Intervista Migrazione e lavoro

La giurista Claire Rodier sulla migrazione: “Il rispetto dei diritti fondamentali sta diventando complicato”

La migrazione è diventata una questione centrale nel dibattito pubblico europeo. Ma le questioni dei diritti umani, della libertà di movimento e dell'uguaglianza, legati al processo migratorio, sono gradualmente scomparsi dalle discussioni e dalla legislazione: il tutto a favore di considerazioni puramente economiche e demografiche, sottolinea l'avvocata e militante francese Claire Rodier.

Pubblicato il 22 Novembre 2023 alle 11:36

Claire Rodier è avvocata del GISTI (Groupe d'information et de soutien des immigrés), un'associazione francese che si occupa di rispondere alle questioni legali degli immigrati e delle associazioni che li sostengono. È anche cofondatrice della rete euro-africana Migreurop.

Voxeurop: Cosa può dire sulla migrazione in Europa in vista delle elezioni europee di giugno prossimo?

Claire Rodier: Ci sono alcune costanti: il tema della migrazione viene sempre stato sfruttato in vista delle elezioni. Assistiamo ad un aumento delle polemiche nei diversi paesi, anche all'ossessione, mi sembra, da parte della commissione europea e del consiglio dell'Unione, di garantire che il Patto europeo sulla migrazione e l'asilo sia completato prima delle elezioni.

Si assiste anche a una divisione dei ruoli: c'è chi dice di non amare gli stranieri e vuole impedirne l’ingresso, e poi ci sono coloro che hanno una posizione sostanzialmente simile, ma che non lo dicono. Ufficialmente l'Ue non può farsi portavoce di un discorso estremista, e quindi lo lascia agli estremisti. Nei fatti pero’ è il tema oggi. 

Stiamo andando in una direzione nella quale è praticamente impossibile non violare dei diritti fondamentali, compresi quelli che sono alla base dei principi dell'Unione europea, come la Carta dei diritti fondamentali.

Sembra essere diventata una questione sulla quale i paesi si scannano… 

Una politica migratoria dovrebbe tenere conto dei diritti umani, degli impegni internazionali degli stati membri, del profilo internazionale dell'Unione europea e di altri aspetti che riguardano la protezione delle frontiere, la sicurezza dei cittadini ecc... Oggi non si cerca più compatibilità o coerenza tra questi due aspetti: l'impressione è che abbiamo  superato un punto in cui la questione prioritaria ruota attorno agli aspetti di sicurezza e alla gestione dei flussi di popolazione. La dimensione dei diritti umani è stata completamente messa in secondo piano.

Pensa che la situazione possa cambiare?  

Penso di sì. Seguo questi temi da molto tempo e i discorsi sono molto più chiari: non mi facevo certo illusioni, ma oggi mi pare che non sia certo una parolaccia mettere in discussione i diritti umani. 

Si tratta dell’ennessimo campo di battaglia elettorale? 

È un principio generale, fatto di grandi chiacchiere. Non sono certa che la cosiddetta “minaccia” rappresentata dai migranti, questa “invasione” sia davvero una cosa concreta, anche per chi brandisce questo tipo di  retorica.

Sarebbe esagerato dire che i flussi migratori si sono sempre autoregolati – ci sono sempre state circostanze particolari, legate a conflitti e sconvolgimenti internazionali – ma in linea di massima la base è questa: i flussi migratori fanno parte di un insieme sociologico ed economico fatto dalle interazioni mondiali. Nel discorso di chi si oppone con forza c'è una forte componente ideologica.


Ufficialmente l’Ue non può farsi portavoce di un discorso estremista, e quindi lo lascia agli estremisti


C’è il rischio di non poter tornare indietro? Criminalizzando le persone che migrano, e coloro che le aiutano , non si rischia di cambiare un paradigma sui diritti umani? 

Ci sono tutte le ragioni per temerlo. Ma, detto questo, non si tratta solo di migrazione. Le libertà vengono limitate anche in altri settori. Non sono del tutto certa che si possa parlare di un fenomeno irreversibile, perché i maggiori sconvolgimenti in questo mondo si sono spesso verificati a causa di cose che non avevamo previsto, o che non erano nei programmi delle classi dirigenti.

Un argomento ricorrente in difesa  della migrazione è il bisogno di manodopera, quindi un interesse economico. Questa argomentazione può scandalizzare alcune persone. È così anche per lei?

È una costante. Ed è naturalmente è scioccante, nella misura in cui si ha l'impressione che alcuni dei circoli politici più moderati, più umanisti, si aggrappino a questa argomentazione. Come se fosse l'ultima spiaggia. In Francia si è discusso della futura riforma della legge sull'immigrazione. Il governo voleva introdurre una disposizione che permettesse la regolarizzazione dei lavoratori senza documenti nei settori in cui manca manodopera. 


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Per i partiti di sinistra, i sindacati e alcune associazioni che difendono i diritti degli stranieri è stato difficile prendere posizione. Perché difendere questa disposizione significa difendere l'utilitarismo: si prendono in considerazione solo i posti di lavoro in settori nei quali c’è bisogno di manodopera. L'altra posizione è che non possiamo accettare una legge basata esclusivamente sugli interessi dei datori di lavoro, che tutti gli stranieri che già lavorano in nero dovrebbero essere regolarizzati. E anche qui si potrebbe aprire una questione: anche se si parla di “tutti coloro che già lavorano” non tiene conto degli altri. O di altri fattori di integrazione, come la durata della presenza sul territorio. 

La rete Migreurop e GISTI difendono il diritto alla libertà di circolazione per ristabilire la parità di trattamento tra tutti gli abitanti del pianeta. Non c'è alcuna ragione etica o morale per cui alcune persone sulla Terra debbano potersi muovere ovunque e altre solo quando sono autorizzate a farlo. Un altro problema è che se la migrazione dipende dai bisogni degli stati membri, è completamente reversibile. Il giorno in cui non sarà più necessaria, questa libertà finirà e le persone verranno espulse o sottoposte a politiche di esclusione. Il lavoro non è considerato un diritto umano, ma un'esigenza rispetto a un bisogno di terzi.

Questo la dice lunga sullo stato del dibattito odierno…

È molto difficile proporre questi principi. Ma siamo in un clima in cui, ancora una volta, non ci si limita all'immigrazione. Chiedere il rispetto dei diritti fondamentali sta diventando complicato in alcuni settori.

Il modo in cui trattiamo la migrazione dice molto di una società. O il modo in cui si condiziona il diritto all'utilità, o il modo in cui lo si accantona in nome del realismo… 

Certamente. Prendiamo l'esempio dei lavoratori stranieri. Quando si comincia a limitare i diritti delle persone perché sono straniere, si aprono delle scappatoie in termini di indebolimento del diritto del lavoro per tutti quanti. Credo che questo sia vero in generale, e credo che il modo in cui le persone vengono accolte – o meno – sia un sintomo della capacità di una società di adattarsi, di guardarsi e di parlarsi.


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