Bankia è un osso troppo duro per Rajoy

Nonostante le rassicurazioni del governo, Madrid sarà probabilmente costretta a chiedere aiuto all'Europa per salvare le sue banche. Un intervento che potrebbe implicare la messa sotto tutela della sua politica economica.

Pubblicato il 29 Maggio 2012 alle 14:25

Gli avvoltoi sono in fermento, sicuri di essere vicini a vincere la partita. Lo scenario che si delinea per le strade di Madrid e nei dispacci di Berlino - che un paese dell’Ue chieda di poter ricorrere al fondo di salvataggio - sembra sempre più plausibile. Lunedì il presidente Mariano Rajoy ha negato per l’ennesima volta che le banche spagnole avranno bisogno di un aiuto esterno, ma il buco di Bankia spinge il pese sempre più verso l’abisso.

Già prima della notizia che lo stato dovrà versare altri 19 miliardi di euro nelle casse di Bankia, molti esperti parlavano della necessità che il governo, per doloroso che sia, chieda aiuto all’Ue per ricapitalizzare i suoi istituti finanziari. “Avrebbe dovuto farlo molto tempo fa. Ma meglio tardi che mai”, spiega Daniel Gros, ricercatore del Ceps. “È probabile che quest’anno la Spagna entri in qualche tipo di programma tutelato dalla troika in modo da ricevere più sostegno della Bce per gestire il debito pubblico o la difficile situazione delle banche”, ha dichiarato mesi fa il capo economista del Citi William Buiter.

Nell’equazione ci sono però ancora molte incognite, e non riguardano soltanto l’eventualità che la Spagna finisca per fare il grande passo. Non sappiamo ancora quale sarà il sistema scelto, come non sappiamo se i correntisti si faranno prendere dal panico e se l’Ue riuscirà a scongiurare il contagio dell’Italia e in un secondo momento anche della Francia e del Belgio.

La scorsa estate i leader dell’Unione hanno modificato il fondo temporaneo di salvataggio - ufficialmente il Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf) - in modo che potesse evitare il crollo di buona parte del settore bancario spagnolo. Innanzitutto ne è stata aumentata la dotazione, da 440 miliardi e 780 miliardi di euro (anche se la capacità effettiva non ha in realtà superato i 440 miliardi). Un mese dopo sono state ampliate anche le competenze: il meccanismo avrebbe potuto essere utilizzato anche per ricapitalizzare entità finanziarie attraverso il prestito agli stati.

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Il problema è che in questo modo il denaro passa prima per le casse del governo, che si assume il peso del debito per poi ricapitalizzare gli enti in difficoltà. Si tratta di un sistema condizionato, che implica clausole come quelle imposte a Grecia, Irlanda e Portogallo. In definitiva, anche se dovesse trattarsi di un salvataggio “light” - per salvare le banche, non lo stato - l’Europa avrebbe voce in capitolo in ambiti come la politica fiscale, i servizi pubblici, le privatizzazioni e la gestione degli enti ausiliari, imponendo alla bisogna dolorosi programmi di ristrutturazione.

L’aspetto più preoccupante, comunque, è la possibilità che la Spagna sia incapace di finanziarsi sul mercato per un tempo indefinito. “Si può chiamare in molti modi diversi, ma resta un intervento esterno in piena regola”, spiega una fonte ai vertici della gerarchia comunitaria.

Scenario irlandese

Lo scenario che si prospetta ricorda da vicino quanto accaduto in Irlanda: lo stato appoggia le banche, ma il buco è troppo grande e il paese è costretto a chiedere un aiuto esterno. “Se il denaro potesse essere versato direttamente nelle casse delle banche [un’idea scartata nettamente dalla Germania] sarebbero gli istituti ad assumersi la responsabilità di restituirlo”, spiga il professor Santiago Carbó. “L’Europa dovrebbe controllare e supervisionare le banche salvate, il che potrebbe spingerla verso un’unione bancaria. Ma non illudiamoci, non accadrà niente del genere prima che il Medesia ratificato”, aggiunge Guntram Wolff, del think tank belga Bruegel.

Il Mede di cui parla Wolff è il Meccanismo europeo di stabilità, che dal primo luglio prossimo dovrebbe diventare il fondo di riscatto permanente e sostituire l’Efsf. Non soltanto il nuovo fondo sarà più potente (con mezzo miliardo di euro di denaro fresco), ma anche più flessibile. Tuttavia prima di entrare in vigore dovrà essere ratificato dagli stati dell’Ue. Un ritardo nella tabella di marcia, con la Spagna tra le fiamme, sarebbe un segnale catastrofico.

Cosa accadrà se finalmente il governo spagnolo si vedrà costretto a ricorrere al fondo di salvataggio? La risposta arriva dal professore di Harvard Kenneth Rogoff: “Se l’eurozona e la Bce non compieranno passi avanti decisi e rapidi, si scatenerà il panico bancario in tutta la periferia, con spaventose fughe di capitali. Per evitarlo bisogna rifornire le banche di liquidità. L’eurozona dovrebbe salire diversi gradini verso l’unione fiscale e adottare gli eurobond. In futuro ci saranno ancora una volta provvedimenti eccezionali e impensabili fino a poco tempo prima, come è accaduto ogni volta che l’Europa è stata vicina al crollo”.

Banche

Un problema spagnolo

“L’effetto Rajoy arriva tardi e non arresta l’emorragia” dei mercati, scrive El Mundo all’indomani della conferenza stampa convocata dal primo ministro spagnolo. Il quotidiano madrileno critica l’intervento di Rajoy giudicandolo poco concreto:

Sarebbe stupido cercare di sviare l’attenzione dai nostri problemi di finanziamento del debito verso il contesto europeo in generale. Siamo nel mirino dei mercati a causa di Bankia e dell’incertezza che incombe sul settore finanziario spagnolo. Ma anche per via dell’aiuto urgente di cui ha bisogno la Catalogna e dell’estensione del problema alle altre regioni.

Il quotidiano aggiunge che il governo annuncerà venerdì prossimo la creazione di “hispanobond”, titoli di stato per finanziare le regioni più indebitate tra cui figurano la Catalogna, l’Andalusia, la Comunità valenciana, le Baleari e Castilla la Mancha. Il denaro necessario è stimato attorno ai 17 miliardi di euro entro la fine del 2012. Secondo El Mundo

il governo vuole finanziare da giugno una grande operazione di salvataggio di alcune regioni sull’orlo del default, che non hanno altra scelta dopo che i mercati hanno voltato le spalle alle loro emissioni [di debito pubblico].

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