ciò che sta succedendo al momento.

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