Attualità L’Austria e il confinamento
“Proteggici dal coronavirus!” – Un disegno legato alla Colonna della Peste. Vienna, aprile 2020.

A Vienna, la resilienza è di casa

Tre secoli e mezzo dopo la Grande peste viennese e 75 anni dopo il disastro morale e materiale della Seconda guerra mondiale e dell'Olocausto, gli abitanti di Vienna si rivolgono al loro passato e ai loro monumenti per far fronte all’epidemia di coronavirus.

Pubblicato il 18 Aprile 2020 alle 15:20
“Proteggici dal coronavirus!” – Un disegno legato alla Colonna della Peste. Vienna, aprile 2020.

Nel 1679 Vienna fu colpita da una delle ultime grandi epidemie di peste in Europa. Si stima che quasi 80mila viennesi siano morti, vittime della peste bubbonica, che dilagava tra orde di ratti e cumuli di rifiuti puzzolenti. Come molte altri centri economici dell’epoca, la capitale del Sacro Romano Impero era sovraffollata e non disponeva di fognature decenti. Il distanziamento sociale e l’attento lavaggio delle mani non erano ancora una realtà.

Non c’è da stupirsi che l’imperatore Leopoldo volesse scapparne. Ma prima di fuggire dai palazzi più signorili degli Asburgo promise di erigere un monumento alla misericordia di Dio – se solo la peste se ne fosse andata e gli avesse concesso di tornare nella sua capitale.

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Il barocco viennese come proiezione della pandemia. Foto: ©CHeFred

Quasi 15 anni dopo una delle più belle opere del barocco viennese è stata finalmente completata: die Pestsäule, la Colonna della peste, eretta sul Graben, nel cuore della città. La peste passò dopo circa un anno dal suo inizio, ma fu presto seguita dall’assedio degli Ottomani del 1683, detto anche Battaglia di Vienna. La colonna subì in seguito una lunga serie di modifiche estetiche e il risultato finale, inaugurato nel 1693, è un intricato racconto iconografico che informa gli spettatori che sia la peste che l’assalto dei Turchi erano una punizione di Dio, scongiurata solo grazie alla virtù e alla vigilanza dell’imperatore Leopoldo.

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La memoria della Grande peste viennese può essersi persa dopo 350 anni, ma ai tempi del coronavirus il suo monumento ha acquisito una nuova rilevanza. Un’epidemia è un’epidemia è un’epidemia…

Mentre la libertà di movimento è stata limitata dalle misure draconiane del governo austriaco per impedire la diffusione del Covid-19, molti a Vienna hanno sfidato il divieto di recarsi negli spazi pubblici e sono andati in pellegrinaggio alla Pestsäule. Sotto il solo sguardo delle telecamere di sorveglianza dei negozi di lusso ormai serrati, hanno acceso una candela o depositato una preghiera ai piedi del monumento.

"Caro Dio, aiutaci", esclama il pallido disegno fatto coi pastelli da un bambino. "Proteggici dal coronavirus", ha invece scritto una ragazzina su un altro disegno raffigurante Gesù sulla croce. Ha firmato con il suo nome: Magdalena. Forse una delle figure umane terrorizzate e addolorate ai piedi della croce è proprio Magdalena? Non la biblica Maria Maddalena, ma una bambina spaventata nel 2020 a Vienna. In ogni caso, c’è molta ansia infantile in quei tristi emoji. Dal cielo spaventoso del suo disegno delle cellule del coronavirus cadono come gocce di pioggia acuminate.

Dietro l’angolo, a due passi dalla Pestsäule, sorge il Duomo di Santo Stefano – il monumento più famoso di Vienna, che ha un posto speciale nel cuore della maggior parte degli abitanti della città. “Steffl”, come viene affettuosamente chiamato, è un simbolo di come la capitale austriaca sia riuscita a recuperare un po’ del suo splendore storico, oltre che della sua normalità, dopo la miseria materiale e morale della Seconda guerra mondiale e dell’Olocausto.

In un’altra battaglia, la cosiddetta Offensiva di Vienna dell’aprile del 1945, Santo Stefano fu gravemente danneggiato; parte del tetto crollò e solo una piccola parte della chiesa rimase intatta. Entrando, si poteva guardare dritto in alto e vedere un cielo minaccioso quanto quello del disegno di Magdalena. Ma i viennesi hanno finalmente riparato il loro Steffl, e quest’anno, il giorno di Pasqua, il 12 aprile, esattamente 75 anni dopo il devastante incendio, avevano programmato di celebrare una messa pasquale molto speciale.

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Il 12 aprile 1945, la Cattedrale di Santo Stefano dopo il bombardamento. Foto: ©Domarchiv St. Stephan

Era davvero speciale, ma non nel modo in cui era previsto. Proprio come Papa Francesco celebrava la messa da solo a San Pietro, il cardinale austriaco Schönborn celebrava la messa di Pasqua davanti alle volte echeggianti e alle panche vuote del Duomo di Santo Stefano.

Quasi vuote.

Al posto di migliaia di fedeli, c’erano le loro foro allineate sui banchi, che ogni tanto velavano vortici d’incenso, ma che erano ancora visibili sugli schermi televisivi. Nel suo sermone, trasmesso in diretta, il cardinale ha invocato quel buco spalancato verso il cielo: ora, come 75 anni fa, dovremo condurre una vita di virtù per affrontare il coronavirus e il cambiamento climatico.

Il coronavirus come castigo in tempi di contagio.

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Le panche della cattedrale di Santo Stefano vuote con le immagini dei fedeli durante la messa di Pasqua, il 12 aprile 2020. Foto: ©ERZDIÖZESE WIEN

Ultimamente, i programmi religiosi della radio e della televisione austriaca hanno indici d’ascolto da fare invidia ai servizi di streaming. Ma la maggior parte dei viennesi sembra aver investito le proprie speranze in un culto più profano: il consumismo. O, più precisamente, nell’apertura di negozi dopo Pasqua.

Il cancelliere Sebastian Kurz – che è stato descritto come un Messia della politica conservatrice – ha letteralmente parlato di "resurrezione". Dopo un mese di dure restrizioni, l’Austria sta ora facendo un cauto passo verso qualcosa che ricorda almeno la normalità che prevaleva prima di Wuhan e Ischgl, la stazione sciistica delle Alpi tirolesi che è diventata uno dei peggiori focolai di coronavirus in Europa.

Si tratta di alleviare la pressione. Lasciare che i cittadini, che hanno sacrificato così tanto per contribuire ad appiattire la famosa curva, credano in un futuro non troppo dissimile da quello che era una volta. E, naturalmente, si tratta di salvare ciò che si può salvare dell’economia. Rimettere in moto gli ingranaggi. Certo, gli epidemiologi avvertono che una seconda ondata del virus potrebbe benissimo intervenire in questa occasione – ma il cancelliere Kurz, virtuoso e vigile, è pronto a tirare il freno d’emergenza.

Tuttavia, anche se ora le code suonano nei negozi di fai da te e negli autolavaggi della città, il miracolo di Pasqua dovrà aspettare. Il Graben è ancora deserto quasi quanto lo era una settimana fa. Di solito chi fa shopping nel Graben non sono viennesi, ma russi, cinesi, italiani… E non ci sono più.

Solo lo scorso capodanno, circa un milione di visitatori sono passati davanti alla Pestsäule. Oltre il 15 per cento del prodotto interno lordo austriaco proviene dal turismo. Prima che das Riesenrad – la celebre ruota panoramica del parco divertimenti del Prater – abbia ripreso a muoversi, sarà difficile affermare che le ruote dell’economia stanno girando. Prima che gli ospiti stranieri siano tornati sia nel Graben che in Tirolo, nessuno penserà nemmeno di erigere una Pestsäule.

La normalità post-pandemica è ancora lontana. Anche il Cancelliere Kurz lo sa.

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Questa ruota è ferma. La famosa Riesenrad, da cui l’Harry Lime incarnato da Orson Wells, nel film Il terzo uomo, guarda dall’alto in basso le sagome che si muovono nella Vienna del dopoguerra, paragonandole ai puntini. Non significherebbe nulla, dice, se uno di loro o alcuni di loro "smettessero di muoversi, per sempre". Foto: ©CHeFred

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