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Gli europei sognano le auto elettriche?

Quali sono i costi e i dibattiti intorno alla riconversione del sistema industriale verso i veicoli elettrici? Gli europei sognano o temono le auto elettriche? Rassegna.

Pubblicato il 27 Gennaio 2025

Le automobili e i furgoncini sono responsabili rispettivamente di circa il 16 per cento e il 3 per cento delle emissioni totali di CO2 nell'Ue. Ogni anno, circa 330.000 morti premature sono attribuibili all'inquinamento atmosferico, oltre a numerose malattie, tra cui malattie cardiache, cancro, asma, malattie polmonari e ictus. 

Complessivamente, si stima che i costi sanitari legati all'inquinamento atmosferico causato dal trasporto su strada si aggirino tra i 67 miliardi e gli 80 miliardi di euro all'anno.

Tutti motivi validi per giungere a un accordo su una nuova legge che possa sostituire quella concepita nel 2023 dai legislatori dell'Ue. Secondo le nuove normative, i produttori di automobili dovranno ridurre gradualmente l'intensità di CO2 dei loro veicoli tra il 2025 e il 2034, e tutte le nuove auto vendute dal 2035 dovranno essere a zero emissioni.

Nonostante gli effetti positivi pressoché scontati e a lungo termine, la legge è stata messa in discussione dai conservatori europei (Partito Popolare europeo, Ppe) e da paesi come la Repubblica Ceca, l'Italia e la Francia. Questa scelta potrebbe coinvolgere circa 14 milioni di cittadini in tutta Europa, impiegati direttamente e indirettamente nell'industria automobilistica.

Il produttore tedesco Volkswagen ha annunciato nel dicembre 2024 che pensa di tagliare circa 15mila posti di lavoro perché l’azienda punta a rimanere competitiva nei confronti della Cina. Negli ultimi anni, i costi eccessivi dovuti al passaggio ai veicoli elettrici e il calo della domanda hanno portato a una diminuzione dei profitti.

In Italia, le dimissioni di Carlos Tavares da ceo di Stellantis (ex Fiat) hanno messo in evidenza i danni di una strategia di profitto perseguita negli ultimi anni, e anche il caso del fornitore automobilistico GKN (dove i lavoratori dello stabilimento di Firenze sono rimasti senza stipendio per oltre un anno prima della chiusura e hanno creato una delle esperienze di occupazione più creative degli ultimi annni) è emblematico: Silvia Giagnoni ha scritto un libro sulla loro esperienza.

L’ideologia del motore

Ecco come entriamo nel cuore del giornalismo climatico, dove si è chiamati a spiegare cosa è giusto, cosa non lo è, e perché.

Era giugno quando Matěj Moravanský ha affrontato la questione su Deník Referendum: “L’ideologia del motore sta vivendo una grande vittoria” (...) “Possedere un'auto nella nostra società è considerato quasi un diritto umano fondamentale. La motorizzazione è diventata un'ideologia che ha raggiunto un successo politico indiscutibile nel nostro paese e in tutta l'Unione europea”.

“Probabilmente nella sua forma più pura, il fenomeno della motorizzazione politica è emerso in Repubblica Ceca. La coalizione elettorale tra il movimento Přísaha e il partito Motoristé, guidato da Petr Macinka, un impiegato dell'Istituto Václav Klaus e braccio destro dell'ex presidente, ha messo Filip Turek, influencer e ex pilota automobilistico, alla testa della lista dei candidati. Turek ha portato la coalizione al 10 per cento, assicurandosi così un seggio per sé e per Nikola Bartůšek come deputati europei”, continua Moravanský

Lo spirito del partito dei motoristi è forse meglio riassunto dal “Manuale per rimuovere gli ostacoli ecoterroristi su strada”, che il partito ha pubblicato sul proprio sito web e che recita: “Questo manuale è stato creato in una situazione in cui il terrorismo verso la popolazione generale si è diffuso in paesi precedentemente caratterizzati dalla democrazia in stile occidentale, il cui denominatore comune è l’imposizione di colpevolezza per lo stato attuale del pianeta Terra e, allo stesso tempo, l’incapacità o, meglio, la mancanza di volontà delle autorità pubbliche di affrontarlo con vigore, poiché i rappresentanti del movimento terroristico sono spesso già membri dei governi a livello nazionale e delle amministrazioni locali. (...)La cospirazione si mescola con la difesa di destra del mondo ‘normale’ contro le strutture politiche invase dall'’ecoterrorismo’”.

È accaduto proprio prima delle elezioni del Parlamento europeo dello scorso giugno 2024, quando il Patto verde iniziava a subire una forte opposizione.

Di recente, Virginie Malingre ha parlato su Le Monde della crisi del settore automotive, riassumendo efficacemente la situazione: “L’Europa barcolla nel tentativo di salvare la sua industria automobilistica. Gli Stati membri cercano una formula per sostenere il settore automotive, in pieno cambiamento verso i veicoli elettrici e minacciato dalla concorrenza cinese. […] Il destino che l'Unione europea riserverà all'industria automobilistica, oggi in piena crisi, sarà emblematico.”

Eppure, secondo Linnea Nelli, le soluzioni esistono. Rispondendo alla domanda “Cosa fare per una transizione giusta nel settore automotive?” su Altreconomia, Nelli afferma che “le premesse per una transizione ingiusta nel comparto automobilistico europeo ci sono tutte. Urge una politica industriale”, scrive. 

Le previsioni per il 2025 non sono positive. La Germania terrà le sue elezioni parlamentari il 23 febbraio e la campagna elettorale si svolgerà probabilmente sul fronte industriale: nell’ambito della serie di anteprime per il 2025 di CLEW, la direttrice del centro studi Zukunft KlimaSozial Brigitte Knopf afferma che la sostenibilità economica della transizione è un argomento cruciale per il prossimo governo.

In collaborazione con Display Europe, cofinanziato dall'Unione europea. I punti di vista e le opinioni espressi sono esclusivamente quelli dell'autore o degli autori e non riflettono necessariamente quelli dell'Ue o della Direzione Generale per le Reti di Comunicazione, i Contenuti e la Tecnologia. Né l'Unione europea né l'autorità che ha concesso il finanziamento possono essere ritenute responsabili.
ECF, Display Europe, European Union

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