In Bulgaria il paradiso della tech si scontra con l’inferno dei call center

Vista da vicino la nuova “Silicon Valley” dei Balcani è meno splendent: in pochi anni la Bulgaria si è trasformata in uno dei paesi più attrattivi per aziende di marketing e comunicazione, dove il subappalto la fa da padrone in un mercato del lavoro senza regole e quasi senza sindacati.

Pubblicato il 27 Giugno 2024 alle 11:26

Com’è accaduto in altri paesi dell’ex blocco sovietico, anche in Bulgaria, a partire dal 1989, l’economia si è evoluta verso la deindustrializzazione da un lato, e la crescita del settore dei servizi dall’altro. Questo settore nel 2022 assorbiva il 57,66 per cento del Pil nazionale

Il settore dei servizi comprende, nel paese, diverse attività legate al turismo e alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Ict). 

Se il calo di turisti russi suscita nei gestori delle strutture alberghiere sul Mar Nero timori comprensibili, dall’altro il settore dell’Ict viaggia col vento in poppa, in particolare nella capitale Sofia, dove persino il sindaco, Vassil Terziev (Continuiamo il cambiamento – Bulgaria democratica, centro destra) viene dal mondo dell’high-tech. 

Terziev è stato eletto lo scorso novembre in seno a una coalizione europeista e anti corruzione, ed è il fondatore di Telerik, un’azienda che fornisce componenti per lo sviluppo di applicazioni per desktop, web e mobile. 

Nel 2014, l’attività è stata venduta alla cifra record di 262,5 milioni di dollari alla Progress Software Corporation, una società americana quotata al NASDAQ. Prima di entrare in campagna elettorale (quando si è dimesso), Terziev era coinvolto in attività di consulenza e di investimento in start-up bulgare tramite il fondo Eleven Ventures e il Bulgaria Innovation Hub (basata a San Francisco), oltre che in percorsi di formazione, grazie al sostegno della Telerik Academy Foundation

Il settore Ict gode di un’ottima reputazione in Bulgaria, reputazione rinforzata dalle storie di successo di alcuni grandi nomi, i cui percorsi sono agli antipodi degli stereotipi sul’Homo Sovieticus bulgaro “docile, privo di immaginazione, incapace di prendere iniziative o di comunicare con i clienti”, scrive l’antropologa Tsvetelina Hristova.

Nel paese, il contrasto tra la modernità di attività in gran parte dematerializzate e la macchinosità dell’amministrazione pubblica è particolarmente stridente. Dal 2015 sono stati fatti diversi tentativi per innovare e digitalizzare del settore e in una decina d’anni Sofia si è trasformata in una città dove sono visibili grandi contraddizioni: Tesla nuove di pacca sfilano in quartieri dove le abitazioni sono ancora oggi riscaldate a legna

E’ in questo contesto che sono nate start-up rinomate a livello nazionale e internazionale: tra queste vi è Payhawk, la prima start-up “unicorno” (definita così perché valutata più di un miliardo di dollari, non è controllata da una grande azienda e non è quotata in borsa) made in Bulgaria. Va inoltre detto che il paese si è fatto strada nel deep tech, nella tecnofinanza (tecnologie impiegate nel settore finanziario) e nel settore dell’intelligenza artificiale. 


A Sofia, inoltre, su una superficie di 40mila metri quadrati sul massiccio montuoso Vitoša, sorge il Sofia Tech Park: il primo, nonché il più grande, spazio dedicato esclusivamente a questo mondo. L’area viene finanziata da fondi privati e dallo stato bulgaro, il quale vede nel progetto un’opportunità per creare più di 15 mila posti di lavoro.


In Bulgaria lo stipendio minimo ammonta a 460 euro lordi e questo ne fa il paese con la manodopera meno costosa del continente


La narrazione della “Silicon Valley dell’Europa dell’Est” – l’etichetta affibbiata alla Bulgaria dall’International Trade Administration degli Stati Uniti – si scontra con una realtà ben più complessa, poiché il settore è composto da molte imprese straniere, 802 nel 2023 secondo l’associazione corporativa AIBEST, che si avvalgono dell’outsourcing. Tali aziende esternalizzano qualsiasi tipo di attività: produzione, amministrazione, marketing, gestione legale, assistenza e supporto alla clientela.

Tra i nomi più rappresentativi del settore vi sono Hewlett-Packard, Akkodis e Atos. Per quanto riguarda l’assistenza clienti, aziende come Telus, Concentrix, Alorica e Sutherland sono tra le più grandi. Se, per esempio, contattate il  servizio clienti di Deutsche Telecom, Spotify, Hilton, North Face, Nike, Paramount+, Microsoft o Google, è molto probabile che dall’altro capo del telefono vi risponderà un call center bulgaro.

Stando ai risultati di un rapporto AIBEST del 2023, sono  104.690 le persone che lavorano a tempo pieno in un aziende che subappalta un servizio: una parte risponde alle mail, ai reclami e interagisce con il consumatore o altri professionisti, altri si dedicano a moderare i contenuti social. 
Secondo l’Istituto nazionale di statistica, solo nei call center si contano 11.831 persone. La Bulgaria, uno dei paesi più periferici d’Europa, quindi non è da meno ad altri come Portogallo, Irlanda, Estonia e Cipro, che sono oggi un  bacino per l’esternalizzazione di servizi di assistenza clienti. 

Delocalizzazione in Bulgaria 

In Bulgaria la crescita di questo settore è in atto dal 2010, nonostante il paese resti uno dei più poveri d’Europa: il salario minimo ammonta a 460 euro lordi e questo ne fa il paese con la manodopera meno costosa del continente. Questa cifra va messa in prospettiva il salario mediano bulgaro, che si aggira intorno ai 1400 euro nella capitale e 1000 euro nel resto del paese. 

Le imprese che delocalizzano in Bulgaria beneficiano di un’aliquota fiscale ridotta (10 per cento) e di lavoratori qualificati a livello linguistico, soprattutto perché molti di essi hanno vissuto all’estero. A questo si aggiunge l’impatto della transizione economica degli anni Novanta, che ha segnato i cittadini bulgari e che fa che non vengano avanzate troppe richieste dal punto di vista dei diritti. Le confederazioni dei datori di lavoro puntano sulla formazione universitaria per creare dei programmi ad hoc che facciano da ponte tra i giovani laureati e l’assistenza clienti. Secondo Tsvetelina Hristova queste organizzazioni ritengono che “sin da bambini vadano insegnate le tecniche di comunicazione  per diventare ottimi lavoratori”. Per esempio? E’stato avviato un progetto tra l’azienda belga Euroccor e l’Università di Veliko Tărnovo, dov’è stato costruito un call center. Qui gli impiegati sono scelti tra gli studenti del dipartimento di lingue straniere. 

Lavoratori bulgari ed europei impoveriti 

 Secondo le ricerche delle antropologhe Tsvetelina Hristova e Christina Korkontzelou, la manodopera di queste aziende è piuttosto variegata e possiamo suddividerla in quattro gruppi difficilmente quantificabili: giovani laureati bulgari, lavoratori in fase di riconversione professionale, emigrati tornati in Bulgaria e lavoratori stranieri.  

Il primo gruppo viene reclutato durante o alla fine degli studi: si tratta di lavoratori altamente qualificati e “semplici” da formare, e quindi largamente apprezzati come forza lavoro. La seconda categoria, invece, è il frutto del fallimento del settore pubblico bulgaro, causato dalla privatizzazione e da una corruzione endemica: raggruppa coloro che in passato avevano un altro impiego, ad esempio ex professori di lingua, i cui stipendi erano così bassi (nel 2022, il salario medio di un professore al primo incarico era di 723 euro) che sono stati costretti a cambiare mestiere. 

Gli emigrati rientrati in patria sono oggi numerosi e costituiscono una fascia di manodopera qualificata sia per il livello di istruzione che per l’esperienza lavorativa pregressa. Non a caso, imprese come Telus non ci pensano due volte a organizzare campagne pubblicitarie dirette a questi lavoratori. Ai potenziali rimpatriati vengono promessi fino a 5 mila levas (pari a 2,500 euro) di bonus. Dopo la crisi occupazionale successiva al Covid-19 e l’aumento del telelavoro, molti cittadini bulgari si possono permettere il lusso di lavorare direttamente dalle proprie città natali, spesso in zone di campagna o montagna, dove non avrebbero altrimenti un'alternativa lavorativa.

Gli stranieri che lavorano in questo settore possono suddividersi in due sottocategorie ma inquantificabili. La prima, che raggruppa la porzione di cittadini più presente nelle grandi città bulgare, è composta da giovani europei non qualificati che provengono in maggior parte da regioni periferiche e povere, appartenenti a ceti sociali medio-bassi. 

In Bulgaria, integrano una categoria “posticcia” che li vede come parte di una "élite nomade ed espatriata" perché guadagno un po’ in potere d'acquisto, sottolinea Tsvetelina Hristova. Vengono reclutati direttamente nel loro paese d'origine, attraverso le classiche piattaforme di ricerca di lavoro. Alcuni di questi lavoratori si spostano in diversi paesi Ue, con la stessa funzione.

Nel paese esistono agenzie di interim che si dedicano completamente a questa attività sfruttando i premi versati dalle grandi aziende del settore, che possono essere versati anche a lavoratori che consigliano amici: si va da qualche qualche centinaio di euro fino a 1000, l’equivalente di uno o più stipendi mensili. 

Il secondo gruppo comprende le persone che provengono da territori extra Ue, principalmente Maghreb o Medio Oriente, che mettono a disposizione le proprie competenze in francese, inglese e arabo. Questi impieghi sono, per questi lavoratori, un trampolino di lancio verso altre attività più affini alle loro qualifiche e alle loro aspirazioni di vita, oltre che verso i paesi più ricchi dell’eurozona. Nel 2023, circa 23mila individui provenienti da paesi non europei hanno ottenuto un permesso per lavorare in Bulgaria a prescindere dalla loro provenienza. Si tratta, però, di una popolazione ancora ridotta. 

Provenienza diversa, condizioni diverse

La depersonalizzazione e una microgestione attenta ai minimi dettagli sono il motore che alimenta le condizioni di lavoro delle aziende del settore, soprattutto per quanto riguarda l’organizzazione dei tempi di lavoro. Ad esempio, le pause sono conteggiate al minuto e i dipendenti non possono gestire in maniera autonoma il proprio orario, che spesso cambia ogni settimana o mese.

I posti di lavoro più ambiti sono quelli che non richiedono turni di notte o nel weekend, e che dunque hanno orari fissi nel corso della settimana. La maggior parte delle aziende non concede la possibilità di prendere ferie in maniera libera, soprattutto in estate, per non perdere in competitività.  

Le retribuzioni normalmente si aggirano tra gli 800 e i 1200 euro netti (per un contratto di 40 ore a settimane), e si compongono di un guadagno fisso a cui si aggiungono diversi benefit che le aziende presentano ai propri dipendenti come “bonus”: premi di risultato o di puntualità, sconti nei centri commerciali – quelli dove sono presenti queste società – o in palestre o club sportivi. 

Il divario retributivo è uno dei temi più divisivi. I lavoratori la cui lingua materna non è il bulgaro vengono pagati di più dei bulgari, a prescindere dalla loro esperienza lavorativa. In più, le lingue non hanno tutte lo stesso valore, il che alimenta le ostilità tra gli impiegati: in fondo alla piramide si collocano l’inglese e il bulgaro; le lingue scandinave, invece, permettono di guadagnare di più. 

Sindacati fantasma

Le grandi organizzazioni sindacali non sono coinvolte in queste aziende, né possiedono informazioni sui dati anagrafici degli impiegati o sulle condizioni in cui lavorano. “Non ci sono nostri iscritti in loco e i lavoratori di queste imprese non ci contattano, per cui non abbiamo dati”, ammette uno dei responsabili dell’Isturet, l’istituto di ricerca del principale organo sindacale, ossia la Confederazione dei sindacati indipendenti di Bulgaria (CSIB). Erede diretto del Consiglio centrale dei sindacati (CCS) di epoca socialista, la confederazione ha tuttora sede nei vecchi locali del consiglio, situati in un grattacielo brutalista nel centro di Sofia. 

Come evidenzia Slavina Spasova, direttrice dell’Osservatorio Sociale europeo, nel libro Trade unions in the European Union (2023, Etui), la realtà è che i sindacati hanno un peso molto ridotto nel settore privato bulgaro, e sono pochi i contratti collettivi. I ricercatori che hanno curato il libro, Torsten Müller e Kurt Vandaele, spiegano che “in queste aziende è notoriamente difficile organizzarsi, ma non è una situazione circoscritta solo alla Bulgaria. Tante multinazionali adottano strategie antisindacali per evitarne l’ingresso nei luoghi di lavoro”.  Per loro, i call center incarnano “l’esempio eccellente di strategia atta a evitare e smantellare i sindacati: avvalersi di sistemi di sorveglianza è molto utile alla causa.”

L’antropologa Christina Koroukolou ipotizza inoltre che “i sindacati bulgari temono di causare il trasferimento di queste società in altri paesi, cosa che lascerebbe senza lavoro gli impiegati bulgari.”

Slavina Spasova enfatizza l’impatto reale che i sindacati hanno sulla società bulgara - nonostante il dialogo con essa sia essenzialmente tra le organizzazioni sindacali e lo stato. La ricercatrice evidenzia una consapevolezza delle realtà sociali attuali, e in tale contesto l’Isturet gioca un ruolo determinante poiché rappresenta “uno degli istituti sindacali di ricerca più attivo a livello europeo”. Spasova sostiene che l’organizzazione “fornisce la propria esperienza in materia di politiche industriali e sociali”.


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Se Torsten Müller e Kurt Vandaele affermano che “di recente i sindacati bulgari sono stati capaci di organizzarsi in quei settori che in passato non erano sindacalizzati, come l’Ict in cui lavora un’alta percentuale di giovani”, è opportuno riconoscere che ciò non si verifica nelle aziende che esternalizzano l’assistenza e il supporto ai clienti: infatti il sindacato creato con il CSIB dai lavoratori del settore dell’ITC non è più attivo. Sopravvive solo l’organizzazione che risponde all’altra confederazione sindacale bulgara, CL Podkrepa, che unisce principalmente i professionisti dell’industria tecnologica (programmatori, analisti, sviluppatori…).

Gli impiegati che lavorano nel servizio clienti manifestano la propria sfiducia nei sindacati, ritenuti troppo condizionati dalla loro affiliazione al regime e al Partito socialista bulgaro, il quale è a sua volta l’erede del vecchio Partito comunista. Più che la politicizzazione dei sindacati, chi lavora in questo settore rimprovera la loro eventuale strumentalizzazione. Tutto questo non fa che rimarcare la mancanza di un’istituzione che possa difendere e tutelare i lavoratori, sia collettivamente che individualmente.

Resistenze solitarie e licenziamenti online 

Le varie forme di resistenza agli ostacoli del settore spesso prendono pieghe individuali che possono apparire aneddotiche. Ad esempio, i lavoratori stranieri praticano l’assenteismo (avvalendosi dei congedi per malattia o abbandonando il posto di lavoro), uno dei fantasmi che più aleggia tra i dirigenti di livello intermedio, ai quali tocca giustificare ai piani alti la scarsa redditività della manodopera.

Dal momento che le assunzioni a Sofia, Varna e Plovdiv procedono bene, alcuni di questi a volte si licenziano per lavorare in un’altra azienda: in molti casi, chi è madrelingua trova un nuovo lavoro nel giro di qualche giorno.

Inoltre, spesso gli impiegati si scambiano tra loro metodi utili ad aggirare i tentativi di controllo della microgestione, come il “mouse jiggler” (un’applicazione che simula il movimento umano del mouse), la manipolazione dei dati e degli orari di lavoro ma anche diverse scorciatoie e tecniche che permettono di concludere le attività più rapidamente. Un’altra prassi comune, specialmente in Bulgaria e in particolare al di fuori delle grandi città, sta nel fingere che si sia verificata un’interruzione di elettricità. Ciononostante, per i lavoratori di norma è difficile imporsi collettivamente e spingere per un miglioramento delle condizioni di lavoro o un adeguamento dei loro stipendi. 

Questo si spiega con il loro timore di rimanere disoccupati, o di essere mal visti in un settore che vedono un’alternativa alla paga da fame che propongono altri ambienti. In più, le condizioni per usufruire dei sussidi di disoccupazione sono molto rigide e i livelli di retribuzione sono veramente bassi (massimo il 60 per cento dello stipendio dopo un minimo di 12 mesi di contratto).

Oltre a ciò, la normalizzazione del telelavoro, propagandato dai giovani, impedisce il dialogo tra colleghi. I dirigenti proferiscono parola dall’alto di riunioni digitali, inquadrano e spiano le conversazioni sulla diffusa messaggeria Slack e installano delle cimici che rilevano i movimenti del mouse. In tale contesto, anche i licenziamenti vengono fatti generalmente online, con i dipendenti mutati. 

Tuttavia, l’uscita di scena di queste aziende appare inevitabile, dal momento che i salari bulgari si stanno allineando con gli standard europei e l’intellingenza artificiale si sta facendo strada come un papabile concorrente per sostituire chi si dedica a questi “bullshit jobs”, per citare la terminologia diffusa dall’antropologo David Graeber nel suo omonimo libro

A causa dell’inflazione, la qualità dei salari del settore a livello europeo non è più così elevata. A marzo 2024 sono stati indetti degli scioperi in diversi call center di alcune città greche come cui Atene, Salonicco, Chania e nella regione dell’Attica, con l’obiettivo di spingere per un aumento dei salari coerentemente con l’inflazione fuori controllo del paese confinante con la Bulgaria. 

In un futuro non molto lontano, per la Bulgaria sarà difficile risollevarsi da questa situazione dove una parte della sua forza lavoro è stata impiegata in lavori non qualificanti e senza alcuna utilità per i cittadini. A partire dagli anni Novanta, più di un milione e mezzo di lavoratori bulgari è emigrato, lasciando un paese dove adesso mancano sempre di più professori, infermieri e operai edili.

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