Nikolić fa i conti con la realtà

Le prime dichiarazioni del nuovo presidente serbo hanno suscitato polemiche e timori di una svolta nazionalista. I suoi atti concreti, invece, dimostrano realismo e moderazione.

Pubblicato il 7 Giugno 2012 alle 11:16

Appena eletto presidente della Serbia, Tomislav Nikolić ha capito che era molto più facile essere all'opposizione, perché adesso tutte le sue dichiarazioni saranno analizzate dai media. Con i suoi tre primi discorsi è già riuscito a deteriorare le relazioni con quasi tutti i suoi vicini. Ha esordito dicendo che Vukovar è una città serba dove i croati non devono più tornare; poi ha affermato che non si oppone all'indipendenza del Montenegro, ma che non vede alcuna differenza fra i serbi e i montenegrini, per finire dicendo che non c’ stato alcun genocidio a Srebrenica, scatenando la rabbia dei bosniaci.

Nessuna dichiarazione di Nikolić da presidente è stata fatta con toni polemici o bellicosi. Al contrario, se si confrontano queste affermazioni con i suoi celebri discorsi del passato, si può notare il grande sforzo fatto per costruirsi una nuova immagine di pacificatore. Ma per quanto si sforzi non riesce a stare lontano dalle polemiche: è più forte di lui.

Così alla domanda del grande muftì del Sangiaccato, Muamer Zukorlić, sulla sua visita a Srebrenica e sulla condanna del genocidio, Nikolić ha risposto che probabilmente non sarebbe andato nella città. “Il presidente Boris Tadić [il suo predecessore] ha già fatto una visita a Srebrenica e ha condannato i crimini che vi sono stati compiuti. Non vedo la necessità di ritornare sul passato”, ha ribadito. Ma il presidente serbo avrebbe fatto bene a fermarsi qui, perché ha continuato affermando che a “Srebrenica non vi è stato genocidio, ma un grave crimine i cui autori devono essere arrestati, giudicati e condannati”.

Nikolić ha avuto la prima occasione per agire in qualità di capo dello stato il giorno del suo insediamento [il 31 maggio]. Meno di 24 ore dopo aver prestato giuramento, i media hanno annunciato che le forze Nato presenti in Kosovo (Kfor) avevano chiuso le strade nel nord del Kosovo per rimuoverei blocchi eretti dai serbi locali qualche mese prima per impedire il dispiegamento dei poliziotti e dei doganieri kosovari lungo la frontiera con la Serbia. Le sirene d'allarme hanno di nuovo risuonato a nord di Kosovska Mitrovica e nelle vicine località a maggioranza serba, mentre i serbi della regione opponevano resistenza alla Kfor.

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Per anni Nikolić ha rimproverato a Tadić di essere stato troppo accomodante sulla questione del Kosovo. Ma quando il leader nazionalista ha deciso di candidarsi alla presidenza, ha abbandonato il suo atteggiamento antieuropeo e si è dichiarato favorevole all'adesione della Serbia all'Ue, sottolineando però che il Kosovo sarebbe stata la linea rossa oltre la quale non sarebbe andato. In una recente intervista alla televisione montenegrina, il nuovo presidente ha ribadito che non avrebbe riconosciuto l'indipendenza del Kosovo anche a costo di rinunciare all’adesione della Serbia all’Ue.

Scelta responsabile

Durante la cerimonia di giuramento davanti ai 250 nuovi deputati dell’Assemblea nazionale serba, e assumendo le funzioni di capo supremo dell'esercito serbo, Nikolić ha giurato di dedicare tutte le sue forze “al mantenimento della sovranità e dell’integrità territoriale della Repubblica serba, compreso il Kosovo e la Metohija, che ne fanno parte integrante”. Ma appena 20 ore dopo l’operazione della Kfor ha mostrato che la Serbia non ha alcuna sovranità su questa parte del territorio. E che cosa ha fatto Nikolić? La stessa cosa che avrebbe fatto Tadić al suo posto! Infatti le radio e le televisioni locali hanno diffuso dei comunicati per chiedere ai serbi che vivono nei villaggi del nord del Kosovo di mantenere la calma e di non attaccare la Kfor.

Questo non significa rinnegare le proprie posizioni, ma prendere coscienza della realtà. Infatti è facile eccitare gli animi con dichiarazioni su Vukovar e Srebrenica, evocando le guerre del passato, ma il Kosovo è un problema del tutto diverso. Dopo le elezioni serbe il capo della diplomazia slovacca, Miroslav Lajčák, si è recato a Belgrado come emissario di Catherine Ashton e José Manuel Barroso. Il suo messaggio per Nikolić è stato chiaro: la normalizzazione delle relazioni e la ripresa del dialogo con il Kosovo saranno le condizioni fondamentali per l’avvicinamento fra Serbia e Ue.

Nikolić avrebbe potuto inviare l’esercito per aiutare i serbi che tenevano i blocchi a Leposavić, ma non lo ha fatto. Probabilmente il nuovo presidente serbo ha finito per capire che una cosa è raccontare i suoi sogni di Grande Serbia, un’altra assumersi le responsabilità di un capo di stato.

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